Potere alle parole

Intervista a Vera Gheno da Fantastico! #3

Fantastico!
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5 min readNov 23, 2020

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Vera Gheno ti vede quando non coniughi al femminile le parole

Vera Gheno è una traduttrice e sociolinguista specializzata in comunicazione digitale. Insegna all’Università di Firenze, collabora con la casa editrice Zanichelli, scrive valanghe di post e di libri illuminanti. Qui ci parla della potenza delle parole e dell’importanza del silenzio, di «Femminili Singolari» e di impacchi all’henné.

«Ognuno di noi è le parole che sceglie: conoscerne il significato e saperle usare nel modo giusto e al momento giusto ci dà un potere enorme, forse il più grande di tutti.»
Rubo le parole dalla quarta di copertina del tuo ultimo libro, «Potere alle parole», per chiederti: Come si selezionano le parole adatte a raccontare le cose?

Io mi affido a tre coordinate, se così vogliamo chiamarle: il contesto, gli interlocutori e l’intenzione comunicativa. Sono le domande che mi faccio tutte le volte che devo usare le parole, e mi aiutano a non sbagliare parole - o meglio, riducono la possibilità di fare errori gravi. Dopodiché non mi illudo che esista un modo ideale di comunicare, ma almeno ci provo.

Ricordi il momento in cui hai trovato le parole giuste per descriverti?

Mica l’ho trovato! Diciamo che a un certo punto mi sono detta: «Ok, posso dirmi sociolinguista», e questo aver trovato un’etichetta professionale mi ha aiutata a “centrarmi”. Ma sono in perenne ricerca, come credo la maggior parte di noi. Il nickname “A wandering sociolinguist”, la sociolinguista errante, in fondo fa riferimento anche a una mia condizione esistenziale, a tutt’oggi abbastanza irrisolta (ma non infelice, alla fin fine).

Come sta la lingua italiana oggi?

Diceva Tullio De Mauro che l’italiano non è mai stato meglio. In fondo, quando mai è stato parlato da così tante persone e usato per scopi così differenti? Sono d’accordo con lui, e con il fatto che casomai la nostra sensazione che l’italiano stia male è legata al fatto che oggi, molto più di una volta, il discorso pubblico non è riservato solo alle persone in grado di comunicare bene, ma abbiamo tutti acquisito una sorta di megafono. Hanno visibilità livelli di uso della lingua che prima rimanevano per lo più nascosti. Poi, ovviamente, De Mauro aggiungeva che l’italiano sta bene, sì, ma un po’ meno gli italiani (da un punto di vista culturale). E su questo ultimo punto dovremmo lavorare…

Fantastico! appaga l’esigenza di sfuggire dalle sgrammaticature e dalle narrazioni imbruttite presenti sui social. Tu, quindi, sei la nostra dea, la nostra Sailor sociolinguista. Come combatti la guerra alle sgrammaticature?

Non amo le metafore di guerra: sono sulla linea del mio collega Federico Faloppa che, in riferimento alla narrazione della pandemia, giustamente nota come l’uso di topoi narrativi di ambito bellico porti con sé una serie di conseguenze francamente poco desiderabili, come ad esempio la proliferazione di figure nemiche. Abbraccio più la filosofia del nudge, della spinta gentile. Ho notato, nel corso di molti anni di attività, che la stragrande maggioranza delle persone ama riflettere sul proprio modo di comunicare, se guidata a farlo con gentilezza. Più che altro, cerco di fare questo: far vedere a chi ho di fronte il vantaggio di governare le parole, là dove un uso distratto, invece, non può che provocare disagi e fastidi.

Anche la ridefinizione del femminile passa dalle parole. In «Femminili Singolari» tu smonti con accuratezza tutte le convinzioni linguistiche della comunità italiana, rintracciandone l’inclinazione maschilista. Ha senso mantenere distinzioni tra mestieri al femminile e mestieri al maschile?

E perché mai dovrebbe avere senso? Una delle repliche che sento più spesso sui social è “i mestieri sono neutri, ‘architetto’ vale sia per il maschio sia per la femmina”. Mi chiedo sempre se chi fa queste affermazioni si è mai fermato a pensare che sono molti di più i mestieri che decliniamo tranquillamente al femminile che non quelli che facciamo fatica a declinare: perché per maestra, operaia, sarta, regina, contadina eccetera non varrebbe questa regola della neutralità dei mestieri e dei ruoli? Semplice, perché a questi siamo abituati, a ministra, assessora, questora, avvocata no. L’unica vera differenza è l’abitudine, anzi, l’inerzia linguistica. Solo che, siccome diventiamo tutti un po’ “inerti”, linguisticamente parlando, ci inventiamo regole inesistenti. I mestieri non sono neutri nel momento in cui ci rivolgiamo a una persona che svolge un certo mestiere, e questo è quanto prescrive la norma della nostra lingua. Il problema, infatti, non è linguistico, ma decisamente socioculturale.

Alda Merini scriveva: «Mi piace chi sceglie con cura le parole da non dire». Che importanza hanno i silenzi nella scrittura e nella narrazione?

Un’importanza enorme, spesso sottovalutata. Il silenzio non è mancanza di comunicazione, ma comunicazione a sua volta. E va saputo gestire nel migliore dei modi. Non a caso, sto scrivendo un libro proprio su quello che io chiamo «metodo DRS» ossia dubbio, riflessione, silenzio: per me, le pietre angolari del mio modo di comunicare.

Ho amato il tuo approfondimento per «Internazionale Kids». Come si trasmette l’amore per le parole ai bambini?

Mi viene in mente solo una cosa: dando l’esempio. Una delle riflessioni più importanti della sociolinguistica è che noi siamo linguisticamente frutto del nostro ambiente; se un bambino cresce in un contesto culturalmente e linguisticamente deprivato, avrà più difficoltà ad assaporare la gioia, il potere della parola. Io sto cercando di insegnare a mia figlia, che ha quasi tredici anni, a essere curiosa rispetto a tutto ciò che l’ambiente attorno a lei può comunicarle. Certo, mi piacerebbe anche che leggesse di più, ma… Intanto mi accontento di stimolare la sua curiosità linguistica.

La tua parola preferita.

Non ne ho una, perché penso che le parole servano tutte. Questo mi impedisce di sceglierne una preferita. Forse, le mie parole preferite sono i nomi delle persone che amo.

Dove possiamo leggerti, vederti, ascoltarti nei prossimi mesi?

Dal lunedì al venerdì dalle 15:30 alle 16:00 conduco un programma su Radio1Rai, «Linguacce», con Carlo Cianetti. Per il resto, giro tantissimo e il modo più semplice per sapere dove trovarmi è seguire il mio profilo su Facebook: da brava rappresentante della generazione X quale sono, è il social che aggiorno di più.

Come prepari l’henné?

In maniera molto spartana: aggiungo acqua calda, aspetto qualche ora e mi metto la pappa in testa per almeno tre ore. Il tutto coperto da una cuffia da doccia e da un berretto di lana per tenere l’impacco al caldo. Poi risciacquo e metto un balsamo sulle punte, altrimenti mi vengono i capelli secchissimi. Sono dieci anni che mi faccio l’henné e alla fine questo metodo con me funziona… Posto che la polvere sia di ottima qualità e abbia un buon potere colorante!

di Ilenia Adornato (in Fantastico! #3 autunno 2020, pag. 9)

«Siamo noi a nominare le cose, a decidere come chiamarle. Un potere immenso; anche perché il modo con cui chiamiamo le cose non è indifferente, dato che ne metterà in luce aspetti diversi. Perché esistono i sinonimi, per esempio? Perché non inventare un sistema semplificato in cui a ogni cosa o concetto corrisponde uno e un solo cartellino? Non sarebbe tutto più semplice? Certo; solo che perderemmo molte possibilità espressive: ognuno di noi ha, invece, modo di dire con parole sue quello che percepisce della realtà.»

Potere alle parole, Einaudi, 2019

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