In vita e in morte dell’ultimo poeta beat

Lawrence Ferlinghetti

Fantastico!
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3 min readJun 3, 2021

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Esistono nel mondo dei posti iconici, lontani dalle foto da cartolina da postare sui social.
Tra questi c’è la City Light Books, al numero 261 di Columbus Avenue a San Francisco, libreria e casa editrice fondata da Lawrence Ferlinghetti (1919–2021), il meno “beat” dei poeti “beat”, ma colui grazie al quale «the best minds of my generation» («le migliori menti della mia generazione»; Allen Ginzberg, Howl and other poems, 1956) hanno potuto pubblicare i loro libri e le loro poesie. La sua concezione di libreria era molto semplice: «un luogo d’incontro letterario», dove scrittori e lettori potessero riunirsi per condividere idee sulla politica e sull’arte in generale.
La rivoluzione letteraria e sociale che parte dalla City Light Books si colloca tra il boom economico americano e lo strisciante maccartismo; tra la guerra fredda e i primi movimenti per i diritti umani. Questa rivoluzione interroga una società nella quale poetesse come Anne Sexton o Sylvia Plath non riescono a trovare la via della completa emancipazione e la censura si abbatte su capolavori come Ulysses di James Joyce o Tropico del Cancro di
Henry Miller, impedendone per anni la pubblicazione.
Il momento più paradossale dell’esperienza di scrittore ed editore di Ferlinghetti comincia il 21 maggio 1957, quando due agenti di polizia si recano alla libreria per acquistare, al prezzo di 75 centesimi, una copia di Howl and other poems del visionario Allen Ginsberg, che contiene riferimenti espliciti all’uso di droghe e al sesso libero, etero e omosessuale. I poliziotti arrestano Shigeyoshi Murao, socio e libraio, e poco dopo Ferlinghetti con l’accusa di diffusione di materiale osceno.
Howl - il poema che segna lo scandalo e l’inizio della rivoluzione e che è considerato anche come la prima dichiarazione antifascista americana - è realmente un “urlo” che sconvolge la letteratura e la poesia mondiale, letto per la prima volta dall’autore alla Six Gallery di San Francisco nel 1955 davanti a una piccola platea. È scritto con un verso ritmato che ha la cadenza della lingua parlata; il poeta rivive le sue esperienze più crude, dal ricovero in un ospedale psichiatrico all’uso delle droghe alle esperienze omosessuali.
La critica all’America è spietata, il capitalismo è descritto come un “Moloch”, mostro gigantesco che emargina e condanna tutto ciò che è “diverso” e fuori dagli schemi del WASP (White Anglo-Saxon Protestant, Protestante anglosassone e bianco).
Il processo è famoso come il primo caso di appello al primo emendamento della costituzione americana, che protegge la libertà di parola e di stampa. Il giudice Clayton Horn, nonostante fosse un battista praticante, affronta il dibattimento senza pregiudizi, senza subire la pressione mediatica; osserva che se le parole accusate di oscenità fossero sostituite, l’opera perderebbe il suo significato letterario e conclude che la censura del libro «distruggerebbe le nostre libertà di parola e di stampa». La sentenza arriva il 3 ottobre del 1957: il libro non è osceno, gli imputati non sono colpevoli. Howl acquisisce il pieno diritto di essere uno dei libri di poesia più rappresentativi della storia della letteratura.
E ora che con Lawrence se n’è andato l’ultimo “beat”, ci sentiamo tutti un po’ orfani di questi uomini complessi e coraggiosi, che hanno saputo strappare la patina di falsa perfezione dall’America del loro tempo e vomitare la loro sofferenza di esclusi e reietti.
Non è cambiato molto da allora, ma il loro coraggio, il loro dolore e il loro saper gridare di fronte a una società che emargina i “diversi” devono ancora guidarci nell’opporci alla mediocrità e all’appiattimento culturale e sociale che ci viene proposto. Lo dobbiamo alla nostra umanità e alle loro vite di sofferenza ed emarginazione, che nemmeno le meravigliose opere letterarie che ci hanno lasciato “in custodia” sono riuscite a sanare fino in fondo.

di Barbara Giannini

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