Per una Poetica dell’Hardware

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Dispositivi Sensibili
10 min readFeb 7, 2015

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Quanta passione, quante emozioni davanti ai nostri smartphone e tablet, mentre affondiamo in qualche poltrona o siamo in piedi all’aeroporto, in attesa dell’imbarco. A guardare dall’esterno, se ignorassimo le funzionalità di questi dispositivi, parrebbe un rito: la schiena leggermente ricurva, la testa china, il braccio proteso verso il nostro viso assorto; quasi un atto di devozione verso un misterioso Dio Tecnologico.

Al di là dei contenuti multimediali, rimane l’attaccamento per l’oggetto inanimato, l’ammasso di ferraglia1 che teniamo in mano, col quale ci capita sempre più spesso di entrare in una speciale relazione d’affetto, quasi di dialogo visivo e tattile, finanche olfattivo, che si sviluppa parallelamente alla nostra normale vita di relazioni umane. Questi oggetti si frappongono, anche fisicamente, tra noi e gli altri, mediano le nostre comunicazioni interpersonali in maniera diretta e indiretta, e molto spesso sembrano avere una sorta di propria autonomia e intelligenza, tale da farli apparire degli oggetti/individui, che rispondono alle nostre sollecitazioni, in maniera specifica, con una scintilla di sensibilità.

Sorge a questo punto una domanda: è possibile una poetica dell’hardware, una letteratura che racconti la vita di tutti i giorni a partire da questi oggetti? Poiché la tecnologia ha invaso le nostre vite, ogni angolo delle nostre case, dei posti di lavoro, l’approccio narrativo dovrebbe essere un realismo magico della tecnologia, piuttosto che una secolarizzazione dei più consolidati rituali della sci-fi. Siamo molto vicini alle istanze del Transrealismo: la fantascienza che irrompe nel quotidiano o il quotidiano che genera magicamente nuove dimensioni, a seconda dei punti di vista. Rudy Rucker, nel suo manifesto transrealista2 del 1983, affermava:

«Il Transrealista scrive dell’immediata percezione in una modalità fantastica.»3

È un’affermazione che avrebbe potuto fare un qualsiasi adepto del Realismo Magico, ma in un passaggio successivo Rucker aggiunge:

«Gli strumenti del fantasy e della fantascienza offrono un mezzo per ispessire e intensificare la narrativa realistica.»4

L’immaginario transrealista è alimentato dalla fantascienza, in particolare quella legata al movimento Cyberpunk. Mi riferisco alle opere letterarie e cinematografiche dove l’elemento futuristico e tecnologico è affiancato dall’approfondimento psicologico dei personaggi, che lottano per la sopravvivenza in mondi distopici e cercano una loro identità, poiché i confini tra il corpo umano e quello bionico sono sempre più incerti. Il Cyberpunk rinnova l’antica figura dell’umanoide attraverso la tecnologia corrente, e crea un uomo che umano più non è, in crisi di identità, con appendici della memoria estese oltre il proprio cervello e agganciate alla Rete.

In ‘Blade Runner’5, del regista Ridley Scott, troviamo l’esempio cinematografico più famoso di umanoidi, i cosiddetti replicanti, androidi dalle perfette sembianze umane, una tipologia avanzatissima sia per intelligenza che per forza, ma con un tempo di vita limitato. Un gruppo di replicanti sfugge al controllo di una colonia extramondo, e torna sulla Terra, nella fabbrica dove era stato progettato, nell’intento di convincere il proprio creatore ad allungargli la vita. Il detective Rick Deckard/Harrison Ford li deve scovare ed eliminare (ritirare, nel gergo della polizia di Los Angeles del 2019).

Le atmosfere del film sono quelle di un futuribile sprawl urbano: pioggia battente sulle insegne al neon di quartieri multietnici, soprattutto orientali, molto simili alla Chiba di ‘Neuromancer’6, il romanzo più rappresentativo del Cyberpunk, scritto da William Gibson qualche anno dopo la pellicola di Scott. Gibson affronta le stesse tematiche con i cyborg, umani pieni di innesti tecnologici, consumatori di droghe sintetiche, e capaci di cablarsi fisicamente con la Matrice, la rete globale delle informazioni.

‘Blade Runner’ ha anticipato e suscitato il movimento Cyberpunk, ed è una delle prime storie a introdurre le tematiche psicologiche della relazione uomo/androide.

Memorabili le scene nelle quali i replicanti vengono sottoposti ai test per verificarne la sensibilità e scoprirne la vera identità. Questi esseri superdotati sono incapaci di reazioni emotive, anche di fronte alle domande più imbarazzanti. Li guardiamo, e non ci capacitiamo che quei corpi così simili ai nostri, anche conturbanti come quello di Pris (interpretata da Daryl Hannah) non reagiscano, non abbiano un minimo sussulto anche confrontati con le azioni più feroci.

Ma il personaggio chiave è Rachael/Sean Young, la bella segretaria del dottor Tyrell, il creatore di questi replicanti. Deckard la sottopone a un test, pensando sia un’umana, ma scopre che anch’essa è un replicante. Lui se ne innamora, e nel corso del film assistiamo al risveglio emotivo di Rachel, che alla fine sceglie da che parte stare salvando Deckard da un proprio simile androide.

L’amore può risvegliare le macchine? Può trasformarle in oggetti sensibili, che ci restituiscano l’intelligenza e la passione impiegata da noi, i loro artefici, i genitori di una nuova specie di creature artificiali? O è addirittura possibile programmare i comportamenti umani, come si programma un normale software per computer?

Le istanze transrealiste mettono in discussione l’idea stessa di realtà, come afferma Rucker nel suo manifesto:

«L’idea di corrompere la realtà consensuale è persino più importante.»7

La realtà consensuale è stabilita di comune accordo tra i membri della comunità, quindi vige il divieto di modificarla. L’alienazione è l’unica alternativa: fare un salto quantico verso il livello fantascientifico, evadere dalla realtà poiché non la si può intaccare. Secondo Rucker questa idea ha forti connotati reazionari:

«Il Transrealismo è una forma d’arte rivoluzionaria. Uno dei più importanti strumenti del controllo di massa del pensiero è il mito della realtà consensuale. In stretta relazione a questo mito c’è la nozione di individuo normale8

Il movimento transrealista vuole eliminare la frattura tra mondo fantastico e realtà fattuale, e anche cercare altri mondi all’interno della realtà sensoriale quotidiana:

«Il Transrealismo cerca di occuparsi non solo della realtà immediata, ma anche della realtà ulteriore nella quale la vita è innestata.»9

Per i transrealisti la realtà (uomini, natura, cose, manufatti tecnologici…) non è semplicemente da esplorare come dato oggettivo, ma essa stessa genera nuove dimensioni, quelle che ogni individuo crea con lo stupore della percezione soggettiva. Questo atteggiamento ricorda molto alcune istanze surrealiste sintetizzate nell’aforisma “Un altro mondo esiste, ma è dentro questo qui.”10La materia che dialoga con sé stessa, e si confonde con la propria rappresentazione, ricorda molto il dualismo hardware/software che caratterizza il mondo dell’informatica e dell’informazione.

Quest’idea di realtà multi livello è alla base del film ‘The Matrix’11. Il progetto cinematografico dei fratelli Wachowski porta alle estreme conseguenze il concetto di un universo costituito di pura informazione. Sembra solo science fiction, ma in realtà questa idea riprende importanti teorie scientifiche, in particolare quella degli Automi Cellulari, che successivamente hanno portato a una visione pan-computazionalista del mondo fisico (la ‘Digital Physics’12 di Edward Fredkin), secondo cui è il calcolo a governare le leggi dell’universo, visto come un immenso computer.

Mentre in ‘Neuromancer’ e ‘Blade Runner’ la Matrice era un sistema informativo al quale ci si doveva collegare per vivere nel mondo virtuale della Rete, in ‘The Matrix’ tutto è informazione. Cose e persone esistono a livello cognitivo e sensoriale sulla grande piattaforma computazionale ‘Zion’. ‘Zion’ è stata predisposta da un’Intelligenza Artificiale che ha deciso di prendere il sopravvento quando gli esseri umani hanno cercato di “staccare la spina” ai computer.

I corpi delle persone giacciono in loculi, sono tenuti in vita in maniera artificiale, e fungono da puro supporto fisiologico al cervello, che è immerso nel mondo simulato della Matrice, quasi fossero dei componenti di memoria incastonati nella grande piastra madre di questo mega computer.

Il protagonista Neo/Keanu Reeves viene indotto da Morpheus/Laurence Fishburne, il capo della resistenza, a immergersi nella Matrice e sfidare la forza oscura che vuole impossessarsi del mondo.

Così egli si ritrova in una realtà simulata, dietro la quale ci sono solo bit. Neo è il predestinato, l’unico in grado di entrare in armonia con la Matrice. Nel suggestivo finale, prende totale coscienza della propria condizione e in una sorta di Samahdi13 digitale, egli stesso si percepisce come pura informazione, ed è per questo in grado di distruggere i suoi nemici. Nel momento dell’illuminazione di Neo, la Matrice si scioglie in una pioggia di simboli verdi che invadono tutti i terminali.

In questa sequenza emerge un’estetica dell’informazione codificata, una bellezza intrinseca dei codici, che ritroviamo anche in una corrente della programmazione per computer denominata ‘Literate Programming’14, teorizzata da Donald Knuth, guru dell’informatica moderna e autore delle bibbia del settore, “The Art of Computer Programming”.

Knuth è venerato per quest’opera, ma soprattutto per aver creato il famoso compilatore di testi scientifici TeX. Con questo compilatore di testi e formule è possibile raggiungere la perfezione nel typesetting delle espressioni matematiche più complicate con precisione e controllo assoluti. TeX è un programma ignoto al di fuori del mondo accademico, ma ha influenzato molto il senso dell’estetica nella produzione scientifica e nella codifica della software.

Knuth infatti immagina che i codici per programmare i computer debbano avere una loro espressività e bellezza perché, oltre che dare istruzioni alle macchine in maniera rigorosa, univoca e non contraddittoria, devono poter essere letti e compresi da altri programmatori. È come se un programmatore, nello stendere le specifiche di un software, dovesse raccontare a un altro programmatore, il suo lettore, cosa lui intende far fare a quel computer. Knuth sentenzia:

«Il professionista di ‘Literate Programming’ può essere considerato come un saggista, la cui preoccupazione principale è curare l’esposizione e l’eccellenza dello stile. Un tale autore, con in mano un repertorio di parole, sceglie i nomi delle variabili con attenzione e spiega cosa significa ogni variabile. Lui si impegna a codificare un programma che sia comprensibile perché i suoi concetti sono stati introdotti in un ordine che è adatto alla comprensione umana, utilizzando una miscela di metodi formali e informali che si rafforzano a vicenda.»15

Questa è un’arte ardita e complessa, perché il programmatore deve contemplare un livello espressivo ed estetico adatto a un lettore umano, con il vincolo di utilizzare una sintassi comprensibile a un computer, e una logica ineccepibile per raggiungere un determinato risultato finale. Quindi da un lato abbiamo un testo che agisce sulla parte fisica della macchina, l’hardware, dando istruzioni per l’esecuzione di un calcolo, e dall’altro vi è un aspetto estetico del codice rivolto ad altri lettori/programmatori che devono comprendere e poter riprodurre quella narrativa.

Potrebbe essere questo un terreno interessante di sintesi tra le due culture, artistica e scientifica, se solo fosse accessibile agli studiosi di tutte e due le parti, cosa difficile, vista la natura ostica della materia.

Qui si insinua il dilemma: dove risiede il potere narrativo, nelle persone che interagiscono con gli oggetti o negli oggetti stessi? Quanta parte di noi è già dentro gli oggetti, e quanto gli oggetti, più o meno tecnologicamente sofisticati, possono essere sede di pensieri ed emozioni? È una domanda men che oziosa, perché è ormai alle porte una nuova generazione di robot che sembra davvero portare l’intelligenza artificiale a un livello mai sperimentato prima, soprattutto grazie alle nuove tecniche di machine learning. Come linea estrema di questo ragionamento uno si potrebbe addirittura domandare se gli stessi computer possano essere capaci di generare una loro letteratura.

Ci sarebbe forse voluta la maestria e la sensibilità di Italo Calvino per esplorare questi concetti. Calvino aveva già parzialmente introdotto, nella ‘Leggerezza’ delle ‘Lezioni Americane’, l’idea del software e dell’informazione come parte duale dell’hardware, la parte ‘pesante’ del calcolatore.

Ecco come si esprimeva:

«È vero che il software non potrebbe esercitare i poteri della sua leggerezza se non mediante la pesantezza dell’hardware; ma è il software che comanda, che agisce sul mondo esterno e sulle macchine, le quali esistono solo in funzione del software, si evolvono in modo d’elaborare programmi sempre più complessi. La seconda rivoluzione industriale non si presenta come la prima con immagini schiaccianti quali presse di laminatoi o colate d’acciaio, ma come i bits d’un flusso d’informazione che corre sui circuiti sotto forma d’impulsi elettronici. Le macchine di ferro ci sono sempre, ma obbediscono ai bits senza peso.»16

Però è molti anni prima, nella conferenza ‘Cibernetica e Fantasmi’ del 1967, che Calvino affronta in maniera esplicita e diretta il tema del calcolatore come possibile generatore di senso, di poesie e romanzi, visto come un processo puramente combinatorio.

Calvino immagina una macchina calcolatrice che, impostate le regole di base, predisposte dalla volontà dello scrittore e dal contesto culturale, sia in grado di generare varie combinazioni di parole e frasi che prima o poi faranno emergere nel lettore la consapevolezza di qualcosa che era presente a livello inconscio. Quindi la letteratura come processo di rivelazione del mito, che è principalmente nelle mani del lettore/evocatore, con lo scrittore nel ruolo tecnico di generatore di tutti i possibili percorsi narrativi.

Calvino infatti afferma:

«La macchina letteraria può effettuare tutte le permutazioni possibili in una dato materiale; ma il risultato poetico sarà l’effetto particolare di una di queste permutazioni sull’uomo dotato d’una coscienza e d’un inconscio, cioè dell’uomo empirico e storico, sarà lo shock che si verifica solo in quanto attorno alla macchina scrivente esistono i fantasmi nascosti dell’individuo e della società.»17

La poesia e l’arte emergono certo dalle vicende umane, ma anche da macchine automatiche come quelle di Calvino e da oggetti apparentemente inanimati, che prendono vita perché noi lettori dei fenomeni naturali ci leggiamo qualche cosa, fino a immaginare che possano vivere una vita propria e parlarci, col linguaggio universale e profondo del mito.

Non c’è bisogno degli effetti speciali dei film di fantascienza per far scoccare la scintilla della vita nelle macchine. Bastano gli oggetti tecnologici di tutti i giorni che in una sorta di realismo magico del quotidiano ci fanno scoprire una dimensione che pensavamo impossibile. I dispositivi segnalano la loro presenza, predispongono narrazioni, agiscono nel mondo e hanno anche le loro debolezze.

Forse, come accade per tutte le tecnologie che creiamo e che sembrano altro da noi, alla fine sentiamo il loro richiamo, perché in fondo l’hardware siamo noi.

1 Traduzione colloquiale dell’inglese hardware.

2 ‘A Transrealist Manifesto’ by Rudy Rucker (1983) Web: http://www.rudyrucker.com/pdf/transrealistmanifesto.pdf

3 Ibidem ‘Trans. Manifesto’ R. Rucker op. cit., p. 1, traduzione di “The Transrealist writes about immediate perceptions in a fantastic way”

4 Ibidem ‘Trans. Manifesto’ R. Rucker op. cit., p. 1, traduzione di “The tools of fantasy and SF offer a means to thicken and intensify realistic fiction”.

5 ‘Blade Runner’ (1982) | T | 117 min | Sci-Fi, Thriller; Web: http://www.imdb.com/title/tt0083658/

6 Versione italiana ‘Neuromante’ di William Gibson (1984); Web: https://it.wikipedia.org/wiki/Neuromante

7 Ibidem ‘Trans. Manifesto’ R. Rucker op. cit., p. 2, traduzione di “The idea of breaking down consensus reality is even more important.”

8 Ibidem ‘Trans. Manifesto’ R. Rucker op. cit., p. 2, traduzione di “Transrealism is a revolutionary art-form. A major tool in mass thought-control is the myth of consensus reality. Hand in hand with this myth goes the notion of a normal person.”

9 Ibidem ‘Trans. Manifesto’ R. Rucker op. cit., p. 1, traduzione di “Transrealism tries to treat not only immediate reality, but also the higher reality in which life is embedded.”

10 “Il y a un autre monde mais il est dans celui-ci.” [P. Eluard]

11 ‘The Matrix’ (1999) | T | 136 min | Action, Sci-Fi; Web: http://www.imdb.com/title/tt0133093/

12 Digital Physics; Web: https://en.wikipedia.org/wiki/Digital_physics

13 Termine sanscrito che indica: unione totalità; assorbimento in, concentrazione totale dello spirito; congiunzione. Web: https://it.wikipedia.org/wiki/Sam%C4%81dhi

14 Literate Programming, Web: https://en.wikipedia.org/wiki/Literate_programming

15 D. KNUTH, “Literate Programming (1984)”, in Literate Programming, CSLI, 1992, p. 99. Web: http://www.literateprogramming.com/knuthweb.pdf, section ‘A. INTRODUCTION’, p. 1

16 I. CALVINO, Leggerezza, in Lezioni Americane, Oscar, Mondadori, 1993, Milano, p. 12

17 I. CALVINO, Cibernetica e fantasmi, (1967), in Una pietra sopra, in I. C., Saggi I, Meridiani, Mondadori, 1995, pp. 205–225. Da un ciclo di conferenze tenute a Torino, Milano, Genova, Roma e Bari dal 24 al 30 Novembre 1967

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