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3 min readJan 20, 2016

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Capitolo 8 — L’astuzia del Tièp

Se solo quel lucertocorno, quello che era rinchiuso nella gabbietta verde di metallo proprio in cima alla pila di altre gabbie, avesse potuto parlare, di certo avrebbe testimoniato che le elaborate nonchè incessanti elucubrazioni formulate da un buffo trisarmonio con cui doveva sfortunatamente condividere la carrozza, erano del tutto prive di senso. Non vi erano dubbi, il nanerottolo doveva essere chiaramente uscito di senno.
Quel fastidioso omuncolo se ne stava due gabbie più in basso, e nonostante le pessime condizioni di spazio e di cibo in cui erano tenuti tutti i prigionieri, nessuno escluso, egli manteneva un gaiezza insopportabile, bofonchiando, ridacchiando, e scambiando elaborate argomentazioni con quello che doveva essere il fantasma della sua follia. — Oh, Tièp, mio caro… dimmi, dì al tuo caro Zuja le ore; le ore che fur al momento in cui te lo chiesi. Non ora ma al momento che ti rivolsi codesta domanda anzitempo. Dimmi Tièp, mio caro fratello e cugino, e pasticcino -.
Ora, per quanto chiunque fra quei poveracci dei presenti avesse udito forte e chiaro la domanda, nessuno di essi ebbe la pazienza o l’umore adatto per rispondere, nè si udì alcuna risposta.
L’unico, a quanto pare, che fu in grado di ricevere effettivamente una qualche replica fu proprio Juzammandi, trisarmonio dal tondo naso viola che, a detta degli altri, non aveva proprio tutte le rotelle a posto, anzi. In un modo o nell’altro, secondo la sua opinione tale risposta suonò più o meno così: — Ma che domande, Juza, o Juza il Folle, come t’acclama chi conta; è nientepopodimeno che l’ora del tè. O per lo meno lo era quando cotal domanda mi fu rivolta in primo luogo. In questo istante l’ora del secondo tè e subentrata, guai a chi onora l’ora del secondo te dopo aver disonorato quella del primo, dico io. Non so se mi spiego -.
- Eccome, mio caro Tièp, eccome! Se il secondo tè, secondo te, è da assecondare al preciso secondo in cui mi posi il quesito, non dovrei forse invitarti a sorseggiare il primo tè, prima te? -.
- Vedo che comprendi esattamente il mio pensiero, caro Juza, e come esso così pure le mie bretelle -. Ma a differenza del Tièp, nessun altro pareva potesse (o volesse, visto lo scarso interesse che tali discussioni attiravano) comprendere il nocciolo del discorso, e neppure ammirare le decantate bretelle del Tièp, giacchè nessuno al di fuori di Juza era in grado di vederlo. Gli altri prigionieri riuscivano solo a pensare a quando finalmente avrebbero riempito lo stomaco, sperando che la prossima scodella di liquame grigiastro fosse sufficiente per farli sopravvivere un altro giorno. Le possibilità di scappare erano ridicole. I quattro veicoli della carovana erano pattugliati giorno e notte da una decina di sardàu armati fino ai denti; mercenari privi di un briciolo di pietà o compassione. Forse solo Gorpensash, schiavista e padrone di tutte quelle povere creature, un madracante emaciato con gli occhi neri come la pece, era persino peggio di loro. Per fortuna questo stava quasi tutto il tempo in testa al convoglio e faceva di rado visita ai suoi ‘tesori’.
Ma nè a Juzammandi, nè tantomeno al Tièp, quella situazione pareva una tragedia. I carcerieri avevano incatenato alla base della gabbia ben due delle tre mani e due dei tre piedi di Juza. E se avessero avuto più catene probabilmente gli avrebbero anche legato anche quella testa ballonzolante che si ritrovava. — Che bel gioco! — sosteneva il Tièp: — Prova a toccarti il naso con il piede libero, mentre stai sorreggendo un battra nella mano libera e mentre piove fuoco, ah e durante l’ora del terzo tè, per giunta -.
- Ma l’ora del terzo tè è gia passata — osservò Juza il folle, come se quello fosse il problema più urgente: — Oh, è vero… allora cambiamo gioco -.

Passage by Psilvi (Pietro Silvi) · July 2009 · Originally published on novlet.com

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