Da Lampedusa a Bologna

La salute è un capitolo importante nella vita delle persone. L’idea di salute ha diverse declinazioni.

Stefano Micocci
digital thinkERs.
8 min readJun 21, 2017

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Nel mondo occidentale assume in modo sempre più marcato le connotazioni della ricerca del benessere fisico e psichico, il cosiddetto “wellness”, che orienta stili di vita, talvolta virtuosi, e promuove azioni di prevenzione. Salute vuol dire anche gestione delle cronicità cercando di garantire una vita dignitosa. Non è difficile comprendere che anche questo è un tema particolarmente importante per una società, quella occidentale, che invecchia progressivamente. La quota della spesa sanitaria dedicata alla gestione delle cronicità è di gran lunga maggiore di quella che viene destinata per la gestione degli episodi che, in gergo tecnico, vengono definiti acuti. Un altro capitolo di spesa importante è legato alle degenze, cioè ai ricoveri prolungati in ospedale che è comunque fortemente correlato alle cronicità. La salute ha anche un’accezione oserei dire primordiale che è quella di preservarla e salvarla quando è in pericolo. Il sistema sanitario è attrezzato per fronteggiare questo bisogno, sia quando occorre agire in fretta ed in modo tempestivo, per esempio a fronte di un incidente, sia quando sono necessari approfondimenti accurati per identificare le cause della malattia. Sono stati messi a punto percorsi diagnostici, piani terapeutici, screening per la prevenzione, eppure sembrerebbe che ci siano situazioni non ancora contemplate dove occorre agire in regime straordinario, in deroga dai tanti percorsi già messi a punto. Ciò accade ad ogni arrivo sulle nostre coste delle persone che attraversano il Mediterraneo per richiedere protezione umanitaria all'Europa. Mi sono chiesto se davvero la cura di queste persone abbia bisogno di percorsi specifici, che in quanto eccezionali sono più inefficienti e potenzialmente meno efficaci. Per cercare la risposta mi sono messo in viaggio.

Circa un mese fa mi sono recato a Lampedusa, ho avuto la possibilità di incontrare Pietro Bartolo, medico di Lampedusa diventato noto al pubblico come personaggio del film di Gianfranco Rosi “Fuoco a mare” e autore del libro “Lacrime di sale”. I suoi racconti parlano di un bisogno di salute profondamente differente, dove l’urgenza è ordinaria e “l’episodio acuto” delle persone tratte in salvo dai gommoni è gestito da più di vent'anni mediante i percorsi codificati che anche noi, iscritti al servizio sanitario nazionale, seguiamo quando siamo nella necessità. Quando Bartolo descrive cosa accade sul molo di Lampedusa durante una notte di sbarchi, sembra voglia sottolineare che il nostro sistema sanitario è pronto ed attrezzato anche per gestire quelle situazioni così drammatiche e non importa inventarci qualcosa di nuovo. Per un medico una persona malata è sempre una persona malata e gli strumenti per curarla sono sempre gli stessi.

Su questa isola, più vicina alle coste tunisine che a quelle italiane, da vent’anni Pietro Bartolo insieme ai sanitari della sua struttura e alla gente dell’isola ha organizzato un percorso di presa in carico sanitario a favore delle persone richiedenti protezione internazionale, che potremmo definire “ordinario”, nel senso che non ha ritenuto necessario attivare percorsi organizzativi specifici o straordinari. L’assistenza viene organizzata secondo i percorsi clinico sanitari previsti. Bartolo non nega la necessità di avere più personale, su una popolazione di 6000 abitanti, lo scorso aprile erano presenti presso il centro di identificazione dell’isola 1080 persone.

Tutte le persone sbarcate vengono sottoposte già sulla piccola banchina del porto ad un primo “triage”, cioè la prima valutazione della condizione di salute della persona. Anche noi ne facciamo esperienza ogni qualvolta ci rechiamo al pronto soccorso. A Lampedusa difficilmente arrivano codici bianchi, le persone più gravi raccolte da Frontex, la flotta che pattuglia la costa in acque internazionali, vengono sempre portate a Lampedusa, l’approdo più prossimo. Spesso al primo triage segue il trasferimento presso le strutture di ricovero di Lampedusa e, quando necessario, di Palermo in elicottero. Lampedusa fa parte dell’azienda sanitaria di Palermo perché l’aeroporto di Palermo è quello più vicino all’isola. Tra le necessità di cura, con l’arrivo dei gommoni al posto delle cosiddette “carrette del mare”, si sono purtroppo aggiunte le ustioni gravi, provocate dalla benzina sversata dalle taniche colme di di carburante sul fondo dei gommoni mescolata ad acqua di mare. Tutte le persone, identificate con identificazione certa o meno, vengono inserite nell’anagrafe sanitaria, così come previsto dalla normativa nazionale. Il sistema sanitario parla di Soggetti Temporaneamente Presenti (STP) nei confronti dei quali si riconosce il dovere di cura in situazioni di necessità. Anche noi siamo stati identificati ed inseriti nell’anagrafe sanitaria. E’ accaduto quando abbiamo scelto il nostro medico di famiglia oppure il pediatra per i nostri figli.

Sull’assegnazione dello status di “soggetti temporaneamente presenti” alle persone richiedenti protezione, non tutti gli addetti ai lavori hanno visione identica ma, a domanda diretta, Bartolo non ha esitazioni: “Una volta che hanno un STP sono riconosciuti dal sistema sanitario in tutta Italia e sono all’interno di un percorso codificato e certo, ed è questo quello che conta”.

Poi si parte da Lampedusa, da Pozzallo, da Augusta e dagli altri porti verso altri centri dislocati in tutta Italia. Qualcuno arriva a Bologna e sorprendentemente si scivola nella gestione in emergenza, puntuale, attenta, precisa, organizzata ma comunque governata da percorsi ad hoc, proprio quando sembrava che il peggio, dal punto di vista della gestione, fosse passato. I codici STP assegnati seppur nazionali, non sono più associabili ad un volto, una persona perché non sono stati riportati nei fogli cartacei che accompagnano il trasferimento. Le indagini anche epidemiologiche già eseguite non sono disponibili presso i presidi sanitari dei centri regionali di destinazione (hub), come potrebbero se gli applicativi sanitari dentro gli ospedali non si parlano fra loro? Arriva solo un foglio di accompagnamento, consegnato all’ente gestore del centro, che indica che va tutto bene. Ma chi si fida di un foglio di carta con una lista di nomi non riconducibili all’identità della persona? E quindi si eseguono nuovamente le analisi, l’RX ai polmoni, test di Mantoux e tutto il resto. Tutto questo avviene organizzato mediante percorsi specifici con il coinvolgimento di personale che anche umanamente ha deciso di spendersi nel fornire questo servizio al massimo delle proprie possibilità. Eppure per semplificare il lavoro di tutti basterebbe trovare il modo per inserire l’anagrafica della persona nell’anagrafe sanitaria regionale.

Dopo una breve permanenza presso l’hub regionale, che a Bologna è situato presso l’ex caserma di via Mattei, le persone vengono trasferite presso centri residenziali distribuiti nella regione, in attesa di conoscere l’esito della loro richiesta di protezione. Quando gli verrà assegnato un codice fiscale temporaneo, almeno fino a quando non cambierà la legge, allora potranno essere iscritte al servizio sanitario nazionale e rientrare nei percorsi di cura ordinari. Per avere quel codice fiscale possono passare diversi mesi e la storia clinica di quella persona non viene raccolta.

E’ lecito chiederci qual sia il modello davvero applicabile nella realtà, quello di Lampedusa dove una persona richiedente protezione, seppur con le proprie peculiarità, entra a far parte dei processi sanitari già codificati, o quello che prevede necessariamente un periodo di limbo prima che ciò possa accadere? Personalmente sono convinto che il modello di Lampedusa sia quello preferibile anche dal punto di vista economico ma contemporaneamente credo che possa essere realizzato solo se supportato adeguatamente da un’infrastruttura digitale. Ma quanto costerebbe?

C’è una buona notizia, l’infrastruttura ICT in molte Regioni, come in Emilia Romagna, c’è già ed a livello nazionale il Il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), l’Agenzia per l’Italia Digitale (AGID), il Ministero della Salute insieme alla Regioni, stanno definendo e realizzando l’Infrastruttura Nazionale di Interoperabilità (INI) e l’Anagrafe Nazionale degli Assistiti (ANA) per rendere possibile lo scambio di dati e documenti sanitari, per esempio, fra l’ospedale di Lampedusa e quello di Bologna. E non solo per le persone che richiedono protezione, per tutti.

L’assessorato alla Salute della Regione Emilia Romagna da più di vent’anni ha colto che l’introduzione del digitale nei processi all’interno delle strutture ospedaliere e tra ospedali e territorio porta enormi benefici e ha agito di conseguenza. E’ stata realizzata la rete regionale SOLE (Sanità On Line). Ad oggi gestisce trentadue milioni di referti, ricette farmaceutiche e prescrizioni specialistiche con una crescita annuale del circa 20%. Consente la prenotazione on line da parte dei cittadini e i medici di famiglia ricevono direttamente sui propri computer gli esiti degli esami prescritti. Tutti i medici di famiglia, compresi i pediatri, circa quattromila, sono connessi alla rete SOLE, così come tutte le aziende sanitarie ed ospedaliere. La rete SOLE è una maglia fitta di connessioni che alimenta il Fascicolo Sanitario Elettronico che può essere attivato da ognuno dei quattro milioni di assistiti della Regione Emilia Romagna. Raccoglie la storia clinica della persona e viene alimentato ogni qualvolta viene eseguita una prescrizione e prodotto un referto. Non è più necessario ritirare il foglio di carta, è sempre disponibile in rete e scaricabile quando serve.

Cosa manca allora per spazzare via definitivamente l’ansia dell’urgenza e della ricerca della gestione ad hoc? Per una Regione come l’Emilia Romagna manca davvero poco. Primo di tutto occorre fermarsi un attimo e rendersi conto che il modello digitale per la sanità SOLE/Fascicolo Sanitario Elettronico è per sua natura inclusivo e quindi già pronto ad accogliere nuovi soggetti perché hanno uguali bisogni di cura degli assistiti “ufficiali” anche se provengono da storie differenti. D’altronde l’inclusione è nel DNA di questa Regione basti pensare alla circolare regionale del 2011 e poi quella del 2014 che, in buona sostanza, ritiene giusto fornire assistenza medica completa a chi sta chiedendo protezione internazionale non solo in regime di emergenza. Per questo motivo si è inventata una ulteriore categoria di assistiti valida solo a livello regionale, “Permesso di Soggiorno per motivi Umanitari” (PSU) sulla quale forse occorrerebbe una riflessione.

Come secondo punto bisogna identificare le poche modifiche da apportare all’infrastruttura tecnologica, quindi trovare un raccordo tra i processi sanitari e quelli che attengono alla sicurezza e alla gestione del soggiorno sul territorio italiano che fanno capo alla prefettura e alla questura. Nel concreto il punto di snodo è dentro i centri di prima accoglienza (hub regionali) dove gli operatori degli enti gestori da un lato lavorano per la prefettura e la questura e dall’altro interagiscono con i medici del centro che hanno differenti modalità di lavoro ed utilizzano strumenti informatici maggiormente predisposti ad essere inseriti in una rete, come il portale migranti che raccoglie tutti dati clinici dello screening che viene eseguito presso l’hub regionale.

La Sanità regionale sta lavorando da più di un anno su questo tema anche promuovendo iniziative di approfondimento in ambito di coordinamento dell’Agenda Digitale insieme ai tanti attori che si vedono coinvolti in questo percorso. La strada è ormai tracciata, le soluzioni individuate, i costi, ridotti, identificati, i fattori di efficienza ed efficacia sono chiari. Rimane la parte più difficile, decidere di pensare in modo “ordinario” e trasformare di conseguenza i processi adesso modellati “in emergenza”, un’emergenza che dura dalla Primavera araba. E allora sullo schermo del computer del medico del centro di accoglienza di Bologna apparirà il referto a firma “dott. Pietro Bartolo, AUSL di Palermo, presidio di Lampedusa”. Il digitale avrà dimostrato una volta di più che sa fare la differenza ed essere fattore reale ed umano nella nostra vita.

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