Dalla biomimesi alla progettazione computazionale: intervista ad Alessandro Zomparelli

DREAM FabLab Team
DREAM FabLab
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4 min readMar 9, 2017

«Non esiste il software perfetto. La giusta combinazione di strumenti ci rende flessibili e capaci di fronteggiare differenti esigenze progettuali». Alessandro Zomparelli, docente della DREAM Academy di Città della Scienza, ci spiega quali sono i vantaggi dell’utilizzo di Blender, un software open source, dinamico e in continua evoluzione.

Computational designer laureato in Ingegneria edile-architettura, Zomparelli​ è professore dell’Accademia di Belle Arti di Bologna per il corso di Design del prodotto, dove insegna Tecniche di modellazione digitale 3D.

È membro di Co-de-iT​ con cui ha collaborato allo sviluppo di un sistema di barriere coralline artificiali; membro e co-fondatore di MHOX​ con cui esplora le opportunità del computational design e della stampa 3D applicate allo sviluppo di prodotti nell’ambito dell’arte, della moda e del medicale. È sviluppatore di add-on di Blender per la realizzazione di pattern a partire da superfici mesh.

Alessandro Zomparelli sarà docente di Blender per la DREAM Academy.

Quali credi siano, per un progettista, i vantaggi nell’utilizzare Blender?

Tralasciando il fatto che si tratta di un software gratuito, la sua natura open source lo rende estremamente dinamico, vedendo implementate continuamente nuove funzionalità grazie al costante contributo di numerosi membri attivi della community.

Personalmente la caratteristica che più apprezzo di questo software è la facilità con cui in poco tempo riesco a tradurre in 3D un pensiero e la rapidità con cui sono in grado di esplorare svariate possibilità individuando in modo più efficace le soluzioni di design più interessanti. Questo lo rende un ottimo supporto alla progettazione offrendo una flessibilità che non si trova facilmente in altri software.

Una volta compresa la logica e la struttura del software diventa difficile farne a meno. Grazie alle funzionalità di rendering, animazione, video-editing e compositing è diventato uno strumento fondamentale del mio workflow creativo.

Come altri software di modellazione mesh non credo sia in grado di rimpiazzare completamente i software più utilizzati nell’architettura, tuttavia credo possa dare un grosso contributo se affiancato ad essi. Non esiste il software perfetto, però la giusta combinazione di strumenti ci rende flessibili e capaci di fronteggiare diverse esigenze progettuali.

Quali sono i progettisti più interessanti, in ambito design e architettura, che utilizzano un approccio computazionale al design?

Una realtà che ho sempre apprezzato e stimato è quella di Nervous System. Credo che il loro lavoro sia riuscito a cogliere appieno le potenzialità del design generativo applicato alla stampa 3D. Sono riusciti per primi a codificare un sistema estetico e funzionale e a renderlo accessibile ad un utente generico, il quale viene invitato ad esprimere la propria creatività senza rischiare di stravolgere la natura e l’efficacia del design. Penso che i loro progetti costituiscano un interessante bilanciamento in cui viene rivalutato il ruolo del designer in relazione a quello dell’utente/cliente. Hanno esplorato in maniera più profonda un nuovo paradigma produttivo di “mass customization” precedentemente poco esplorato.

Alcuni progetti ai quali hai lavorato, tra cui Hive, offrono una visione provocatoria della moda associata al design computazionale. Quale apporto progettuale e produttivo possono offrire in questo ambito gli strumenti che utilizzi?

Nel caso di HIVE la richiesta iniziale riguardava la realizzazione del corpo di una mascherina antismog attraverso la stampa 3D a sinterizzazione di polvere di nylon. Come sappiamo bene, questa tecnologia gode da un lato di un’ottima flessibilità nel tipo di geometrie riproducibili, ma al contempo soffre di una gamma limitata di materiali. Questo ha offerto delle condizioni interessanti su cui lavorare, ovvero una sfida chiara ed una caratteristica ben precisa da valorizzare. Grazie infatti all’elevata elasticità del nylon sinterizzato è possibile creare interessanti variazioni di struttura passando da aree più rigide ad aree estremamente flessibili senza soluzione di continuità. Adottando uno stesso materiale, ma andando a riprodurre strutture geometriche differenti è possibile ottenere prodotti con caratteristiche decisamente interessanti.

È proprio sulla base di questo tipo di esigenza che ho iniziato a sviluppare Tissue, una add-on per Blender che consente di realizzare con relativa rapidità maglie di elementi anche molto articolati.

Che rilevanza ha la biomimetica nelle tue opere?

Sebbene il riferimento biologico sia, a livello estetico, una costante del mio lavoro, non credo di poter parlare altrettanto frequentemente di vera e propria biomimetica. In alcuni progetti viene perseguito un obiettivo performativo ben preciso, ma capita talvolta che lo spunto iniziale di tipo biologico lasci poi il passo ad applicazioni differenti, non direttamente predicibili. Un esempio è il progetto dei Reef, dove l’applicazione di un algoritmo di reaction-diffusion (fenomeno responsabile della formazione dei pattern sulla livrea dei pesci e di numerosi animali in generale) non discende in maniera diretta dalla sua funzione in natura, quanto più da una sua caratteristica morfologica. Quello che era inizialmente un pattern bidimensionale sulla livrea dei pesci è stato traslato in 3D divenendo strategia di articolazione di pieni e vuoti utile alla definizione geometrica del progetto. In questo credo che nel mio lavoro si tratti forse più spesso di ispirazione, non di tipo concettuale, ma di tipo processuale.

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