Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus

Valentina Valota
Dioneo
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4 min readSep 7, 2020

Penso che tutti abbiano un libro preferito, quel libro che si rilegge ogni volta come se fosse la prima perché ha qualcosa che affascina sempre. Lo so state pensando all’ennesimo articolo sui Promessi Sposi ma, colpo di scena, c’è un libro che mi colpito ancora di più: Il nome della rosa. E adesso vi chiederete quali problemi possano affliggere una persona che ha tra i suoi romanzi preferiti i due grandi mattoni che hanno segnato la storia del romanzo storico in Italia, ma ognuno ha i suoi difetti.

William Girometti,: “Il nome della rosa (omaggio al romanzo di Umberto Eco)”, 1982

Avevo 14 o 15 anni la prima volta che l’ho letto- sì non avevo niente di meglio da fare- e mi ricordo che non capii quale fosse il legame tra il titolo e la storia, continuavo a chiedermi cosa c’entrasse una rosa in mezzo a monaci assassinati e indagini su due eretici (motivi principali per cui avevo iniziato a leggerlo).

Non penso sia il caso di parlarvi della trama perché sarebbe praticamente impossibile riassumerla in poche righe, vi basti sapere che ci troviamo nel novembre del 1327 quando il francescano Guglielmo da Baskerville e il novizio Adso da Melk arrivano in un’abbazia benedettina e si trovano a dover capire perché un giovane monaco è stato ucciso, ma ci saranno altre quattro morti sospette nel giro di pochi giorni, in tutto questo si aggiunge anche una disputa sulle eresie, due morti sul rogo e l’incendio di una biblioteca.

Ma ciò che è veramente importante per Eco è il titolo dell’opera: l’autore non ebbe subito l’idea di dare al suo romanzo questo titolo così enigmatico, durante la stesura aveva scelto L’abbazia del delitto. Successivamente valutò anche il titolo Adso da Melk, ma poi considerò che nella letteratura italiana, a differenza di quella inglese, i libri aventi per titolo il nome del protagonista non hanno mai avuto fortuna. Infine si decise per Il nome della rosa, perché a chiunque chiedesse, “diceva che Il nome della rosa era il più bello”. La scelta del titolo richiama inoltre il verso, di argomento nominalista, I, 952 del De contemptu mundi di Bernardo Claunicense, che chiude la sua opera con l’espressione Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus “La rosa esiste [soltanto] in quanto nome: noi possediamo nudi nomi” nel senso che, come sostenuto dai nominalisti, l’universale non possiede realtà ontologica ma si riduce a nome, ad un fatto linguistico. Il titolo inoltre rimanda implicitamente ad alcuni dei temi centrali dell’opera tra cui il fatto che di tutte le cose alla fine non resta che un puro nome, un segno, un ricordo. Così è per la biblioteca e i suoi libri distrutti dal fuoco, ad esempio, e per tutto un mondo, quello conosciuto dal giovane Adso, destinato a scomparire nel tempo. Ma in realtà tutta la vicenda narrata è un continuo ricercare segni, “libri che parlano di altri libri”, come suggerisce lo stesso Eco nelle Postille al Nome della rosa, le parole e i “nomi” attorno a cui ruota tutto il complesso di indagini, lotte, rapporti di forza, conflitti politici e culturali. Infatti ciò che è al centro di tutto il romanzo è la ricerca, ma una ricerca su due livelli: quello più immediato è la ricerca del colpevole delle morti di tutti i monaci, ma la vera ricerca è quella della conoscenza che, spesso e volentieri si rivela scomoda e va taciuta.

Infatti il simbolo di questa ricerca è il secondo libro della Poetica di Aristotele (la Poetica è un trattato scritto presumibilmente tra il 334 a.C. e il 330 a.C. in cui si analizzano i fondamenti della tragedia classica del V secolo sottolineando come caratteristiche principali la mimesi e la catarsi). Molti commentatori si chiedevano come mai Aristotele non avesse scritto nulla riguardo la commedia che, nell’Atene classica aveva quasi la stessa importanza della tragedia; secondo molti il testo non fu mai scritto ma secondo altri andò perso nel corso dei secoli. E proprio in questa disputa si inserisce una delle scene più amate sia del romanzo sia del film: Guglielmo sostiene che il testo sia andato perso mentre Jorge da Burgos che non sia mai stato scritto perché la provvidenza non vuole che la futilità venga glorificata

(Ammettiamolo: tutti abbiamo amato Fëdor Šaljapin nel ruolo di Jorge)

Fino alla fine molti sottovalutano quanto sia importante questo passaggio perché Eco è così abile nell’intrecciare l’indagine “poliziesca” e la disputa più strettamente medievale sull’eresia di Fra Dolcino con il vero oggetto della ricerca.

Bibliografia

- http://download.repubblica.it/pdf/domenica/2006/09072006.pdf intervista ad Umberto Eco “Così ho dato il nome alla rosa: L’autore rivela i segreti del romanzo che venticinque anni fa partiva alla conquista del mondo”

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