25 aprile 2022, monologo
--
Vorrei iniziare questi minuti con qualcosa di banale, ma non scontato, quindi: buon 25 aprile a tutte e tutti. Siamo molto contenti di essere qui, oggi, nel 2022, dopo queste settimane in cui chiunque si è messo in bocca la parola pace, la parola partigiano, la parola resistenza. Un pensiero va ad ANPI, una di quelle associazioni che meriterebbe l’attenzione avuta recentemente, ma 365 giorni l’anno, per vedere se qualcuno di quei bifolchi si accorge dell’importanza del lavoro svolto, dal 1943 in poi, da chi ha deciso di prendere una parte.
Un’attività, quella di prendere una parte che, mi viene da dire, va tantissimo di moda negli ultimi tempi, peccato che la parte sia - quella molto affollata -degli stronzi.
Io poi, a dire il vero ed essere sincero, ho spesso un moto di fantasia che mi spinge a guardare alle ricorrenze importanti con quel sorrisetto di chi si metterebbe a fare una cosa diversa dal solito. Meno solenne, meno strappalacrime, meno già sentito, più nuova, più viva, meno rigorosa. Non mi fermerò quindi a parlare di cosa faccio o non faccio per il mio compleanno.
Anche quest’anno per questa occasione che ci vede qui oggi, che è la festa della liberazione dal nazi-fascismo ed è dunque una festa importantissima se non la più importante assieme a quella del Primo Maggio, ho sentito quel moto di fantasia e mi sono messo a spulciare tra libri, articoli, citazioni, biblioteche mentali di cose che dio solo sa cosa andavo cercando, perché poi, dopo un po’ che le cercavo, queste cose, non sono apparse e, devo dire, un po’ ci sono rimasto male e un po’ ho pensato che era anche giusto così, che mi andava bene non aver trovato chissà cosa per rinnovare questo discorso lungo 77 anni se prendi il 1945 come punto di riferimento, ma diversi in più se vuoi andare alla radice dei venti anni di fascismo parecchio miserabili che hanno portato l’Italia, un paese a forma di braciola, dentro ad un buio di speranze.
A tal proposito qualche mese fa ho realizzato una cosa un po’ stupida, che vorrei condividere con voi: Benito Mussolini era un provincialotto romagnolo che ha trovato fortuna a Roma e si è fatto fregare a Milano. Una parabola che, se un algerino o un vietnamita mi chiedessero oggi com’è la vita di un italiano medio, gli risponderei esattamente così: nasci furbetto e poi muori come un prosciutto appeso in pubblica piazza.
A me dispiace pure parlare di più furbi e meno furbi, che non mi pare sia una qualità durevole delle persone, perché una cosa che ci insegna la resistenza è che non si può pensare di dividere il mondo in due parti nette, perché poi finisci con il non capire più chi è davvero con te per affetto o chi lo è per opportunismo, per costrizione. Molta gente che blatera in tv, sui giornali, dentro l’internet, spesso commette un errore logico intrigante –per non dire che proprio ignorano la storia– quando dicono che sono stati i partigiani a dar vita alla guerra civile. Che io, ormai che sono un adulto, vorrei arrotolarmi le maniche della camicia, fare la faccia seria e chiedere loro di ripetere questa strana teoria per cui i venti anni precedenti sono scomparsi dall’equazione. Questa strana teoria per cui la resistenza è nata come un fungo, che te lo ritrovi sotto l’albero o chennesò, che te lo porta la cicogna.
Per vent’anni il regime fascista, supportato dalla monarchia, ha fatto quel che gli pareva, da bravo regime: uccidendo sistematicamente, privando della libertà, schiacciando il paese e dunque il popolo. Il partigianato, che significa poi prendere parte, nasce dopo venti anni di dittatura e 3 di guerra militare che - a vedere come ragionano oggi quei commentatori lì - uno potrebbe dire che abbiano portato anche troppa pazienza, i partigiani.
Mi arrabbio. Poi mi passa, per forza mi passa, anche perché non capiscono mica niente quelli lì che dicono ste faccende, le dicono perché godono di così tanta libertà che pensano di saper tutto e poter dire tutto quello che gli passa per la testa, ché tanto qualcuno che li applaude rimane sempre.
Confermo. Ho detto “troppa libertà”, perché ad un certo momento bisogna anche stabilire dei limiti e, almeno sul corso degli eventi, avere un limite alla vergogna.
Si fa spesso l’errore di contrapporre il bene al male, io penso non sia così facile. Penso anzi sia davvero difficile decidere chi e cosa è bene o male, penso anzi che la forza nel voler stare dal lato dei giusti sia proprio avere tra le proprie carte una grande varietà di emozioni e comportamenti, anche duri, anche radicali come imbracciare un fucile, ma avere nell’altra tasca un biglietto che ti ricorda che finita la guerra poi la pace bisogna costruirla e sei tu il primo a dover fare un passo per reinserire in società chi ha perso e si sente escluso, sei tu il primo a dover immaginare una società in cui nessuno si senta escluso e a cui convenga non militare in quel grande minestrone d’odio che è, il razzismo, la xenofobia, il fascismo.
Il professore Alessandro Barbero, in una delle sue famose lezioni, fa un approfondimento interessante su come sia errato pensare che con la fine della guerra d’improvviso tutti fossero diventati democratici repubblicani. Persino Eugenio Scalfari una volta confessò che al referendum lui votò monarchia perché temeva che il paese cadesse in mano alla chiesa, una teoria avvincente, se non fosse che la monarchia ha lubrificato vent’anni di dittatura. L’ha detto Scalfari di sé stesso, mica io, che però accetto l’inestricabile complessità del mondo e non penso che siamo qui a dire per la settantasettesima volta che noi eravamo nel giusto perfetto, perché noi siamo il lato della storia che ha avuto –anche fortuitamente– ragione, ma questo è anche il lato che ha saputo essere garantista, pietoso, inclusivo persino nei confronti di chi fino al giorno prima era nemico, non solo d’opinione o attraverso un profilo social, ma fisicamente, militarmente, a costo della vita.
L’orrore della guerra non sarebbe mai finito con il lieto fine in cui ancora oggi viviamo se non fosse stato per la lungimirante umanità che ha permesso alle stesse persone riunite qui di vedere le cose per come sono, con un filtro ideologico fiero: un’ideologia che ha la forma di chi non nega, non opprime, non esclude.
Festeggiare il 25 aprile rappresenta festeggiare un percorso, non solo un momento, non solo quel 25 aprile 1945, ma la strada che si è aperta ufficialmente da quel giorno e che permette di essere bianchi, neri, gialli, alti, bassi, maschi, femmine e ogni sfumatura in mezzo e attorno. E di votare liberamente. Anche partiti di destra, anche partiti di destra magari non bellissimi, roba scoraggiante anche. Ecco cosa significano 77 anni di 25 aprile: essere liberi di essere come pensiamo sia giusto essere. Mica poco.
La grande lezione etica e morale che, secondo me, è importante sottolineare ancora oggi: da qui, noi sappiamo riconoscere il male, ma non accettiamo e non accetteremo di dividere in due il mondo, perché dividerci è ciò che vuole il male stesso per proliferare e noi, a questo, resisteremo.
Grazie mille, buona serata e buon 25 aprile.
di Alberto bebo Guidetti