Sparire qui: tra viaggio e memoir sulle tracce delle letteratura nordamericana
Il Calendario dell’Avvento di #eriandthebooks — 1 dicembre: Sparire qui di Marta Ciccolari Micaldi, Rizzoli
«Non riusciva a lasciarlo, quel pacco; un’hostess si offrì di metterlo nella cappelliera, ma David non ne voleva sapere.»
Pausa, la macchina nera rallentò.
«Era la versione finale di Infinite Jest, la portava al suo editore.»
Sparire qui non è soltanto un libro sugli Stati Uniti e la letteratura americana: è la storia di una passione, come racconta l’autrice nell’introduzione. E questo non è un articolo, né una recensione, quanto piuttosto una dichiarazione d’amore e una lettera di ringraziamento.
Sparire qui è uscito alla fine dell’estate 2023 ed è stata la mia prima lettura del 2024. Quando l’ho preso tra le mani, a gennaio, mi aspettavo di percorrere le strade americane guidata da una penna familiare, dalle parole chiare e incisive di una donna che seguivo sui social e che ammiravo: La McMusa, al secolo Marta Ciccolari Micaldi. E ovviamente è successo: è stato un viaggio incredibile, denso, qualche volta al cardiopalma. Per raccontare tutto ciò che è avvenuto tra pagina uno e pagina trecentonovantadue, però, serve spazio, molto più di quello offerto da un post.
Sfoglio di nuovo il libro e non so bene da dove partire, a dire il vero, così inizio dal primo blocco di post-it sul quale ho appuntato i miei pensieri mentre leggevo. Perché Sparire qui non l’ho soltanto letto, l’ho sottolineato, riempito di note e segna pagina, l’ho vissuto, me lo sono sentito addosso.
Mentre leggevo i racconti su David Foster Wallace, di come stringeva a sé la scatola con la versione finale di Infinite Jest da consegnare al suo editore, piangevo ed ero felice. Ero lì sull’aereo, e in auto, ascoltavo anch’io l’uomo che parlava dei piatti campi di grano dell’Illinois, campi di grano a perdita d’occhio, oltre il finestrino. La McMusa scrive che c’è un “prima” e un “dopo” New York, nella vita di tutti. Aggiungerei che c’è anche un “prima” e un “dopo” David Foster Wallace, un “prima” e un “dopo” Infinite Jest. E se non ho ancora vissuto l’incontro con New York, quello con Foster Wallace è invece stampato a fuoco nella mia memoria.
Una leonessa del mare, una compagna di giochi e di sogni, la mia sirena di Seattle che mi mostrava un’altra cosa della città, questa volta unica, singolare e improvvisamente lampante: gli elementi della natura più selvatica e la civiltà qui si mischiano, si toccano, si contendono i confini fino a farli sparire.
Seattle, col tempo, ha coinciso con Grey’s Anatomy, ma in principio era Kurt Cobain. Here we are now, entertain us. Seattle sono i sogni infranti, e non soltanto quelli del grunge.
San Diego era il posto giusto per rinascere una seconda volta ed esserne felici.
San Diego e i surfisti richiamano quella capacità forse tutta americana di innescare il desiderio, di voler vedere anche posti che in realtà non hai mai voluto visitare. Come la California, per quanto mi riguarda. Perché a leggerli così, i luoghi, raccontati da chi ha passione e mediati da riferimenti letterari, mi viene una gran voglia di perdermi. Soltanto per ritrovarmi ancora e ancora, mi viene voglia di sfidare qualcosa di abbastanza simile alle onde. Magari il surf non è solo quello che si fa con la tavola, perché ognuno di noi, nella vita, fronteggia parecchie big wave, e in genere accade lontano dalle luci della ribalta. Ci sei tu, c’è la spiaggia, c’è l’onda, e sotto ai tuoi piedi una tavola su cui stare in equilibrio. A gennaio, mentre leggevo questo libro, vedevo solo me stessa e l’onda. Poi ho capito che il libro era la tavola, perché mi stava dando la possibilità di restarci sopra ben salda.
C’è un motivo per cui in America il noir, quel genere narrativo che racconta i lati oscuri dell‘uomo e della società penetrando le ombre e contaminando le luci, è nato e ha conosciuto il suo maggior successo nella Città degli Angeli: le ombre non sono dove te le aspetti, le ombre ti inghiottono dove non le cercheresti mai. Sotto la luce più pura, sotto il sole più giallo.
La Città degli Angeli è Iris di The Goo Goo Dolls, la colonna sonora di City of Angels nelle cuffie prima di dormire, and I’d give up forever to touch you, è il fremito di un film che comincia in TV, l’attesa sul divano durante la pubblicità, le lacrime che rigano gli occhi. And I don’t want the world to see me, ’cause I don’t think that they’d understand.
La Città degli Angeli è La La Land visto in un cinema del centro di Saragozza, con la voce di Emma Stone doppiata in spagnolo, una voce con cui proprio non sono riuscita a fare pace. Here’s to the ones who dream, foolish as they may seem. È il DAMS con gli elenchi di film da studiare per l’esame. Here’s to the hearts that ache. Here’s to the mess we make. Un brindisi, per tutti i disastri, i pasticci, i casini che ho fatto, un brindisi per tutte le volte che ho sbagliato, perché è anche grazie a quegli errori che sono arrivata qui, che ho in mano un libro in cui mi rispecchio, un libro che è un regalo, perché si aggiunge alla mia somma di piccole cose.
Ed è ancora Foster Wallace, è un faro puntato sui lati oscuri, è Lynch, il noir, i romanzi di Bret Easton Ellis. È il cartellone con la scritta “Sparire qui” in Meno di zero. Sono le strade di Los Angeles, i losangelini in coda all’ora di punta o forse a tutte le ore, è la scena di apertura di La La Land mentre tutti scendono dalle auto e iniziano a ballare e cantare.
Se gli Stati Uniti hanno un’anima, allora quell’anima è da cercare nelle strade che li avvicinano, li collegano, li dividono, li portano innumerevoli volte dal lavoro a casa e da casa a lavoro, li mettono in contatto con l’umano, da un lato, e il naturale, dall’altro, li insozzano mentre li sublimano.
E poi è il Colorado, e ancora Illinois, e New York, di nuovo, e io che penso a come doveva sembrare vicina, la Merica vista da Ellis Island, e sempre io che so invece quanto poteva essere lontana, anche e proprio da lì. Succede così, certe volte, succede che non possiamo toccare qualcosa, per quanto sia vicino, che non possiamo viverlo.
Ma noi — che viaggiamo con relativa libertà e che ci muoviamo su tante coordinate, per cercare quelle che più ci appartengono, beh, noi qualche volta la troviamo una direzione.
Era come se avessi trovato il posto dove la mia trama si intrecciava perfettamente con quella che gli altri avevano già cominciato e non avevo bisogno di presentazioni.
Si può sparire solo in un luogo nel quale ci troviamo perfettamente a nostro agio, intrecciati alla trama già tessuta, e per questo capaci di continuarla. Ma si può sparire solo dove sentiamo di avere una possibilità che altrove non ci è data: aggiungere colori e sfumature brillanti a quella trama, renderla unica, memorabile, con tutta la passione che ci portiamo dentro.
C’è una donna che apre un blog per raccontare gli Stati Uniti, e prima di quello c’è una ragazza che studia letteratura americana sui banchi dell’università, e molto prima quella stessa ragazza, più giovane, che ascolta musica e guarda serie TV americane — solo che ai nostri tempi, quelli della McMusa e i miei, si chiamavano telefilm.
Poi ci sono io, che a questa donna, e alla ragazza che è stata, devo molta riconoscenza. Perché tra le pagine di Sparire qui ho vissuto di nuovo tanti momenti importantissimi della mia vita: la scoperta di Paul Auster e Don DeLillo, Le correzioni di Franzen, l’estate passata a leggere Infinite Jest in originale, le telefonate dal telefono del collage in UK con la scheda Columbus, i pomeriggi a fantasticare su come sarebbe stato vivere negli Stati Uniti. In ogni caso, il mio sogno, la mia passione, non è l’America. Sono i libri, le pagine scritte, la possibilità di parlarne e di raccontarli, di leggerne ancora e ancora. Poi ci sono le lingue, e questa è un’altra storia (se siete curiosi, ne parlo qui). Ma se nel 2024 le energie per portare avanti tutto ciò che mi fa stare bene non mi sono mancate, se ho visto una direzione chiara davanti a me, in tutti questi mesi, ecco… di sicuro è anche merito di Sparire qui, di quel gorgoglio vitale che ho sentito mentre lo leggevo, delle emozioni e di tutte le sensazioni che mi ha lasciato addosso.
Qual è il vostro sogno?