Gli utenti vogliono le novità, anzi no

Giada Forte
Doralab Thinking
Published in
4 min readOct 31, 2018

Google sta cambiando l’interfaccia del client di posta Gmail, con un rilascio graduale dell’ultima versione a tutti i suoi utenti. Questo è l’ultimo tassello di un processo che va avanti da anni con test continui su nuove funzionalità che creino un’esperienza di e-mailing “più coinvolgente, interattiva e operativa”.

L’attenzione all’esperienza degli utenti è alta, ma l’implementazione presenta qualche sbavatura.

Tra le novità inserite, forse la più interessante è la modalità confidenziale, grazie alla quale, a partire da una data impostata dal mittente, l’e-mail inviata non sarà più accessibile al destinatario.

Nella mail confidenziale, l’utente trova un link sotto forma di pulsante: non somiglia al meccanismo del phishing? Sembra che, con una trovata più o meno plausibile, siamo invitati a cliccare su un link che ci porterà su un sito che ci estorcerà qualche dato personale.

Questa scelta rischia di ridurre la nostra soglia di attenzione alle mail che contengono link da cliccare. E questo grado di attenzione dovrebbe, invece, rimanere sempre alto.

Alcuni utenti hanno segnalato il problema: da Google dicono che ci stanno lavorando.

Il nuovo avanza, ma gli utenti preferiscono il vecchio

Recentemente non è cambiata solo l’interfaccia di Gmail, ma anche quella di alcune banche.

Leggendo i commenti degli utenti sugli store virtuali Google Play ed Apple e sui forum dei clienti, la prima reazione generale potrebbe essere riassunta in: “Rivoglio la mia vecchia banca!”. Però, già un mese dopo il lancio, a seguito di qualche quick fix mirato, la loro opinione è cambiata, si è in parte mitigata e in tanti hanno ammesso di non voler tornare alla versione precedente. Questo perché hanno imparato a usarla.

È normale sentirsi spaesati di fronte a un’interfaccia nuova, passiamo da picchi di entusiasmo e di cieca fiducia di chi sa che alla fine, dopo qualche tentativo, ce la farà e imparerà a usarla, alternati a momenti di rassegnazione e sconforto.

Cosa pensa un utente che sta imparando a usare un nuovo prodotto © www.theexcitedwriter.com

Capita con qualsiasi tipo di prodotto: ad esempio quando cambiamo automobile, passiamo più o meno una settimana a cercare di capire dove si trova e come attivare il tergicristalli. Certo, a differenza delle interfacce web, i prodotti fisici seguono un’impostazione più o meno standard: siamo abbastanza sicuri di trovare il comando dei tergicristalli accanto al volante.

Con le interfacce web, non è così scontato: ci sono delle convenzioni, certo, ma a queste possiamo applicare anche cambiamenti radicali.

Questo significa che quando apportiamo un cambiamento sostanziale a un’interfaccia, di fatto costringiamo gli utenti a imparare a usarla da zero.

Per supportare gli utenti nell’imparare a usare un nuovo prodotto, dobbiamo specificare chiaramente quali vantaggi immediati e a breve termine ne ricaveranno. Aiutarli a capire che il cambiamento li faciliterà nei loro task quotidiani.

Mettersi nei panni degli utenti è utile, ma non basta

Gli utenti sono bravi investigatori, riescono a fiutare la “fregatura” in 15 secondi. C’è qualcosa che non quadra. Prima riuscivano a compiere un’operazione con un click. Ora ne hanno bisogno di 3. Prima ci mettevano 2 minuti. Ora ce ne vogliono 8.

Se l’utente si sente frustrato, l’esperienza è destinata a fallire: le novità non servono se l’utente nemmeno arriva a navigarle, se si ferma alla prima (nuova) macroscopica criticità.

Come possiamo aiutare gli utenti ad apprendere più velocemente le novità? Da esperti di User Research consigliamo ai nostri clienti di “eat our own dog food” (“mangiare la pappa del nostro cane”), un’espressione anglofona intraducibile in italiano, che significa mettersi nei panni degli utenti, usare il prodotto come lo userebbero loro per capire quali nuove implementazioni avranno un impatto positivo reale sul job.

Per capire di quali novità hanno bisogno gli utenti, dobbiamo conoscerli mettendoci nei loro panni

I limiti di questa pratica, però, sono evidenti:

1. Nessuno usa il prodotto come e quanto te

Chi realizza un’interfaccia si abitua ad alcuni aspetti, come layout e funzionalità, che diventano ovvie se viste e riviste ogni giorno, ma di solito non sono così intuitive per chi interagisce per la prima volta con il prodotto.

2. Potresti non essere la persona per cui è stato pensato il prodotto

Molte interfacce sono disegnate, con le migliori intenzioni, da qualcuno che non ha mai usato o non ha bisogno di usare quella interfaccia nella sua vita quotidiana. Nel caso della banche, magari chi ha progettato la nuova interfaccia gestisce il suo conto corrente con un operatore in filiale!

3. Pensi che la tua expertise possa sostituire il coinvolgimento degli utenti

Il “dogfooding” non è un punto di arrivo, anzi, è il punto di partenza per (ri)costruire il percorso ideale che l’utente dovrebbe fare all’interno dell’interfaccia, ma rimane una ricostruzione parziale, dal solo punto di vista di chi l’ha realizzata.

Provare a usare l’interfaccia come lo farebbero gli utenti è un esercizio utile per individuare i punti chiave dell’interazione, ma poi è necessario coinvolgere gli utenti finali, perché solo loro posso mostrarci l’uso reale dell’interfaccia, i suoi benefici immediati e le sue criticità più o meno severe.

Ecco perché Doralab aiuta i propri clienti a impostare una solida strategia di User Research fin dalle prime battute del processo per:

  • ridurre i tempi di sviluppo del prodotto, poiché si riesce ad avere un quadro completo di ciò che si sta realizzando e a chi è destinato;
  • semplificare la risoluzione delle divergenze d’opinione: la risposta ai disaccordi può essere “testiamo questa idea!”;
  • evitare costose correzioni di problemi alla fine del progetto, quando il prodotto è già finito e pronto per essere lanciato.

--

--