Le signore mi abitano

Alessandra Rigano
evidenziature
4 min readJun 21, 2022

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da Lettera Aperta di Goliarda Sapienza

Playground di Cristina Daura

Dunque, queste donne inchiodate intorno, sulle sedie dell’anticamera — come in attesa di essere invitate per un giro di contradanza — col sorriso che qualcuno gli aveva appuntato con gli spilli: — non vi voglio parlare di loro, non sono ancora stata costretta ad impiegarmi all’ente del turismo: posso vivere senza bisogno di guadagnarmi il pane “col sudore della fronte”: c’è quell’uomo col quale ho vissuto diciotto anni che, oltre ad avermi salvato la vita, mi libera dalla catena di un lavoro umiliante: — queste donne mi visitano la notte e, per un periodo della mia vita, anche il giorno: entrano dalla porta chiusa, col sole della finestra sbarrata.

Queste donne, oggi lo vedo, mi hanno chiuso la bocca per tanti anni. Come? Vi spiego: essendo derelitte, vittime della società, io fui costretta ad amarle, a conoscere le loro storie, metterle in un altarino, accendere lumini e a pensare solo a loro, scrivere solo di loro. Così quando incominciai a desiderare di esprimermi, incominciai anche a pensare storie macchinose su di loro, ad immedesimarmi nei loro travagli che solo mi sembravano degni di essere raccontati, e, essendo io nata e vissuta al secondo piano, piano nobile, come si diceva, che potevo saperne?

Cercai, ma con terrore mi accorsi che non sapevo niente di loro e sotto quell’amore sacro che avevo per loro, si nascondeva una indifferenza affatto piccolo-borghese. Naturalmente questa scoperta mi inchiodò al letto con un’artrosi (che bello il rifugio della malattia!) E se non fosse venuto il ventesimo congresso, con quello che sapete, sarei rimasta, forse, inchiodata su quel letto.

Ma il ventesimo congresso venne: “La storia non si ferma”, come diceva il professore Jsaya, — no, non lo diceva lui, ci risiamo, è possibile che li confondo sempre? lo diceva mia madre: era lei che credeva nella storia; il professore diceva: “Ti piace la storia? Tutte balle, è meglio che leggi L’Avventuroso! La storia non si ferma malgrado autorità e religione la vogliono fermare”: — e così venne il ventesimo congresso e allora tutto non fu così bloccato, così concluso, sicuro: allora, forse, potevo anche parlare di un figlio di avvocato di quel piano nobile nel quale ero cresciuta e non dovevo per forza scendere in cortile e fingere di essere Nina la cagna, o Teresa la figlia del gigante. Potevo. E come potei, incominciai. Mi venivano poesia d’amore, storie di bambini borghesi tentati dalla religione. Io dovevo accusare. Poesie d’amore! Se mia madre mi avesse vista!

Mi ributtai sul letto e queste donne — se vi devo dire la verità, ancora adesso, anzi proprio adesso che le ho accusate — sono entrate e si sono sedute sulle sedie, sul divano, in piedi di contro il muro e mi guardano senza dire niente. Ma io so cosa pensano. “Lo sapevamo che ci avresti tradite. Tu parli di te, del tuo disordine di piccola borghese, delle tue camicette marcite: — e non vedi come siamo vestite di stracci?”

Come faccio a liberarmi di loro? Io voglio parlare di figli di avvocato, voglio parlare d’amore, lasciatemi in pace. Cosa avete capito? Non mi fraintendete: non l’amore che intendete voi, ma d’“amore”. Anzi, già che questa parola, così malintesa e usata tanto che si è scolorita e sbrindellata, è caduta dalle mie labbra, ci tengo a chiarire subito: se fra voi c’è qualche appassionato di “storie d’amore”, sappia che di questo argomento non parlerò. Anche a me piacciono le storie d’amore, ma il fatto è che, pur avendo avuta la mia porzione agrodolce, dell’amore non ne ho mai capito niente: l’ho solo subíto. E come posso parlare di una cosa che ho solo subita? Se ve la raccontassi, con il dolorismo che mi ritrovo, ne avreste la peggio. Per educazione non lo farò.

Non so cosa sia amore fra uomo e donna: non so come nasce, perché nasce, come muore. So solo che ci sono molti fraintendimenti in questa parola. Moltissimi. Sta seppellita sotto montagne di detriti. Dovrei essere un archeologo, e non lo sono, per ripescarla nella sua purezza. Oltre tutto per parlarne dovrei inventarmi qualche bugia in più di quelle che già vi dico: e una, due, tre, quattro bugie sono la vita, la chiarezza. Ma dieci, cento sono il regno dei sogni, il paradiso, l’evasione nella fantasticheria, la menzogna sistemata in ideologia. No, non sono bugiarda fino a questo punto.

Lettera Aperta
di Goliarda Sapienza
1967

Edizione del 2017
Giulio Einaudi editore

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Alessandra Rigano
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prof at Abadir, creative director at Suq.Magazine, one of AVAJA, cat feeder, good girl.