Verso un manifesto EMMLOS per la sanità lombarda

EMMLOS
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16 min readNov 13, 2020
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Il presente documento rappresenta il frutto di due giorni di lavoro nei quali i corsisti del Master si sono interrogati sul futuro della sanità lombarda. L’output che ne è derivato compendia una serie di spunti che aspirano ad animare il dibatto su quale possa essere un modello socio-sanitario alla luce delle recenti sfide contemporanee, enfatizzate dalla pandemia, ma comunque già prima evidenti alla luce di mega-trend quali, ad esempio, l’invecchiamento della popolazione e il cambiamento demografico in genere, la sostenibilità ambientale, la sostenibilità economica del welfare, le tecnologie esponenziali (es. intelligenza artificiale) e l’innovazione digitale.

Tali spunti sono organizzati intorno a tre marco-aree di riflessione: valori, pilastri, progettualità.

1.TRE VALORI IMPRESCINDIBILI
1.1. Universalismo e dignità della persona
1.2. Sostenibilità come opportunità, non quale ‘problema’
1.3. Merito e capitale umano
2. CINQUE PILASTRI DA CUI RIPARTIRE
2.1. Visione di medio-lungo termine per anticipare
2.2. Differenziare per dare valore ad eccellenze e investimenti
2.3. Integrazione e ricomposizione della frammentazione
2.4. Scienza, tecnologia e innovazione al centro, sempre
2.5. Cambiare la cultura per rinforzare la credibilità

1. Tre valori imprescindibili

1.1. Universalismo e dignità della persona

Senza dubbio l’universalismo deve restare il cardine imprescindibile del sistema. Nonostante le differenze sociali, economiche e territoriali il sistema ha garantito e garantisce un aumento della qualità di vita nel Paese, erogando le migliori cure possibili a tutti i cittadini.

Il problema non è quindi lo stravolgimento del sistema, quanto lavorare su come sono state/vengono impiegate le risorse pubbliche, pur in un contesto di revisione in senso riduttivo della spesa.

Il sistema sconta ritardi nell’attuazione del tema dell’integrazione (a causa di frammentazione, scarse competenze ecc.) che riguarda le risorse (spesso divise in molteplici rivoli), la governance (molteplicità di centri decisionali/programmatori), le conoscenze (difficoltà nel mettere a sistema i dati e garantire così uno scambio efficace delle informazioni nel sistema) e, infine, la filiera dei servizi (quanto sono realmente integrati dimensione sanitaria e sociale? Quanto agiscono di concerto enti locali ed agenzie/aziende regionali?).

Delineati questi aspetti, bisogna parimenti tenere conto del fatto che l’universalismo della cura e la qualità degli interventi sono inestricabilmente legati alle esigenze di bilancio.

In questo contesto si inserisce la pressione verso la modernizzazione tecnologica nelle cure erogate, cui sembra difficile rispondere in modo omogeneo e universale.

Tale pressione è alimentata anche dal fatto che ci troviamo dinanzi ad un aumento dell’utenza, delle sue necessità e delle aspettative in termini di qualità/modernità della cura benché, al contempo, le risorse non crescano di pari passo con tali esigenze.

Questo fa sì che si proceda nel senso di una separazione sempre più netta tra pubblico e privato (esempio del COVID-19) in termini di selezione dei beni e servizi da erogare, delle modalità con cui erogare, nonché dei destinatari cui erogare tali prestazioni.

Siamo forse di fronte e una crisi dell’universalismo? La risposta è che si ravvisa una difficoltà nel garantire cure di pari qualità ed ampiezza a tutti i cittadini; una condizione che pertiene anche al tema di chi può/deve fare cosa (pubblico vs. privato).

La domanda a cui il sistema deve fornire una risposta è quindi: quale equilibrio occorre perseguire tra tutela dell’universalismo e differenziazione? E quale equilibrio può configurarsi tra risorse disponibili e necessità di fornire le cure migliori e all’avanguardia?

Probabilmente alcune delle risposte risiedono nella conservazione del caposaldo costituito dall’universalità delle cure e dell’accesso al servizio sanitario. Questo principio, tuttavia — pur rappresentando un approdo non negoziabile — può sopportare alcune delle implicazioni di un approccio maggiormente pragmatico, considerato che molti fattori sembrano disvelare, nella realtà dei fatti, condizioni di ineguaglianza sostanziale cui è bene porre rimedio senza negare le evidenze.

In tal senso, da un lato si potrebbero individuare canali non rivali e non escludenti, ancorché alternativi, mediante i quali monetizzare fattori che non incidano sull’universalità delle cure pur essendo di per sé rilevanti e quantificabili (es. il “fattore tempo”) e pur preservando medesimi standard qualitativi di erogazione dei servizi.

In seconda battuta, occorrerebbe sottolineare con opportune metodiche di valutazione — i cui esiti potrebbero incidere su procedimenti e processi, anziché sulle prestazioni — il rilievo che in potenza può assumere la responsabilizzazione del paziente ed il suo concorso attivo a protocolli di prevenzione, i quali fungano da contraltare a scelte etiche e politiche pubbliche coraggiose.

1.2. Sostenibilità come opportunità, non quale ‘problema’

Nel quadro dell’analisi sistemica sul funzionamento e sulla sostenibilità del nostro sistema sanitario, come si è anticipato, ha un ruolo rilevante il tema delle scelte individuali.

Ad esempio, è ormai un dato acquisito che gli stili di vita errati drenano risorse al sistema. Riuscire ad agire in modo capillare ed efficace in termini di educazione alla salute e a stili di vita corretti, consentirebbe di alleggerire — almeno in parte — la pressione sul sistema, permettendo di liberare risorse che potrebbero essere dirette a rispondere alle sfide odierne e del domani (come, per l’appunto, la sfida della modernizzazione tecnologica).

Questo è un esempio su come sia importante che la politica prenda decisioni in merito a come garantire la sostenibilità complessiva del sistema con una visione di lungo periodo.

Quando usiamo il concetto si sostenibilità applicato al mondo della sanità dobbiamo intenderlo in questi termini precisi: un investimento in sanità, come ritorno positivo sulla società.

Affinché questo approccio risulti realizzabile è essenziale che il sistema sanitario proceda ad una più rapida ed efficace integrazione con le realtà che lo circondano, quali ad esempio: i soggetti attuatori delle politiche sociali, il volontariato (organizzato tuttavia in modo equilibrato e strutturato, anche al fine di superare un certo spontaneismo organizzativo di alcune realtà), gli imprenditori economici, gli enti locali e gli stessi cittadini.

Ciò significa garantire non solo una certa ricomposizione territoriale, ma anche procedere ad una definizione di compiti e responsabilità ben circoscritte, in un’ottica di partecipazione e coordinamento orizzontale invece che di semplice “suddivisione burocratica di competenze”.

Un processo, quest’ultimo, che è spesso foriero di parcellizzazione, scarsa comunicazione ed inefficienza complessiva sia sul versante degli esiti delle politiche pubbliche in concreto sperimentate, che di quello concernente alla spesa correlata alle prestazioni.

La capacità di integrare queste realtà può costituire la chiave di volta per rispondere alle sfide rivolte al sistema sanitario. Un esempio di come l’integrazione, specialmente tra sanitario e sociale, sia essenziale per ottenere risultati importanti è quello dell’aging e delle politiche per gli anziani.

A fronte di una realtà mondiale che vede crescere rapidamente gli indici di vecchiaia, l’Italia può vantare di essere il secondo paese al mondo in termini di aspettative di vita. Questa condizione è il prodotto dell’intrecciarsi di molteplici fattori.

All’alta qualità delle cure sanitarie, si affianca una realtà sociale fatta di forti reti familiari e di comunità, una qualità di vita elevata (in termini, ad esempio, di alimentazione) e una struttura di policy socio-assistenziali capaci di intervenire a tutela degli anziani (più o meno fragili).

Questo complesso di cose fa sì che l’Italia abbia tutte le potenzialità per presentarsi al mondo come depositaria di un know how eccellente al fine di mostrare non solo quali sono i fattori che contribuiscono all’allungamento delle aspettative di vita, ma anche quali sono gli elementi che possono garantire un’alta qualità della vita per la terza età.

Invecchiamento quindi come opportunità positiva per la società nel suo complesso.

L’ambito delle politiche inerenti l’aging è perciò un terreno fertile in cui:

a) sperimentare i vantaggi dell’integrazione tra diversi settori;

b) investire nell’innovazione tecnologica posta a servizio delle persone e della loro qualità della vita;

c) mostrare come politiche incentrate sulla prevenzione, il mantenimento e il miglioramento della salute, nonché in generale della qualità della vita, siano variabili cruciali nel garantire una maggiore sostenibilità del sistema;

d) configurare e, per l’effetto, testare un nuovo modo per il sistema nel cooperare con l’industria e il privato;

e) “produrre” nuovi servizi e prodotti a vantaggio di una fascia di popolazione che può continuare ad essere attiva nella società, offrendo un contributo di non poco conto a dispetto dell’età anagrafica, elemento quest’ultimo di particolare interesse per la realtà regionale lombarda.

Come ultimo elemento non si può trascurare il fatto che tale integrazione passa, in questo periodo storico come nel futuro, dalla capacità di mettere a sistema i dati e le informazioni mediante piattaforme trasversali ed interoperabili in grado di garantire una efficace capacità di azione in termini di filiera dei servizi.

1.3. Merito e capitale umano

Per realizzare tale sforzo di innovazione è necessario che le strutture del sistema sanitario dispongano di personale qualificato ed in grado di rispondere a tali sfide.

Spesso le aziende incontrano notevoli difficoltà nel reclutare personale adatto alle proprie esigenze: questa è una situazione che chiama in causa sia i metodi/modelli di reclutamento, sia gli aspetti formativi.

Inoltre le inefficienze formative rendono deboli i menzionati processi di reclutamento e promozione effettivamente basati sul merito.

Da questo punto di vista è proprio la formazione del capitale umano la chiave di volta per affrontare il cambiamento e realizzare una concreta innovazione, proiettata sulla creazione e la conservazione di valore immateriale nelle strutture del comparto socio-sanitario.

Per l’immediato futuro, dunque, è necessario che le risorse — centrali e regionali — siano investite in percorsi di formazione che permettano al capitale umano di conoscere, gestire e di conseguenza governare la complessità di tali percorsi, per loro natura fondati su una dimensione multidisciplinare ed interdisciplinare dei fenomeni sopracitati.

In questa ottica, esprime il portato di un’esigenza sempre più impellente e non procrastinabile la necessità di disporre di personale con competenze trasversali, che riesca a lavorare per processi complessi, al di là della propria specializzazione disciplinare e secondo un approccio di tipo multidisciplinare.

L’ibridazione delle competenze e delle conoscenze costituisce, in definitiva, un requisito essenziale per innovare il sistema e la sua capacità di analisi, azione e tempestiva correzione.

2. Cinque pilastri da cui ripartire

2.1. Visione di medio-lungo termine per anticipare

Il futuro è nel passaggio da una sanità organizzata “per curare” ad una pensata “per prevenire” e “per prendersi cura” (ossia essere parte di un sistema multidimensionale e integrato di sostegno alla persona).

In tal senso, una questione critica è data dal fatto che non c’è capacità di pianificazione sul medio-lungo periodo: manca, in altri termini una vision sistemica e completa. Questo è, infatti, il problema principale dell’assetto delle competenze nel sistema socio-sanitario e della formazione del capitale umano.

La classe dirigente deve essere formata in modo moderno e con modelli di apprendimento evoluti.

Il COVID-19 potrebbe rappresentare una discontinuità positiva, partendo proprio dalle politiche di finanziamento del sistema sociosanitario. In questo senso è lecito porsi dei quesiti: ad esempio, si va verso l’aumento delle risorse disponibili?

La questione risulta di un certo peso in questo preciso periodo storico, nel quale alla riduzione delle risorse approntata in precedenza, per la prima volta si potrebbe invertire in senso positivo un trend finora negativo.

Tuttavia, a fronte di questo quesito preliminare, ne riesce spontaneo un altro, di non semplice soluzione: il sistema italiano è in grado di spendere bene queste risorse? Abbiamo le competenze e la capacità di programmazione necessarie?

Bisognerebbe ragionare su tempi medio lunghi, calibrati intorno a un lasso di tempo almeno decennale (tema della programmazione strategica) proprio in virtù delle risorse che arriveranno, dei nuovi bisogni emergenti e degli inevitabili cambiamenti tecnologici.

Questo introduce nel nostro ragionamento una riflessione inevitabile sull’organizzazione dell’offerta (modelli organizzativi).

A questo proposito appaiono come ineludibili almeno due temi:

a) la necessità di procedere ad una più fattiva ed efficace integrazione con i diversi attori del territorio (nell’ottica proprio di una migliore presa in carico e di una reale prevenzione);

b) una differenziazione chiara rispetto ai bisogni del territorio, in modo da strutturare la risposta e l’intervento preventivo tenendo conto della diversità delle nostre comunità locali.

Per avere una buona visione di medio lungo periodo è quindi essenziale definire quali sono i valori su cui fondare la programmazione del sistema.

La sanità del 2030 non può basarsi sui principi/obiettivi di 100 anni fa. Appare sempre più urgente liberare il sistema da alcuni oneri più o meno occulti (si pensi all’eccesso di vincoli burocratici e amministrativi che appesantisce la gestione ed i procedimenti), semplificare conseguentemente il sistema e rompere la path dependence istituzionale con scelte improntate al cambiamento.

La semplificazione concerne anche, e soprattutto, la disponibilità di strumenti attuativi agili, che alleggeriscano l’attuale carico incombente sulle strutture sanitarie in termini di tempo e risorse, che spesso si svolge a scapito dell’efficienza e dell’efficacia degli interventi.

Per realizzare tutto questo è però necessario che gli attori politici e tecnici apicali non rinuncino al loro potere di prendere decisioni e alla loro capacità di compiere scelte strategiche, guardando ad obiettivi focalizzati sul medio-lungo periodo e meno ancorati alla pressione della contingenza.

Nella prospettiva delineata, riesce ineludibile una riflessione sulle modalità di conservazione, gestione ed eventuale incremento degli attuali organici (si pensi alla disponibilità del personale infermieristico), che anche nell’esercizio ordinario di funzioni sottende una dispersione notevole di tempo e risorse anche da parte del personale altamente specializzato.

Accanto a tale esemplificazione, inoltre, assume un rilievo potenzialmente sistemico e decisivo il tema del miglioramento della rete di rapporti e funzioni che lega le strutture ai medici di medicina generale, i quali possono divenire, se valorizzati e messi in condizione di meglio relazionarsi con le richiamate strutture, gli attori di una generazione di valore proveniente dal basso.

In questo senso, puntare sul concetto di rete significa, da un lato, identificare con maggiore precisione e, quindi, organizzare funzioni, competenze e doveri professionali; dall’altro lato, tale assunto implica una nuova stagione di investimenti anche sull’interoperabilità dei sistemi informativi e sugli obblighi connessi, che a sua volta risulta evidentemente collegata al tema delle infrastrutture tecnologiche e digitali e degli eventuali passaggi alternativi per i territori e le realtà locali non ancora uniformate rispetto agli standard tecnologici ritenuti sufficientemente avanzati per garantire l’esito dell’integrazione funzionale ed operativa.

2.2. Differenziare per dare valore ad eccellenze e investimenti

Altro passaggio non più eludibile, volgendo lo sguardo ad una dimensione più alta, è quello di compiere delle scelte organizzative fondate sull’esigenza di differenziare il sistema sanitario in base a delle specializzazioni.

“Differenziazione” e “specializzazione” come diade su cui impostare la nuova offerta territoriale sanitaria, in modo da garantire una risposta amplificata e più efficace al bisogno, evitando le dispersioni e i doppioni.

Questa strada garantirebbe una migliore allocazione dei compiti, delle competenze e delle responsabilità, evitando che attori diversi condividano le stesse funzioni e competenze.

Bisogna quindi verificare e ripensare la rete delle Strutture decentrate rispetto ai Centri di Eccellenza (vocazione all’alta specializzazione). Bisogna, in altri termini, concentrare le risorse in ambiti strategici e al contempo potenziare il coordinamento nel sistema.

Affinché il coordinamento sia realmente efficace, risulta necessario ripensare gli spazi in cui avviene il confronto tra gli attori, riducendone il numero e garantendo che differenziazione e specializzazione siano parti di un’unica filiera e non ulteriori elementi di parcellizzazione e frammentazione territoriale.

Questo cambiamento implica perciò una valorizzazione degli investimenti e del corretto uso delle risorse. Ciò non tanto in un’ottica di contenimento della spesa (approccio che pare ormai superato dagli eventi e, comunque, di per sé discutibile se associato ad una logica di servizio) quanto di migliore allocazione delle risorse ai fini di percorsi di (prendersi) cura e prevenzione più efficaci.

Nell’economia di questo discorso si fa per tanto strada una considerazione, ossia se non sia necessario — considerando anche il contesto in cui operiamo — inserire un vincolo di spesa per il sistema sanitario, inteso come la necessità di stabilire che non è possibile scendere sotto un certo livello di finanziamento per non venir meno alla funzione ed ai corollari desumibili da una corretta applicazione dell’art. 32 della Costituzione (universalismo).

A corollario di questo, da una parte risultano non più rimandabili gli investimenti nell’edilizia sanitaria per adeguare le strutture ai tempi correnti, ai nuovi bisogni dei cittadini, ai rapporti nuovi tra ospedale e territorio, al cambiamento tecnologico (che prevede un nuovo approccio al concetto stesso di accesso al sistema): in altri termini ciò comporterebbe di ricominciare a pensare ad ospedali piccoli, medi e grandi da costruire sul territorio a seconda delle esigenze e del target rispondente.

Dall’altra parte, si potrebbe avviare una riflessione in ordine alle istanze di dispersione del potere decisionale dovute alla difficoltà di conseguire una sintesi accettabile tra le (molteplici) figure apicali che operano nel sistema: nell’alveo di questa linea speculativa si pone la possibilità e l’opportunità di operare ripensamento della filiera decisionale delle organizzazioni sanitarie.

2.3. Integrazione e ricomposizione della frammentazione

Uno dei principali problemi endemici al sistema sociosanitario attiene alla frammentazione in termini istituzionali, di governance, di pianificazione ed erogazione dei servizi.

A questo proposito non sarebbe ozioso chiedersi quanto e come sia stata attuata la riforma 23/2015, in particolare nei suoi aspetti dedicati alla riduzione della frammentazione e ai rapporti tra ospedale e territorio. Le esigenze di ricomposizione si avvertono nella emblematica necessità di riconnettere meglio le istanze della fragilità e consequenziali richiesta di salute: i problemi multidimensionali, infatti, andrebbero gestiti in modo congiunto e preferibilmente in preventivo.

Anche a questo proposito, come del resto emerso in precedenza, sarebbe importante rivedere il ruolo dei MMG e la loro “collocazione” nel sistema.

Nella logica di quanto anticipato, occorrerebbe:

  • rivolgersi al medico non solo per la cura ma anche per “pensare” al percorso, vale a dire, in altra forma, avviare un cambiamento culturale per il quale ci si rivolga al medico al fine di conservare uno stato di salute perdurante, anziché solo nel momento dell’emersione di esigenze di cura;
  • gestire il futuro paziente fin dalla sua nascita, nell’ottica di una composizione, anziché di una ricostruzione, della sua storia clinica e delle sue abitudini;
  • mutare il paradigma di una sanità che sa solo curare, quando in realtà dovrebbe saper prevenire;
  • puntare sulla strutturazione di centri servizi per territorio, attuativi di un coordinamento migliore dei (e con i) medici di famiglia, anche attraverso un maggiore supporto delle ASST.

Nella logica di perseguire quanto descritto nell’ultimo punto, gioverebbe avviare una riduzione della frammentazione sia istituzionale (si pensi alla proliferazione assessorati regionali ed ai suoi riflessi sulla strutturazione degli uffici), sia della governance (modalità di coinvolgimento e coordinamento di tutti gli attori della rete territoriale) che coinvolge i percorsi organizzativi e la spesa (si pensi al caso della gestione della disabilità, in capo in parte alle ASST e in altra parte agli Enti locali).

La frammentazione, del resto, rende complesso anche l’accesso ai servizi.

Ormai pressante è l’esigenza di corrispondere ad una necessità di prossimità: occorre tendere ad un modello nel quale si prevede di lasciare le persone nel loro contesto sociale ed avvicinare i servizi alle persone e non le persone verso i centri erogatori di servizi (in questo percorso svolge un ruolo di spessore la tecnologia, con le sue molteplici applicazioni).

Inoltre è necessario potenziare la capacità di personalizzare gli interventi, sia preventivi che riparativi. Una personalizzazione efficace non può prescindere da una risposta organizzata in modo integrato e realmente multidimensionale, capace di mettere “attorno ad un tavolo” diversi specialisti e diverse competenze, non solo sanitarie.

Per questo motivo è più che mai necessaria una governance che valorizzi sempre più le professionalità.

Tale percorso di integrazione può essere intrapreso solo se si guarda alla risoluzione di tali problemi con il punto di vista dell’innovazione e delle scelte votate al cambiamento. Per intraprendere questa strada, giova muovere ancora una volta da alcuni quesiti decisivi:

  • Possiamo pensare a modelli istituzionali diversi?
  • In questo senso, il governo delle reti e delle politiche in capo a tre assessorati è fonte di dispersione, si può prevedere una loro riduzione, oppure uno strumento di coordinamento effettivo?
  • Possiamo prevedere nuovi strumenti di governance territoriale?
  • Quali sono stati, negli ultimi anni, i problemi sul territorio nei rapporti tra ATS, ASST, Comuni/Piani di Zona, attori della rete?
  • Abbiamo delle arene di governance in grado di coordinare efficacemente tutti questi attori, lavorando sulla condivisione di obiettivi, risorse e capitale di fiducia?
  • Possiamo pensare a come ridurre la proliferazione di misure ed interventi, spesso in sovrapposizione e che portano alla parcellizzazione delle risorse?

2.4. Scienza, tecnologia e innovazione al centro, sempre

Per arrivare alla centralità del cambiamento tecnologico serve cambiare la mentalità della governance in ordine a come gestire il sistema sanitario. Il cambiamento può avvenire solo in chiave sistemica mettendo insieme i diversi attori con le loro competenze (enti locali, volontariato): e, ancora una volta, ritorniamo in diversa chiave al tema del superamento della parcellizzazione.

Gli strumenti tecnologici possono rappresentare un volano per procedere verso una effettiva integrazione nell’ambito di una piattaforma distribuita tra tutti gli attori, volta a ottenere un sistema anzitutto coerente.

Appare sempre più importante che le diverse banche dati siano effettivamente interconnesse e immediatamente fruibili da tutti gli operatori. Lo scambio e l’incrocio di dati (di tutti i dati) è un requisito essenziale per programmare un sistema socio-sanitario che sia effettivamente integrato ed in grado di operare anche in ottica preventiva.

Le piattaforme legate all’erogazione di prestazioni sociali dell’Ente locale dovrebbero assicurare una immediata interoperabilità con le piattaforme sanitarie, in modo da garantire un quadro completo rispetto ai bisogni e alle condizioni del singolo (favorendo così una personalizzazione effettiva degli interventi, siano essi preventivi o riparativi).

Disponendo dei dati integrati da parte di tutti gli operatori sanitari, si potrebbero successivamente applicare anche sistemi di analisi complessiva di quegli stessi dati, intesi a prevenire le epidemie (come quella da COVID-19), ma anche le malattie dei singoli pazienti, laddove connesse a trend e successioni identificabili.

Ovviamente tale approdo suggerisce l’adozione di linee guida dedicate da parte dei medesimi attori istituzionali, che siano in grado di imporsi alle software house che attualmente gestiscono i sistemi informativi degli enti locali, delle ATS, delle ASST e delle singole strutture sanitarie.

Sono un intervento pubblico inteso a garantire il ricorrere di parametri informatici e tecnologici tra loro coerenti potrebbe aprire all’inveramento di uno scenario come quello rappresentato.

Inoltre, il legislatore (in questo caso nazionale) potrebbe razionalizzare la normativa di settore, nella quale ad oggi assistiamo alla sovrapposizione di nozioni quali quelle di fascicolo sanitario elettronico, dossier sanitario elettronico e cartella clinica (digitale) in parte risalenti a fonti tra loro distanti nel tempo e non omogenee e, in altra parte, non del tutto attuate o non attuate in modo uniforme sull’intero territorio nazionale.

Il tema della digitalizzazione non riguarda solo la gestione del sistema (sia in termini di back office che di erogazione) ma concerne anche l’accesso dei cittadini allo stesso.

App, digital device, piattaforme informatiche sono strumenti fondamentali per aprire maggiormente il sistema, renderlo più accessibile e quindi più inclusivo. La rete dei servizi per essere tale ed efficace deve continuare ad operare per innovarsi ed essere in grado di cogliere (in ottica preventiva e riparativa) la maggior parte possibile degli utenti.

Questo significa che bisogna ripensare il rapporto tra sistema, prestazione ed utente, mettendo al centro quest’ultimo e non più l’offerta, anche in virtù delle possibilità fornite dalla digitalizzazione. Digitalizzazione che potrebbe essere impiegata con grande successo per potenziare, ad esempio, la risposta integrata e domiciliare al bisogno.

2.5. Cambiare la cultura per rinforzare la credibilità

Si ravvisa la necessità di un cambiamento culturale per rafforzare la credibilità del sistema. Tale cambiamento deve riguardare sia il lato degli operatori sociosanitari che quello degli utenti. Per quel che riguarda il lato dell’offerta possiamo pensare, ad esempio, al superamento della frammentazione nel tipo di servizi erogati nel sistema.

Una frammentazione che danneggia la qualità dell’erogazione, crea delle disparità tra cittadini in territori vicini (ad esempio, il sistema domiciliare è garantito “a macchia di leopardo”, manca una rete vera e propria) e non rende immediata e facile la fase di accesso al sistema sociosanitario. In questo, come anticipato sopra, potrebbe risultare fondamentale la digitalizzazione dei sistemi.

Per quel che riguarda il lato dell’utenza è necessario far comprendere sempre più ai cittadini quanto l’adozione di stili di vita sani, la corretta informazione e l’attenzione alla prevenzione siano atteggiamenti fondamentali per emancipare la dimensione sanitaria degli interventi dalla fase meramente riparativa/emergenziale, proiettandola verso l’aspirazione alla prevenzione ad alla diffusione di tale cultura.

Queste prospettive rappresenterebbero un cambio notevole nel paradigma culturale alla base del sistema.

Questa nuova prospettiva, associata ad una maggiore accountability e partecipazione nel sistema, potrebbe risultare essenziale anche per legittimare, agli occhi dei cittadini, gli inevitabili cambiamenti e correttivi da apportare.

Hanno contribuito alla redazione del Manifesto i 32 Direttori che partecipano al Master.

Il comitato scientifico
Proff. Stefano Denicolai, Pietro Previtali, Alessandro Venturi

Si ringrazia per il prezioso supporto Marcin Bartosiak, Giuseppe Carlo Ricciardi, Eugenio Salvati.

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Editor for

Executive Master in Management strategico e Leadership delle Organizzazioni Sanitarie dell’Università di Pavia