Tre domande · Alessandro Burbank
Vivere di poesia, o meglio, della sua gestione
Ciao Ale. Sei uno dei pochi che oggigiorno vivono di poesia. Generalmente quando si pensa al mestiere del poeta ci si prefigura la pesantezza d’animo di Leopardi, ma né tu né noi siamo d’accordo con la visione generale. Cosa fai tu per prenderti meno sul serio? O per non prenderti affatto sul serio?
Vivo di poesia nonostante questo periodo storico e la sua agenda culturale, io ci provo, in realtà non vivo propriamente di poesia ma della sua gestione, di quella mia e di quella degli altri. Provo a fare della poesia un evento, una trasmissione. La poesia in realtà vivrebbe benissimo anche senza di noi, per cui l’autoironia è una dote fondamentale, ti fa essere pronto ad ogni scenario, dato che quando mi chiedono che lavoro faccio e gli dico “il poeta” non sai mai come può proseguire l’incontro; può sfociare in un beviamoci sopra che può diventare una rissa, una conoscenza finita in partenza, un amore a prima vista, una presa per i fondelli vicendevole soprattutto se l’altro ti risponde “ah fai il poeta, si, e allora io sono Carlo Conti”. È difficile prendersi sul serio in certi casi.
Contribuisci da più di dieci anni alla scena del Poetry Slam Italiano. Qual è il ricordo più caro che hai in quell’ambito finora?
Mi ricordo gli inizi, per partecipare ai pochissimi Poetry Slam che si organizzavano in Italia (ora se ne fanno più di uno a settimana in ogni regione grazie alla LIPS - Lega Italiana Poetry Slam e alle sue numerose scene locali) dormivo nelle stazioni, facevo la notte chiudendo i locali delle città e infatti mi sono trasferito a Torino perché qui si è svolto il primo campionato, organizzato fra gli altri anche da Guido Catalano, che nel tempo è riuscito a crearsi un suo pubblico di lettori e spettatori. Più che i ricordi singoli ed episodici, che sono molti, mi piace ricordare la sensazione che si ha quando si torna a casa dopo aver fatto quello che ti piace, aver fatto sorridere o inorridire il pubblico coi propri versi, parlato di poesia tutta la notte con i propri simili. È impagabile. Per questa bellezza intensa e collettiva che si vive partecipandovi oggi, sono numerosi i poetry slam e i gruppi di poeti che li organizzano.
Hai appena camminato attraverso il nord Italia in memoria di Nebbiolo. E poi ancora per la Senda Litoral. Qual è stata la parte più difficile dei due viaggi? Quale la più leggera e piacevole?
La parte più difficile te la dimentichi. Quando faccio una cosa che mi piace e che vorrei diventasse per sempre e con costanza il mio lavoro ci sono molte difficoltà, dal pianificare all’improvvisare soluzioni punk quando ti accorgi di non aver pianificato tutto, ma poi dimentichi, e ti rimane il gusto in bocca, il sapore del buono e la coscienza pulita. La cosa più difficile è ogni giorno non sapere se potrai fare questo per sempre. Perché magari non sei bravo abbastanza o perché hai perso tempo in cose lontane dall’obbiettivo. La leggerezza è data dall’incontro con gli altri, dall’aprirsi con chi fa, con chi prova ogni giorno a contribuire alla crescita immateriale di se stesso, degli altri e di quello che pensa voglia dire “poesia”.
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