Cosa ho imparato dal creare e lanciare una piattaforma in una settimana

Un tentativo di dare forma e senso al caos creativo di una nuova impresa, dal mio punto di vista.

Emanuele Rapisarda
emagorse
6 min readSep 1, 2020

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Scrivo questo articolo mentre sono seduto in un chioscho in riva al mare nella costa est della Sicilia, quando la stanchezza e la frenesia che caratterizzavano quei giorni di primavera sono ormai molto diluiti. Infatti, seppure qui ho provato a dare una forma semplice e ordinata, durante il periodo in cui eravamo immersi nel lancio di questa nuova piattaforma l’unica cosa che era davvero percepibile era caos. Un caos vitalizzante e creativo dal quale ho imparato molto.

Credo quindi abbia valore condividere ciò che ho imparato in questo ennesimo viaggio nel passare in una settimana da un’idea a un nuovo servizio presente e funzionante sul mercato, non per la pretesa di insegnare qualcosa a qualcuno ma perchè in questi tempi sempre più veloci molte organizzazioni faticano a stare al passo proprio per il timore che il caos possa inghiottirle. I punti che seguono, al contrario, possono aiutarti a cambiare prospettiva su alcuni freni che forse ti impediscono di lanciarti con fiducia nella scoperta e validazione di nuove idee che ti consentano di rimanere rilevante nei contesti di oggi.

Fai una promessa

Hernàn Cortes attraccò nelle coste del Messico nel 1519 con 11 navi e circa 500 soldati. Arrivati in quel luogo sconosciuto e denso di potenziali pericoli Cortes distrusse tutte le sue navi, per evitare che il proprio esercito potesse tornare indietro.
Con lo stesso spirito, durante un evento per noi molto rilevante che ospita ogni anno professionisti da tutto il mondo, abbiamo annunciato pubblicamente il lancio del nuovo servizio. A nostra disposizione solo un’idea, un logo e una presentazione messa a punto la sera prima. Come Cortes, quel gesto ha rappresentato una promessa alla quale difficilmente avremmo potuto sottrarci. Questo ci ha in qualche modo focalizzati nel mantenere la parola data e a dare forma a quella visione. Fare una promessa pubblicamente è quindi un po’ come distruggere le tue navi. Ti pone in un atteggiamento tale per cui sia più semplice perseguire l’obiettivo che tirarti indietro.

Lavora sui minimum critical

Come è noto nell’ambiente delle startup è fondamentale iniziare da quello che si definisce MVP (Minimum Viable Product). Ciò che molti non sanno o non mettono sufficientemente in pratica è, però, il principio più generale del “minimum critical”, cioè la capacità di trovare il minimo set di elementi e relazioni che permettono di far funzionare un dato sistema. Questo si applica senz’altro al numero di feature che la piattaforma deve avere, ma è valido anche per il numero di persone nel team, il numero di prodotti o servizi disponibili, la quantità di ruoli coinvolti e il numero di clienti da poter soddisfare. L’obiettivo, nelle prime fasi, dovrebbe sempre essere l’apprendimento, a cui può seguire uno scale-up solo quando avremo abbastanza informazioni e conoscenza su cosa funziona e cosa no. Siamo partiti quindi con un core team molto ristretto che ogni giorno, e a volte ogni ora, rivedeva le priorità e si focalizzata solo sul minimo set di azioni e decisioni critiche, rimandando consapevolmente il resto alle fasi successive.

Apri le conversazioni

L’apprendimento, che abbiamo detto essere il focus principale nel momento del lancio di un nuovo prodotto o servizio, è possibile solo se si segue il principio reso noto da Steve Blank del “get out of the building”: esci dal tuo edificio, fisico o virtuale che sia. Seppure quindi il core team è contenuto, questo non significa che non possano essere aperti vari canali di informazione e feedback con altri ruoli all’interno dell’organizzazione, professionisti che collaborano su aspetti specifici e, soprattutto, con gli stakeholder che beneficiano del prodotto/servizio. Durante le prime settimane abbiamo aperto ogni tipo di canale di conversazione possibile: rituali di allineamento frequenti interni all’organizzazione, call con partner che abbiamo coinvolto sin dal giorno 1, chat, email e form presenti in ogni pagina del sito attraverso cui gli utenti potevano inviare domande, richieste e idee. Questo ha permesso di utilizzare diversità e intelligenza collettiva senza dover mettere in piedi strutture e processi. Quello che è avvenuto, infatti, è stato uno scambio libero e vivo, ricco dell’emergere di nuove prospettive. È stato poi compito del team digerire tutta questa complessità non solo di informazioni ma anche di sensazioni, emozioni e bisogni, ricordandoci che dietro ogni conversazione non ci sono solo dati ma soprattutto storie e persone. Per questo, nell’aprire le conversazioni ci si dovrebbe sempre assicurare di stare cogliendo non solo l’ampiezza ma anche la profondità dello scambio.

Distingui l’utente dall’utenza

Questo quarto punto è valido sempre, non solo nelle fasi di lancio di un nuovo prodotto o servizio, ed è molto importante per evitare di essere sopraffatti dal volume delle conversazioni che abbiamo aperto al punto precedente. Alla base c’è un fraintendimento comune nel credere che “l’utente ha sempre ragione”. Questo non ci sembrava il modo migliore di osservare la questione e abbiamo preferito pensare in termini di “l’utenza ha sempre ragione”. Grazie all’apertura di cui ho parlato al punto precedente, abbiamo scambiato centinaia di messaggi, email e call nelle prime settimane. La tentazione sarebbe potuta essere quella di migliorare la piattaforma in base ad ognuna delle conversazioni che avvenivano, accontentando ogni singolo cliente, ma questo sarebbe entrato in conflitto con il principio del “minimum critical” e ci avrebbe sommerso di attività da fare. Abbiamo quindi deciso di raccogliere tutti i feedback e lavorare solo su quelli che emergevano come un bisogno collettivo della famiglia di utenti a cui ci rivolgiamo: l’utenza, non l’utente. Per tutti gli altri abbiamo attivato una relazione uno-a-uno, talvolta rendendo chiaro che quella richiesta non sarebbe stata risolta, per lo meno nel breve termine. Ricorda: l’utenza ha sempre ragione, non l’utente.

Fai leva sulle relazioni, non (solo) sul denaro

Che si tratti di progetti nostri o di progetti per i nostri clienti il fantasma del “abbiamo poco budget” è sempre dietro l’angolo, specie per idee che non hanno ancora dimostrato la loro validità sul mercato. Questo è certamente un limite, ma può non divenire un blocco. I tipi di capitale disponibili per un’organizzazione, infatti, possono essere diversi. Nel nostro caso, il capitale relazionale è ciò che ci ha permesso di rimanere bassi con i costi e raggiungere comunque i risultati che speravamo. Far leva sulle relazioni nutrite negli anni, coinvolgere professionisti e partner che ci hanno dato fiducia sin dall’inizio e hanno scommesso con noi su questa nuova visione ha fatto la differenza. In molti casi si sottovaluta il potere che viene da questo tipo di asset puramente umani, che sono anche quelli i cui ritorni possono più facilmente essere esponenziali poichè sono naturalmente densi di creatività, passione, energia e vita. Nel tuo caso potrebbero essere altre le risorse a cui puoi attingere. L’insegnamento principale è lo stesso: non limitarti a vedere il denaro come unica fonte di energia.

Accanto a questi cinque insegnamenti potrei elencarne molti altri, come l’importanza della delega, la gestione del tempo e delle energie, il bilanciamento tra dati caldi e dati freddi o la potenza del real time collaborative decision making, ma significherebbe voler tentare un elenco esaustivo, cosa che non sarebbe possibile in ogni caso. Credo, infatti, sia evidente come nessuno dei punti descritti sopra rappresenti una soluzione definitiva, né nel loro insieme rappresentano una ricetta per la riuscita di un progetto. D’altra parte, se li si osserva nella loro relazione e se inseriti in una dinamica e una cultura adeguata possono fare la differenza tra la procrastinazione che condanna spesso all’insuccesso e il coraggio che accompagna le migliori imprese.

Le stesse caratteristiche le ho ritrovate più volte nel lavoro con decine di organizzazioni in tutto il mondo che hanno saputo reinventarsi, navigando il flusso continuo del cambiamento invece che restare intrappolati nelle maglie della paura e della rigidità organizzativa che è in molti casi un alibi ben più che un reale ostacolo.

Se leggendo questo articolo qualcosa ha risuonato dentro di te, restiamo in contatto. Lascia un commento o scrivimi per condividere la tua storia, le tue sfide e cosa il tuo sguardo vede all’orizzonte per il prossimo futuro.

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Emanuele Rapisarda
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