Tutti gli asini della tua azienda

Marco Mazzucco
Digital Organization
6 min readDec 13, 2017

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“Conoscete quella frivola storiella di un certo asino di cui si discute a scuola? Nella stalla gli vennero portate per il suo pasto due quantità di fieno uguali, della stessa qualità, per molte volte; dai due mucchi l’asino si vide tentato ugualmente, e, drizzando le orecchie, proprio in mezzo ai due mucchi uguali, concretizzando le leggi dell’equilibrio, morì di fame, per timore di fare una scelta.” — Voltaire

Indeciso fra due balle di fieno, l’asino di Buridano morì di fame. Questo apologo è tradizionalmente attribuito al filosofo francese Jean Buridan, vissuto all’inizio del 1300, che suo malgrado si ritrovò associato per sempre ad un asino, anche se in realtà del famoso animale non se ne trova traccia nei suoi scritti.

In un’altra versione gli asini di Buridano sono due, legati uno all’altro da una corda al collo e girati uno di spalle all’altro, ognuno con una balla di fieno posta davanti a sè. Tirando però ognuno dal lato opposto all’altro, ed equivalendosi come forza, nessuno riesce a fare un passo avanti. Morale: anche loro muiono di fame. Tanti sforzi per non fare alcun passo, e la fine è segnata. Mentre la prima versione dell’asino di Buridano ci sembra distante, perché ognuno è sicuro del proprio libero arbitrio, la seconda versione è senz’altro più subdola, perché non riguarda solo noi. Riguarda il nostro modo di rapportarci con gli altri, di essere o meno in sintonia con un obiettivo comune.

Questo tipo di asini è molto diffuso: sono persone che perseguono ciecamente i propri obiettivi, senza preoccuparsi che siano contrastanti con quelli di qualcun altro. Anche per loro tanti sforzi vani, tanto impegno, senza andare da nessuna parte. Guardiamoci intorno, ognuno nel proprio ufficio: probabilmente vedremo tante situazioni simili, tanti asini che popolano le scrivanie vicine. Sono persone che hanno assegnati obiettivi individuali, magari molto precisi, che contrastano con quelli degli altri. Alla fine, invece di muoversi all’unisono verso il valore aziendale, si dissipano solo tante forze ed energie.

La colpa non è certo dei singoli, ma dell’organizzazione in cui sono inseriti. Sono i processi, le regole, gli MBO, tutta la sovrastruttura manageriale e di controllo che l’azienda crea attorno alle persone e che le scherma dal vero fine, il bene dell’azienda. Se questi elementi non sono ben impostati lavoriamo solo per raggiungere un ottimo locale, e paradossalmente più siamo bravi più lo ottimizziamo a scapito di tutto il resto. Ne ho visti tanti di questi casi, in aziende di ogni genere e dimensione. Direzioni IT che hanno l’obiettivo di chiudere progetti on time e on budget, disinteressandosi degli utenti di business e dei loro obiettivi. Uffici acquisti che pur di dimostrare di poter far risparmiare l’azienda mettono in difficoltà clienti interni e fornitori, che poi lavoreranno male. Responsabili della sicurezza che, per minimizzare il rischio aziendale, bloccano ogni tentativo di innovazione. Direzioni marketing che promettono nuovi prodotti e servizi, senza preoccuparsi delle reali capacità di esecuzione della propria azienda. La lista potrebbe essere molto lunga: ogni volta si vede come gli obiettivi di una unità organizzativa o di una singola persona siano contrapposti con quelli degli altri. Si assiste allora ad un braccio di ferro, ad un passaggio continuo di colpe e alla costruzione di alibi. Le nostre persone sfinite hanno contrattato, pianificato, bisticciato, si sono riuniti, scritti, andati dai rispettivi capi, qualcuno ha vinto e qualcun altro no. Per l’organizzazione sono comunque degli asini, e l’organizzazione ha la colpa principale perché li mette in quelle condizioni, da cui nessuno riesce a scappare.

Nel processo di performance management tipico di una organizzazione gerarchica gli obiettivi discendono e si scompongono lungo le linee di riporto, per renderli il più rispondenti possibile al criterio di responsabilità individuale. Chi cerca di farlo bene parla di obiettivi SMART, ovvero Specifici, Misurabili, Assegnabili, Realistici e Tempificati. Ma quello che è più importante non è tanto come sono dati i singoli obiettivi, ma come questi sono compatibili fra di loro. Armonizzarli, per fare in modo che vadano a indirizzare il comportamento delle persone nella medesima direzione, evitando contrasti e dissipazioni di energia.

Non è però facile assegnare in una organizzazione complessa degli obiettivi compatibili. E se evitassimo allora del tutto di assegnare degli obiettivi individuali? Potremmo puntare su obiettivi più ampi, direttamente correlati al valore aziendale, rinunciando al principio della responsabilità individuale.

Purtroppo, per quanto possiamo fare tutte queste considerazioni e ci ingegniamo a definire il modo migliore per assegnare degli obiettivi, questo non basta. Perché esistono, oltre agli obiettivi che assegniamo esplicitamente, quelli che sono impliciti nell’organizzazione stessa. Questi sono i veri obiettivi che ognuno persegue, e non possiamo evitare di darli: sono estremamente potenti, ben più potenti di quelli che assegniamo esplicitamente.

Lavoriamo tutti in strutture gerarchiche, e le strutture gerarchiche spingono ad obiettivi impliciti divisivi. Quello che ci guida, anche se faremmo fatica ad ammetterlo, è questo:

  • far bella figura con il capo, facendo quello che sappiamo interessargli;
  • fare meglio dei propri colleghi, perché vogliamo fare carriera e in una struttura gerarchica i posti ai livelli superiori sono sempre meno;
  • fare in modo che la propria unità organizzativa sia percepita migliore delle altre, di modo che sia considerata più importante.

L’autoconservazione è la forza principale che ci spinge, insieme all’ambizione di migliorare il proprio status. Risalire la piramide gerarchica è un percorso competitivo e selettivo, che spinge a comportamenti egoistici. In una organizzazione fatta di silos, difendiamo strenuamente il nostro territorio, cerchiamo di ottimizzare tutto quello che rientra nei confini che controlliamo ed evitiamo il più possibile influenze esterne. Questi obiettivi dividono naturalmente l’organizzazione, creano contrapposizioni e limitano il lavoro di squadra. In una struttura gerarchica gli obiettivi impliciti, quelli che ci guidano realmente, sono quindi sempre egoistici, sempre legati ad una ottimizzazione locale e mai al bene complessivo dell’azienda. Su questo substrato, qualsiasi obiettivo esplicito proviamo a dare è al più considerato una indicazione di come meglio raggiungere questi obiettivi impliciti.

Partendo da qui capiamo che cercare la ricetta perfetta per assegnare degli obiettivi individuali è un lavoro frustrante e poco utile.

Perché gli obiettivi seguono la struttura organizzativa, e non viceversa. Allora la cosa su cui dobbiamo agire è la struttura, smontando tutti quegli elementi, tipici di una struttura gerarchica, che ci bloccano. Dobbiamo depotenziare la gerarchia e la distanza fra i diversi livelli e le varie parti dell’organizzazione. Per farlo esistono molti modi:

  • Preferire strutture organizzative temporanee e orientate a scopi specifici, rispetto a unità organizzative fisse;
  • Sviluppare nelle persone la capacità di ascoltare e supportare gli altri, piuttosto che comandarli;
  • Creare percorsi di carriera e di riconoscimento non legati al ruolo gerarchico, ma al valore effettivamente portato.

Nel difficile percorso verso nuove forme organizzative, questi sono elementi chiave che è possibile introdurre a piccoli passi. Quello che accadrà è il progressivo indebolimento ed eliminazione delle barriere che oggi vediamo nella nostra azienda, barriere fra i livelli organizzativi e barriere fra le diverse unità. Sono queste barriere che creano contrapposizione di obiettivi, andando a scambiare l’ottimo aziendale per l’ottimo locale di ogni individuo. Eliminate queste barriere potremmo anche scordarci di dare degli obiettivi espliciti, quelli impliciti andranno già nel verso della collaborazione e della unitarietà. Le persone si allineeranno naturalmente verso gli obiettivi aziendali, e così facendo diminuiranno attriti e contrapposizioni.

Per tutti gli asini che vediamo intorno a noi sarebbe un regalo incredibile: poter togliere i paraocchi, uscire dalla miopia causata dalla sovrastruttura organizzativa, avere la possibilità di girarsi e vedere che, realmente, stiamo facendo tanti sforzi vani e abbiamo la possibilità di scegliere un modo diverso di lavorare. Quando gli asini di Buridano smettono di spingere senza sosta verso il loro obiettivo, si voltano, si guardano, e anche loro capiscono che possono andare insieme verso una balla di fieno, mangiarla, e poi andare dall’altra. Così non moriranno più di fame e si sentiranno, malgrado tutto, un po’ meno asini.

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