C’era una volta

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22 min readJan 20, 2016

Tutte le favole cominciano allo stesso modo. Che pizza!! Sarebbe ora di cambiare il genere, perchè non cominciare dalla fine? Allora… Tutti stavano vivendo felici e contenti, il principe aveva baciato la sua bella principessa, il lupo era stato giustamente squartato, il drago sconfitto, il bambino era nato. La pace regnava su tutto. I cittadini erano assolutamente annoiati, non c’erano nemmeno abbastanza pettegolezzi sulla strega cattiva. Il principe aveva addirittura attaccato al chiodo la sua bella armatura azzurra. Fino a quando, un giorno, non si scoprì che era stata trafugata. Chi avrebbe potuto rubarla? Le ricerche nel regno non avevano dato buoni frutti, quando qualcuno notò che vicino alla pelle del lupo squartato (che era stata lasciata in bella mostra), era stata attaccata un’iscrizione che recitava: “Brutto bastardo, non riavrai mai la tua bella cotta di maglia, se non mi ridarai indietro mio figlio così come l’ho generato”. Il tutto era firmato “Mamma lupo”.

Questione di priorità

Ora, dovete sapere che se anche il lupo cattivo è un nemico che qualsiasi cacciatore può tranquillamente affrontare, mettersi contro una Mamma lupo è una faccenda totalmente diversa.
Anche un prode cavaliere ammazzadraghi come il nostro principe azzurro era giustamente intimorito all’idea di doversi confrontare con un tale avversario. Aveva dunque deciso, osservando nello specchio magico i progressi della pancia che aveva cominciato a crescere dopo il matrimonio, che della sua bella armatura azzurra, in fondo, non gli importava granchè: che Mamma lupo se la tenesse! Nella sua futura carriera di Re del Reame non ne avrebbe certo avuto bisogno.

Tutto sarebbe dunque rimasto così com’era, se non fosse che, come voi tutti saprete, esiste un essere che ogni principe azzurro teme molto più di qualsiasi orda di draghi, giganti e mamme di lupi cattivi: la sua bella principessa!
Ora, si dà il caso che la bella principessa fosse particolarmente legata a quello scintillante oggetto che le ricordava del suo principe quando ancora era prestante, atletico ed incredibilmente attraente e non fosse quindi totalmente disposta ad accettare che ora esso facesse bella mostra di sé nella tana di Mamma lupo, né tantomeno che tutto il vicinato si rendesse conto di quanto flaccido e sfaticato fosse diventato il suo caro maritino.
Resasi conto della decisione del consorte, decise quindi di suggerirgli che se lui non avesse più voluto essere un principe azzurro, forse lei non avrebbe più voluto essere una principessa sul pisello.

E fu così che, capita l’antifona, il principe azzurro decise che sarebbe stato meglio per la sua vita coniugale se avesse passato almeno un po’ di tempo a fingere di lottare alla ricerca della sua adorata cotta di maglia.
Il giorno seguente, dopo essere faticosamente entrato nell’armatura prestatagli dal cavaliere verde, salì in groppa al suo fido, ancorché appesantito, destriero e si incamminò verso il bosco.

Il bosco

Il bosco era talmente un casino, che la Milano-Venezia nell’ora di punta era una stradina di campagna. Da una parte del bosco, c’erano Cappuccetto Rosso con dietro un Lupo, un Cacciatore, la Nonna e anche la Mamma con la torta in mano che le correva dietro. I quattro facevano a gara a chi l’avrebbe scannata prima, “tanto”, disse la Nonna, “a me le torte che portava facevano schifo”.
“Ma sono le mie!!”, rispose la Mamma. E giù un litigio fenomenale in mezzo alla stradina del bosco, con tutti i Personaggi delle varie favole con i loro carri, cavalli o Stivali delle sette leghe dietro di loro ad insultarle.
Chi diceva: “Non è possibile, sono uscito stamattina alle cinque per farmi infornare dalla strega cattiva! Sono le dieci e sono ancora qui!”. “Ha ragione mio fratello”, disse Grethel.
Pollicino fumava una sigaretta nervosamente, pensando che forse quella pianta di fagioli non era stato questo grande affare.
Dall’altra parte del bosco non c’era meno traffico in quanto lo Scorpione stava tentando di convincere la Rana in tutti i modi a farsi traghettare nell’altra sponda del ruscello, mentre un Lupo ed un Agnello si facevano i dispetti intorbidendosi a vicenda l’acqua. Guadare il ruscello non era possibile.
Il cavaliere verde-azzuro incominciava a chiedersi perchè cavolo si stava tanto preoccupando per una sciocca armatura che, tra l’altro, gli stava pure male. E pensare che nel pomeriggio avrebbe avuto anche una partita di bridge con Merlino, il Re e la Sirenetta.

Mai scendere a compromessi

Mentre il cavaliere verde-azzurro si guardava attorno chiedendosi come uscire da quella situazione delirante, la sua attenzione fu improvvisamente attratta da una donna estremamente affascinante in sella ad un cavallo nero proprio dietro di lui. Immediatamente i suoi riflessi da principe azzurro si riattivarono: tirò in dentro la pancia, si accertò che i suoi boccoli biondi fossero al loro posto e sfoggiando il suo sorriso smagliante si rivolse alla bella sconosciuta: “Salve, sono il Principe Azzurro! Non credo di averti mai visto in giro bellezza: da che favola esci?”.
Lei lo squadrò dall’alto in basso con un sorriso enigmatico in volto, poi improvvisamente scoppiò in una risata fragorosa: “Tutti uguali voi uomini! Basta un piccolo incantesimo di bellezza e cambiate subito atteggiamento. Davvero non mi riconosci? E sì che l’ultima volta che ci siamo visti sembravi molto interessato al mio corpo: in una bella bara di legno!”.
Improvvisamente il principe riconobbe l’espressione sarcastica che si era disegnata su quel volto: “La strega cattiva?! Non può essere: credevo di averti uccisa! E poi sei così… così… figa!”.
Ancora una volta la strega lo derise: “Pensavi veramente che bastasse quella tua misera spadina floscia per sbarazzarti di me? E credevi pure che una donna coi miei poteri non potesse fare niente per migliorare quel patetico aspetto da vecchietta con cui mi hai conosciuta? Diciamo che ti ho fatto credere quello che mi faceva comodo che pensassi… ma ora quasi mi vergogno di essermi data tanta pena per giocare con te: un cadavere mezzo putrefatto sarebbe stato più che sufficiente per quel compito.”.
Incerto su cosa rispondere e ormai totalmente assorbito dall’ampia scollatura della strega, il principe si limitò a sorridere con aria trionfale.

Totalmente disarmata dalla stupidità del principe, la strega passò a domandarsi come avrebbe potuto sfruttare quell’ammasso di muscoli (e ciccia) ricoperto di latta. “Ma cosa ci fai qui?”, chiese “Credevo che ormai avessi messo su famiglia con la bella principessa.”.
“Già,” rispose il principe, ringalluzzito dalla possibilità di parlare di sé, “ma quella sgualdrina della Mamma Lupo ha osato sottrarmi la mia mitica armatura nella vana speranza di riavere indietro il suo figliastro da me coraggiosamente ucciso: questo è un affronto che non può passare impunito! Sono dunque diretto a casa sua per riprendermi ciò che è mio ed insegnarle una volta per tutte come ci si comporta!”.
La strega aveva già capito cosa avrebbe fatto: “E’ sicuramente un gesto nobile da parte tua! Ma non credi che sarebbe ancora più nobile se riuscissi a raddrizzare mamma lupo, riavere la tua fantastica armatura e fare anche sì che una famiglia si possa ricongiungere e vivere felice e contenta?”
Il principe aveva un udito molto sviluppato per i lieto fine e quello sicuramente suonava come tale, ma sapeva anche di non dover accettare passivamente i consigli di una strega cattiva, così rispose: “Scorgo del bene nelle tue parole malefiche. Faremo così: ti ordino di dirmi come posso realizzare questo lieto fine, così che anche tu sia migliorata dalle buone azioni che compirò!”.
La strega a stento represse le risa e, cercando di sfoggiare il suo viso più contrito, confessò: “Va bene, nobile principe, farò come dici: si dà il caso che io conosca un rituale segreto in grado di ridare la vita alle pelli dei lupi morti. Se tu riportassi il lupo da sua madre, entrambi ti sarebbero talmente grati che da quel giorno in avanti non potrebbero fare a meno di comportarsi bene… e vivrebbero per sempre felici e contenti.”.

Il principe soppesò la situazione: era sicuro che quello fosse un lieto fine ed inoltre gli avrebbe risparmiato il problema di dover affrontare Mamma Lupo… ma non avrebbe fatto molto bene alla sua reputazione risolvere la situazione con l’aiuto della strega cattiva. D’altro canto quella storia era già da riscrivere in partenza, quindi non avrebbe fatto molta differenza apportare qualche cambiamento minore anche alla fase centrale: già si vedeva minacciare la strega nell’eroico tentativo di salvare Mamma Lupo evitando ogni spargimento di sangue (il che era molto ben visto dai critici ufficiali delle favole).
Decise dunque che quella soluzione era veramente perfetta e si complimentò con se stesso per averla escogitata. Ancora una volta si rivolse alla strega: “Molto bene strega: ora ti ordino di portarmi alla tua capanna e mostrarmi come riportare in vita il lupo cattivo!”
A queste parole la strega fece aprire un varco tra gli alberi del bosco e si incamminò in quella direzione, subito seguita dal principe che si stava ancora domandando come modificare la frase appena pronunciata di modo che potesse entrare nella sua versione ufficiale della favola.

Non svegliare il can che dorme…

Mentre il cavaliere verde azzurro si faceva sedurre dal fascino emanato dal lifting della sua vecchia nemica, al castello Merlino, il Re, la Sirenetta e il Genio della lampada si affrontavano in una combattutissima partita a bridge.
Il problema era che da tre partite vinceva sempre il Re, il quale, avendo previamente strofinato la lampada, continuava a richiedere al Genio la vittoria. Merlino e la Sirenetta non erano proprio contenti della situazione, ma si sa …, il Re è pur sempre il Re, e speravano che prima o poi i desideri a sua disposizione finissero.

In quel momento transitò per la sala da giochi la principessa che, non vedendo il suo beneamato intento nella partita a bridge quotidiana, si chiese come mai non fosse ancora riuscito a portare a termine un compito così semplice.
“Non è più come una volta…” pensò la dolce, ma esigente principessa “c’era un tempo in cui ogni mio desiderio veniva esaudito all’istante. Volevo una pelle di drago … ed eccomela servita; volevo le extension alle trecce per fuggire da una buia torre in cui ero prigioniera … e lui me le portava. Ah! I bei tempi andati. Ora non fa che poltrire, giocare a bridge e guardare le altre castellane. Come minimo si sarà dimenticato della sua missione e starà poltrendo sotto un albero. Aspetta che controllo.”
La pricipessa estrasse dalla sua borsetta una moneta d’oro e si diresse verso un’enorme macchina dallo schermo lucido, su cui campeggiava una strana scritta dai colori sgargianti: “Specchio delle tue brame”. Al di sotto era stato aggiunto “Guarda e divertiti, un giocatore-una moneta d’oro; due giocatori-due monete d’oro. V.M. 18”. Sullo schermo passava ad intermittenza lo slogan: “Insert gold coin”. La principessa infilò la moneta in una fessura alla base dello ‘specchio’ ed una voce metallica immediatamente giunse da esso:
“Cosa vuoi vedere, porcellino? A quale puledra sei interessato?”
La principessa era furibonda di rabbia, perchè quelle poche parole le bastarono a capire perchè il principe non volesse che lei si avvicinasse a quell’aggeggio. “Serve solo per telefonare ai miei genitori che abitano in un reame altrettanto lontano lontano”, le aveva sempre detto. Ma la principessa aveva già intuito che quello non era il suo unico utilizzo, dal momento che il principe stranamente telefonava solo a tarda notte. Sperava che servisse solo per telefonare sui cellulari, ma aveva degli strani presentimenti, anche perchè non erano mai arrivate bollette troppo salate. Ora ne aveva le prove e la principessa odiava farsi prendere in giro!
“Fammi vedere quel porco di mio marito”, rispose la rancorosa principessa.

Quando vide nello specchio che suo marito seguiva a cavallo una modella più giovane di lei, il limite fu travalicato. “Adesso ti faccio vedere io, mio caro, quanto si può pagare l’andare a sgualdrine!!”
La principessa percorse le scale che portavano alle segrete del castello in tutta fretta, e una volta arrivata nello studio del torturatore di fiducia del regno, gli disse, decisa a far passare un brutto quarto d’ora al principe:
“Chiamami subito i sette nani!”

CNSSP-7, la squadra

Dei sette nani convocati dalla principessa era presente soltanto quel rompipalle di Brontolo, ed era davvero incazzato come una biscia!
“Beh, si può sapere dove si sono cacciati i tuoi compagni?” S’indispettì la principessa; “Guarda bene, che se io e il principe”, e qui una posata imprecazione contro il coniuge, “vi abbiamo tirato fuori dai guai quando ci eravate immersi fino alla barba, non è stato certo per simpatia! In quanto ‘corpo nanico speciale di spionaggio per la principessa’, sareste tenuti a presentarvi immantinente su convocazione ufficiale!”.
La squadra sette nani, o CNSSP-7, come era stata ribattezzata dopo la riabilitazione dei membri, aveva infatti avuto anni addietro problemi con la legge. Si era scoperto che la cava mineraria dove i nani erano abituati a svolgere la loro professione, era in verità abusiva. Il piano regolatore per la protezione ambientale, redatto dall’associazione abientalista mastro Geppetto & son, prevedeva quella zona a rimboschimento intensivo. E invece i nani avevano divelto l’intera area. Pinocchio aveva radunato uno stuolo di avvocati per fronteggiare i nani in una durissima guerra legale, e aveva avuto la meglio.
La principessa era dunque intervenuta alla difesa dei sette piccoli speculatori, accordandosi con l’accusa, ma pretendendo da loro assoluta ubbidienza come corpo speciale al proprio servizio.

“Brrrooommmmwwwwll. Sgrunt, Ri-Sgrunt!!!” Il borbottio di brontolo assomigliava al rumore di una lavatrice incrostata da 30 chili di calcare. Ad ogni modo, la principessa riuscì a conoscere le ragioni dell’assenza ingiustificata degli altri sei componenti del CNSSP-7

Gongolo si era dato definitivamente all’alcool e alle droghe pesanti; nonostante dei blandi tentativi di uscire dalla dipendenza con sedute di gruppo e terapie farmacologiche, era ricaduto nel tunnel. Ora si impasticcava, si bucava, scolandosi 2 litri di vino all’ora; la domenica tirava di coca. Era finito in terapia intensiva due volte per overdose.
Pisolo si era veramente stufato di sbattersi tutto il giorno per stare sveglio, tra l’altro con scarsi risultati. Si era fatto mandare per posta l’arcolaio della bella addormentata nel bosco, comprato su e-bay, e dopo essersi sistemato le coperte si era punto con il fuso per dormire in eterno, fregandosene di tutto il resto.
Dotto non aveva più smesso di sudare su quei tomi della pesantissima cultura generale; per lo studio aveva perfino quasi smesso di mangiare e dormire. Alla fine aveva sbroccato del tutto, e dovettero rinchiuderlo nella clinica psichiatrica di Babbo Natale.
Cucciolo aveva scoperto come adoperare al meglio il suo mutismo: era partito per Parigi e aveva avuto tantissimo successo come mimo di strada.
Mammolo era finito per innamorarsi di una ranocchia che viveva nello stagno del palazzo, erano una meravigliosa coppia. Ma un giorno, per manifestarsi un gesto d’amore, i due si scambiarono un bacio, e subito la rana si trasformò in una meravigliosa fanciulla. Questo spezzò definitivamente il cuore al povero Mammolo, cosciente che la sua fidanzata gli avesse celato un segreto così importante. Ora sta chiuso in casa tutto il giorno a guardare telenovelas di classe Z in TV.
Eolo, osservando che nessuno lo cagava di striscio, perchè era sempre il nano più sfigato di tutti in quanto privo di una caratteristica peculiare che lo distinguesse dalla media, aveva deciso di farla finita e si era impiccato.

“Non fa niente! Sarai tu a svolgere il compito che ho da impartire!”
Brontolo, sempre più incazzato nero, rimase comunque ad ascoltare la richiesta della principessa.

In Trappola

Proprio in quel momento, il Gatto e la Volpe erano messi davvero alle strette. Erano capitati proprio nella tana della Mamma Lupo, la quale ancora stava portando con estrema rabbia e furore il lutto al suo povero piccolo giovanotto, che già prima dell’inizio di questa storia senza capo né coda aveva già tirato le cuoia.
Ma come diavolo erano finiti in quella situazione?

Il fatto è che, i due, a furia di fingere di essere uno sordo e l’altro cieco, il destino aveva voluto che lo fossero diventati davvero. E, si sa, tra portatori di handicap ci si deve aiutare l’un l’altro: specialmente nel mondo delle favole che è pieno di barriere architettoniche come un tacchino di natale. Avevano quindi provato ad avanzare nel bosco, Volpe davanti e Gatto dietro. Ma si erano accorti che, anche se il gatto poteva udire i passi della volpe, spesso e volentieri andava a sbattere il muso contro un albero; e prima che la Volpe si accorgesse dell’accaduto, non potendo percepire il fracasso nonchè i gemiti del povero felino, i due si erano persi di vista. E ci impegavano ore a ritrovarsi.
Allora adottarono un diverso sistema: Gatto in testa e Volpe in coda. Il problema è che in questo modo i due non avevano la più pallida idea di dove fossero diretti, e vagavano per il bosco nelle ore di punta senza meta. Del resto da quando Disneyland aveva aperto numerose filiali un po’ dovunque, il Paese dei Balocchi viveva tempi di difficoltà economiche, e i due poveracci erano rimasti disoccupati.

Neppure a loro, dicevo, era chiaro come avessero fatto a capitare in quella orribile situazione. Ma se avessero trovato una via di fuga l’avrebbero imboccata volentieri. Si accorsero subito infatti che l’appetito della Mamma Lupo era stato terribilmente incrementato dal dolore della perdita. Il metabolismo dei Lupi funziona diversamente da quello degli umani: in parole povere essi ‘Mangiano per dimenticare’.

“Saaaaalve, o splendida, splendida dama! Vostra gentilezza!” La Volpe cercò di mettere insieme un saluto caloroso credibile, chiaramente urlando come suo solito (difficile regolare il volume quando si è sordi).”Siamo lieti di incontrarvi, e di vedere che state bene, madama. Ma che bel posticino! E’ proprio un bijoux di tana, questa. Nevvero?” Il gatto annuì. “Oh, ma che scortesi! Siamo entrati senza invito, e senza neppure bussare. Non è da galantuomini questo comportamento. Nevvero?” Il gatto annuì di nuovo. “Allora, vi porgiamo i nostri ossequi e ci congediamo, a presto!”.
L’ingresso della tana fu sbarrato dall’enorme corpo di Mamma Lupo che si piazzò proprio ad impedire la fuga dei due malcapitati “Ma lorsignori, vi prego. Non lasciate sola una povera Lupa anziana che ha perso da poco il proprio cucciolo. Se foste davvero gentiluomini terreste certo compagnia a questa vecchia addolorata”. E sforzò un sorriso, che in verità metteva perfettamente in mostra la dentatura completa di Mamma Lupo.
“Ma che denti grandi che avete! Nevvero?” E questa volta il Gatto, che non poteva vedere gli enormi canini a pochi centimetri dal suo collo, non potè annuire, nella speranza che il compare si sbagliasse. “Ahem, volevo dire: avete un meraviglioso sorriso per la vostra età. Di certo il vostro è un’ottimo dentista.” Cercò di cambiare discorso, aveva intuito in cuor suo che quella frase (‘Che denti grandi’), avrebbe potuto metterlo in una scomoda posizione: ad esempio dentro la pancia della padrona di casa.
“Milady, se v’è qualcosa che vi preme, io e il mio compagno cieco saremmo lieti di potercene occupare. E’ nostro imperativo morale aiutare con tutti i mezzi a nostra disposizione una nobile signora in lutto. Nevvero?”, mentre annuiva, il Gatto fece un inchino così profondo e scomposto che perse l’equilibrio e si ribaltò per terra, riverso.
“Oh, ma come siete gentili, miei cari ospiti. Devo ammettere che una cosuccia ci sarebbe…”. La volpe vide in ciò un’opportunità per salvar loro la pelle: “Molto bene, che aspettate a dircela allora?”

Tutti pazzi per Merlino

- No, neanche morto! — dissero quattro voci all’unisono, senza avere la minima possibilità di sentirsi l’un l’altra.

Il principe protestava con la strega cattiva che non era assolutamente possibile tradire Merlino per un’impresa sciocca come il recupero di un armatura azzurra ceruleo. Almeno fosse stata alla moda. Indignato, egli disse che questa era la sua ‘penultima’ parola e che per ‘quasi’ nessuna ragione sarebbe tornato sui suoi passi. E poi Merlino non era un mago da due soldi, sebbene potesse apparire tale a causa della sua insensata passione per il gioco delle tre carte, con cui spillava soldi a tutti i cortigiani.

Nel medesimo battito di ciglia, Brontolo protestava, scatarrava e pestava i piedi davanti alla principessa. No, non voleva entrare negli appartamenti di Merlino per trafugare un filtro che facesse apparire la principessa più figa. Se gli fossero venute di nuovo queste idee balzane solo perchè aveva dormito male la notte a causa di un cecio, di un fagiolo, di un pisello o di qual’altro legume infernale, a lui proprio non importava un fico secco. Conosceva bene Merlino che regolarmente gli fregava le poche monete d’oro che guadagnava in miniera con quello stupido gioco delle carte. Il mago era scaltro e chissà quali trappole aveva preparato… Se la principessa voleva sedurre Aladino per fare ingelosire il principe, che pensasse a qualcos’altro…

- No, neanche morto…- disse la Volpe a Mamma Lupo, senza che il Gatto sentisse nulla, benchè fosse preoccupato dalla faccia del compare. Vedendo Mamma Lupo digrignare i denti, la Volpe cercò di spiegarsi. — Vossignoria cerchi di capire… Merlino è, per così dire, uno tosto, poi usa la bacchetta … FA MAGIE!!- I canini di Mamma Lupo erano sempre più visibili. — Ma Sua Lupità, ci capisca … due poveri disabili come noi … rubare la pozione della rinascita … la più preziosa … forse potremmo suggerirle delle alternative… -

Cavilli

Il mago Merlino era nato molto tempo fa in un piccolo paese della Campania …
Un momento… Non voglio essere un narratore intrusivo, ma questo è chiaramente l’incipit di una storia, ed un inizio c’è già stato parecchi passage più indietro (Come faccia poi la voce narrante ad essere conscia di scrivere su Novlet è un problema che risolveremo verso la fine). Il Regolamento Internazionale delle Fiabe et Favole et Alia proibisce a chiare lettere con l’articolo 88 ter “di cominciare qualsivoglia narrazione, trama, fabula o simili atti di stampo immaginifico et fantasioso senza utilizzare la clausola ‘C’era una volta…’, pena la rinominazione dello scritto o del racconto orale da ‘fiaba’ a ‘romanzo’…” (R.I.F.F.A. 88ter). D’altro canto lo stesso regolamento nel suo articolo 69 bis, proclama senza dubbi: “Di inizio può essercene solamente uno.” (R.I.F.F.A. 69bis). Qui ci troveremmo in un problema veramente cervellotico se non ci salvasse una sentenza dell’ E.L.F.O. (Ente per la Limitazione delle Fiabe Ortodosse) che riguarda il caso Andersen vs La Fontaine. In materia di inizi ed incipit, l’E.L.F.O. si esprime in questo modo: “se proprio non potete fare a meno di inserire flashback, inserti o inscatolazioni narrative, che tuttavia l’E.L.F.O. sconsiglia vivamente in quanto danneggiano l’intellegibilità della trama, allora potete usare la formula ‘C’era due volte…’”.
Risolto questo dubbio, in pace con la coscienza e con la legge, il narratore può continuare ‘felice e contento’.

Ritratto di un Merlino da giovane

C’era due volte, dunque, un bambino di nome Carmine De Filippo, nato in un piccolo paese della Campania.

Vi starete chiedendo come mai parli di questo Carmine, quando dovrei narrarvi la storia del grande mago Merlino. Bene, incollatevi ai vostri schermi a cristalli liquidi, perchè sto per farvi una rivelazione clamorosa: Merlino non è il nome di una persona, ma quello di un titolo, un pò come ‘Assessore alla cultura’, ‘Gran Giurì’, ‘Cesare’, ‘007’, ecc. Questo segreto era stato tramandato per secoli dai druidi del paese di Reame e come tutti i segreti ben custoditi lo conoscevano tutti, nonostante il Merlino di turno avesse la solita barba posticcia, il solito orrendo e fuori moda cappello a punta con le stelline e la solita bacchetta di legno. Alla morte di ogni Merlino veniva radunato il consiglio dei druidi e se ne eleggeva un altro, facendogli giurare che non avrebbe mai rivelato la sua vera identità, nè il suo vero volto. Che vita grama quella del Merlino! Poteri inimmaginabili, ma a venticinque anni già con il barbone e con la prospettiva di sbrodolarsi ogni volta che a cena fosse servita una minestra.

Il penultimo Merlino era stato Wulfric Albert Bewoelf Steelarm il Grande, forse uno dei più famosi druidi di tutta la storia. Salito al potere giovanissimo aveva avuto una vita intensa e travagliata: aveva aiutato Re Artù ad estrarre la spada nella roccia e a fondare quella setta di buone forchette poi meglio conosciuta come ‘Tavola Rotonda’. Aveva sconfitto innumerevoli avversari e molte streghe cattive, tra cui la tristemente famosa Morgana, la cui unica colpa, in realtà, era stata quella di alzare un pò troppo il gomito in presenza del fratello Artù… Quando Wulfric Albert Bewoelf morì alla veneranda età di centoundici anni, però, i druidi non erano più quelli di un secolo prima. L’amore per la natura si era tramutato via via nell’amore per alcune piante e questa passione si era infine trasfigurata nell’ossessione verso alcuni fusticelli con foglie a cinque punte. Molti tra i druidi inneggiavano all’amore libero e alla pace e, in nome di questi ideali, partirono dalla foresta in cerca di posti migliori. Alcuni di essi trovarono riparo in Campania, una regione molto molto lontana dalla capitale di Reame (come qualsiasi altra terra d’altronde … La capitale di Reame è famosa, infatti, tra i cartografi per essere equidistante da qualsiasi altro punto del regno: dista sempre m.m km [m]olti [m]olti chilometri).

In quel paese nacque Carmine e lì conobbe i primi rudimenti di magia, ma anche qualche sano gioco di strada che gli permise in seguito di arrotondare il suo già lauto stipendio di Merlino alleggerendo le tasche di qualche incauto nano voglioso di giocare d’azzardo. Carmine crebbe come uno scugnizzo, facendo a botte con i compagni di gioco e prendendole di sana ragione nove volte su dieci. Egli, infatti, non eccelleva certamente per prestanza fisica, nè per intelligenza acuta. Al corso di magia, nonostante potesse imparare da maghi di fama internazionale (Nostradamus, Paracelso, Gandalf, Albus Silente, per nominarne alcuni), i suoi voti erano scarsi ed insoddisfacenti nella teoria e disastrosi nella pratica. Lui si giustificava dicendo di avere il pallino dell’artista e che non era colpa sua se gli insegnanti non capivano che il design di una Tavola Quadrata era decisamente il migliore. Ripetè il primo anno sette volte e poi, un pò perchè i maestri non lo sopportavano più, un pò perchè altrimenti i compagni lo ammazzavano di botte, lo fecero diplomare abbastanza rapidamente. Quando ebbe quasi vent’anni fu chiamato nella foresta di Reame con i genitori: Wulfric ecc. era morto e bisognava trovare un successore…

Election Day

Il giorno in cui tutti gli aspiranti Merlini si ritrovarono nel bosco per prendere la decisione che li avrebbe legati per gli anni a venire, la tensione era alle stelle. Molte famiglie di druidi non si vedevano da decenni e non si avevano notizie di qualche personalità di spicco che potesse sostituire il tanto compianto Wulfric ecc. Dopo che i vari partiti si furono ricomposti attorno ai propri leader, emersero varie correnti ognuna delle quali cercava di portare acqua al proprio mulino.
C’erano due partiti vasti e trasversali che raccoglievano la maggior parte dei voti a disposizione e che invitavano al ‘voto utile’ a loro vantaggio in vista di un sano bipolarismo che eliminasse tutti i partitini, partitelli ed accozzaglie che potessero rendere ingovernabile il mondo magico.
Il primo partito era capeggiato da un certo druido di nome Allanon, un losco figuro che aveva fatto fortuna in gioventù vendendo lotti del bosco ad avventurieri stanchi di vagare nel vasto mondo e desiderosi di una vita tranquilla in un luogo senza carri, stalle e rumore di traffico. Dalla vendita di ‘Bosco 2’, così Allanon aveva chiamato l’ameno quartiere residenziale costruito in mezzo al bosco, egli era riuscito a ricavare abbastanza monete d’oro per mettere le mani su Magodori, la casa editrice per libri d’incantesimi e su Canale Scoiattolo l’emittente più giovane e cool dell’intero Reame. Con la morte di Wulfric ecc., Allanon aveva deciso di tentare la scalata al potere, anche perchè era continuamente assilato dalle guardie del Re che gli chiedevano di giustificare certe imprese off-shore e alcuni fondi misteriosi che egli aveva registrato nel paradiso fiscale della Terra di Mezzo.
Avversario di Allanon era un giovane galletto che si era fatto strada da poco ed era diventato famoso per aver sconfitto un certo Signore Oscuro in qualche paese al di là del mare. Il suo nome, le cronache lo riportano appena, era H. Potter. L’appena maggiorenne non era privo di intraprendenza nè di una certa faccia di bronzo, si faceva promotore del vento del ‘nuovo che avanza’, ma soprattutto aveva uno staff promozionale dedito al lavoro, fedele e di tutto rispetto. Aveva anche lui qualche scheletro nell’armadio (che dire ad esempio della presunta relazione a tre con gli altri due membri del suo staff: H. Granger e R. Weasley) e la coalizione che lo supportava era più un caravanserraglio che una vera federazione druidica, ma, nonostante le sorti sembrassero avverse, lui sfoderava un ottimismo insano, drammatico e senza senso.
Non potreste MAI immaginare l’asprezza della campagna elettorale, gli insulti che si scambiarono le correnti in lotta ed i sotterfugi a cui arrivarono i due candidati (pare che Allanon offrisse monete d’oro a chi avesse votato per lui, mentre il giovane H. [chissà poi quale era il suo nome] sembra sia arrivato ad offrire addirittura il suo corpo). I druidi più saggi erano schifati dalla situazione e preoccupati per le sorti del bosco in quanto nessuno degli eleggibili sembrava essere abbastanza forte per ottenere una qualsiasi maggioranza.

La situazione in pratica era tragica, si era sull’orlo di una guerra druidica. Ma come spesso accade, laddove sembra esserci più pericolo si scalda anche una tiepida luce di speranza.

Il corpo di Wulfric ecc. era stato messo su di un catafalco in mezzo alla radura del bosco di modo che ognuno potesse rendere omaggio al grande e rimpianto druido. Un giorno in cui la lotta ed il dibattito politico tra i vari candidati era più acceso e veemente, all’improvviso, il corpo morto del druido si alzò di netto, tra lo stupore e la commozione della gente, aprì gli occhi e la bocca e, con l’alito fetente di chi è deceduto ormai da alcuni giorni, pronunciò la parola che risultò decisiva: ‘Cccaaaarmineeee …’.
Da quel momento non si ebbe più bisogno di persuasione, monete d’oro o regalie clientelari: il popolo druidico votò compatto: tutti sulla scheda elettorale scrissero ‘Carmine’ e Carmine prese il 100% dei voti. Il problema fu che nessuno si prese la briga di chiedersi chi fosse questo Carmine, nè se ne esistesse uno; nessuno osò nè mettere in dubbio l’oracolo, nè porsi domande su di esso col rischio sacrilego di profanare le parole del sommo Wulfric ecc.
Per fortuna dei druidi l’anarchia fu evitata perchè effettivamente di Carmine ne esisteva uno, il nostro eroe e futuro Merlino: Carmine De Filippo.

Incominciò in questo modo rocambolesco la vita di Carmine Merlino.

Le tre prove — (1) L’inquitetante trasformazione di Messer Brontolo

Quel giorno Merlino si era svegliato agitato e con un cattivo auspicio. Aveva nuovamente sognato quel mattacchione di Houdinì che in gioventù gli aveva combinato scherzi a volte macabri, come quella volta in cui lo incatenò, lo chiuse in una bara piena di punte di metallo e lo spinse giù per delle cascate alte un centinaio di metri. Se non fosse intervenuto Gandalf — Carmine non riusciva proprio a ricordarsi se con il vestito da sera, quello bianco, o con i soliti quattro stracci di cui andava fin troppo fiero — se la sarebbe vista brutta. Ogni volta che sognava Houdinì c’era qualcosa che andava storto: una volta aveva dovuto denuclearizzare il soldatino di piombo, una seconda volta, invece, aveva perso un pomeriggio per far recuperare la memoria al capo dei trentanove ladroni (39 + il capo = 40, per chi non conoscesse la matematica). E sì che ‘apriti sesamo’ non è una formula difficile, sebbene Merlino si sia sempre chiesto cosa cavolo sia il ‘sesamo’. A scanso di equivoci, Merlino aveva deciso che quella mattina avrebbe sempre portato con sè i suoi tre oggetti più preziosi, perchè il suo sesto senso da ex-ragazzo-di-strada gli diceva che erano in pericolo. La mattina digitò il codice segreto (1111) sul tasterieno della cassaforte e vi estrasse i tre tesori : una boccetta firmata Volpe&Gabbiano con dentro un profumo la cui etichetta recitava: ‘con un solo spruzzo ti renderà mille volte più figa’, la pozione di rivitalizzazione che aveva sintetizzato una notte che, tornando ubriaco dalla discoteca, aveva investito per sbaglio Pollicina e l’attestato di Merlino che gli era stato consegnato una volta eletto. Sentendosi più sicuro, si recò alla partita di bridge con il Re, la Sirenetta e il Principe Azzurro.

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Dopo aver perso un po’ di soldi a causa dell’intervento del Genio, Merlino decise di andare a sbollire la rabbia con una sana pennichella sotto il suo albero preferito. Il suo sonno fu improvvisamente troncato da un rumore mostruoso e fastidioso proveniente dai paraggi: “Sggruuunt, Bluuuuuurg, Graaaaaa”. Merlino balzò in piedi spaventato gridando ‘Al drago, al drago!’, per poi accorgersi che si trattava dei semplici scatarri del suo amico bonaccione Brontolo.
“Mi hai spaventato a morte. Che diavolo vuoi, Brontolo? Non hai altri posti dove agitare la tua barbogia? Vuoi forse farti spennare a tre sette?” ammiccò Merlino.
“Sgrruuunt, Pooouh … Non scherzi Merlino, sgancia figa”.
“Scusa Brontolo, ma proprio non capisco … se vuoi quello che mi chiedi forse potrei portarti da Sherazade”.
“Bluuurg, Bibluurg, Pooooooouhhhziione!!” scatarrò Brontolo, che non volendo, nè forse riuscendo a discutere oltre data la bronchite cronica che lo affliggeva (per altro attaccatagli dal compianto Eolo), passò all’azione.
Dovete sapere che ogni nano ha un segreto. Quello degli altri sei lo abbiamo scoperto al sesto passage di questa storia. Quello di Brontolo è l’altezza. Ovviamente i nani non possono superare i 40–50 centimetri d’altezza, mentre Brontolo è alto un metro e cinquanta. Non è stata Madre Natura, però, a fornirgli questa caratteristica. In realtà, Brontolo è un composto di tre nani perfettamente coordinati tra loro che riescono a vivere in simbiosi. Un nano costituisce i piedi ed ha la testa sul tondo ventre; il secondo nano fornisce le braccia e nasconde la testa sotto la barba, mentre il terzo è la testa del gruppo, nano sulle spalle di nani. L’unica azione che non sono riusciti mai ad armonizzare è la parola. Questo il motivo per cui Brontolo APPARE scontroso e di poche parole: in realtà egli è composto da tre nani logorroici e inteligentissimi che vorrebbero parlare, ma non possono perchè devono nascondere a tutti la loro vera identità. Le origini del trucco dei Brontoli non si sanno, ma risalgono quasi certamente a qualche fissa stralunata di Dotto per la cabala del sette: visto che erano nove fratelli e sette era il numero perfetto, tre avrebbero dovuto fare uno.
Ora stavano per svelare il loro terribile segreto a Merlino:

-Trasformazione- dissero uni e trini i nani.

Story by Davide (Davide Quattrocchi), Phiandark (Franco Pellegrini) · January 2007–July 2008 · Originally published on novlet.com

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