Qual è, secondo te, il futuro dei luoghi di lavoro?

Fifth Beat
15x30
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11 min readJan 31, 2024

Le persone di 15x30 provano a guardare al futuro immaginando luoghi dove incontrarsi, molto più simili a un teatro che ad un ufficio, senza vincoli di orari o alcun obbligo di presenza. E voi? Qual è la vostra idea? Lasciatevi ispirare e buona lettura.

Matteo Balocco

Per secoli l’impresa ha ritenuto di sostenere costi molto alti di organizzazione e struttura pur di garantire il lavoro in presenza. Le condizioni per una diffusione massiccia del lavoro distribuito esistono da più di un decennio, ma sono state attuate solo per cause di forza maggiore, durante la pandemia.
Oggi stiamo vivendo una fase in cui si stanno scontrando due approcci culturali, quello tradizionale, che spinge verso il riflusso, aiutato in questo dalla recessione e da frequenti ondate di licenziamenti, e quello figlio della great resignation, che vede nella ricerca della qualità dei tempi di vita e lavoro una priorità.
Penso che, col tempo, saremo sempre più in grado di fare la tara tra le narrazioni entusiastiche di una e dell’altra posizione e di valutare, di volta in volta, quale sia la soluzione più adatta allo scopo del momento, senza troppi condizionamenti ideologici.

Elvira Berlingieri

Tutto nei prossimi anni dovrà diventare più sostenibile per arginare i rischi del cambiamento climatico, e si veda a tal proposito come sta investendo l’Unione Europea con il programma Orizzonte Europa (Horizon Europe, nato da Horizon 2020). Il luogo di lavoro seguirà l’evoluzione del lavoro stesso. Sotto questo aspetto forse è scontato rispondere che un grosso fattore di cambiamento sarà la normalizzazione del lavoro d’ufficio da remoto, specie se si andrà verso la settimana lavorativa breve, ma mi sembra un cultural shift inevitabile. Non solo perché il lavoro da remoto non abbassa la qualità del lavoro, ma per gli ulteriori vantaggi sociali. È un problema multifattoriale collegato al dinamismo sociale attuale dato che siamo troppi e ingolfiamo le stesse cose agli stessi orari rendendoci la vita difficile a vicenda. Il lavoro da casa ci restituirebbe pause pranzo e il tempo passato a spostarci con conseguente diminuzione dell’utilizzazione di mezzi di trasporto a combustibili, specie privati. E sarebbe anche un possibile correttivo al fenomeno della trasformazione degli appartamenti in città in casa-vacanza, perché permetterebbe a molti di andare a vivere in centri piccoli ora disabitati e che potrebbero tornare a nuova vita per sopperire alle esigenze di chi è tornato (o è arrivato) dopo aver lasciato una città.

Marco Bertoni

Lavoro da remoto da quasi sei anni, ben prima del Covid. Ti posso raccontare la mia opinabilissima visione. Oggi in Italia il lavoro da remoto è di fatto una ripetizione virtuale delle stesse fallacie dell’ufficio fisico: il treno quotidiano di riunioni inutili si è trasferito su Zoom ed è ancora più faticoso. Lavorare da remoto in modo serio significa comprendere la necessità di processi asincroni e della libertà di organizzare autonomamente il lavoro. La maggior parte delle aziende, secondo me, è ancora lontana da questa consapevolezza. Il futuro per me è una situazione ibrida e fluida: ci sono attività che sono molto più efficaci se svolte in presenza, pensa a una sessione di co-design per esempio, e altre (per me la maggior parte) in cui la presenza in ufficio è totalmente inutile. Poi c’è il tema della socializzazione, ovviamente. La mia azienda lo affronta prevedendo un budget di socializzazione per tutti i dipendenti che sono così stimolati a vedersi periodicamente di persona. Questo cambiamento è però strettamente legato all’evoluzione dei sistemi organizzativi: finché non cambiano stile di leadership, strutture organizzative e sistemi decisionali le aziende non faranno altro che fare cargo cult, come è successo per Agile.

Nicola Bonora

Se sottintendiamo “fisico”, e delimitando il pensiero al nostro contesto professionale, mi pare di constatare una tendenza: il luogo di lavoro è un ambiente in cui ci si incontra per occasioni definite, ad esempio attività per le quali la chimica della compresenza può fungere da fattore abilitante, coadiuvante; un ambiente a cui appoggiarsi perché più favorevole di altri (ad esempio, la propria casa) al migliore svolgimento della propria attività; un ambiente in cui si possano svolgere relazioni sociali in modo casuale, non predeterminato (la macchinetta del caffè). In tutti questi casi, il fattore comune è la scelta: non più l’obbligo predeterminato di compresenza tra le stesse pareti, ma la possibilità di usare un luogo per fare qualcosa meglio.

Salvatore Chiarenza

Devo dire che non sono bravo a cogliere i segnali del futuro. Quello che posso immaginare è che saranno sempre più ibridi: a metà tra fisico e digitale. Ma esiste un ambito della vita futura che non lo sarà?

Alex Conconi

Almeno in questo mestiere non credo che torneremo più a frequentare uno studio o un ufficio ogni giorno, ma questi luoghi non spariranno. Si trasformeranno in ambienti flessibili dove alternare momenti di lavoro in isolamento e tranquillità a sessioni di condivisione e discussione.

Mafe de Baggis

Io spero che scompaiano, ma so di essere un po’ anarchica (e allergica). Mi immagino un posto più simile a una sala di lettura con un bar e un teatro che a un ufficio, dove incontrare le persone quando se ne ha voglia o se ne sente il bisogno.

Giovanna de Vincenzo

Lavorare ovunque e con chiunque, sinergia assicurata!

Andrea Ferraresi

Io lavoro da remoto da anni (in Italia lo chiamano smart working che èla definizione che odio di più in assoluto) — Non è sempre facile, dipende dal team e dalla capacità di comunicare delle persone. Soprattutto alcune persone non sono fatte per lavorare da sole altre danno il loro meglio quindi difficile a dirsi. Io personalmente preferisco avere un ufficio e la capacità di andarci quando voglio.

Federico (Chicco) Ferretti

Nel mio settore, ho sempre dato molto importanza agli spazi di lavoro, un po’ per vezzo estetico ma soprattutto per la laboriosità che un ambiente ed un contesto riescono ad innescare. Il lavoro è rito. Rito quotidiano e rito collettivo: è utile avere dei luoghi e non solo degli spazi. Le slot di 30 min o di un’ora mi stanno strette. Preferisco un ufficio, una stanza, uno studio, con le pareti. I contorni devono essere definiti. Le visioni devono avere un punto di osservazione. È importante che esista un dentro ed un fuori. Un fuori per capire, un dentro per costruire. È anche indispensabile lasciare la porta aperta sia per quelli che vanno che per quelli che vengono. Non so quale sia il futuro dei luoghi di lavoro. So che per me e per il mio team, per progettare non serve solo un perché e un per chi ma anche un dove. Un punto sulla mappa fa la differenza dà appartenenza, accoglienza e alterna il nostro pubblico e privato.

Roberta Grimaldi

Non siamo fatti di solo digitale, quindi penso sarebbe utile e anche sano (per non estraniarsi totalmente) poter mantenere anche un luogo di lavoro fisico, dove poter continuare a confrontarsi in maniera più veloce e diretta, oltre che a coltivare quella socialità spontanea, tipica del vis a vis.

Certo, assistiamo sempre di più ad una tendenza di vivere il lavoro in maniera ibrida (fisico-digitale), diffusa (in qualsiasi luogo), e quindi pervasiva (in qualsiasi momento). Sarà dunque vitale mantenere delle zone, fisiche e non, libere dal lavoro.

Sara Groblechner

Più flessibilità sul luogo in cui lavorare, più personalizzazione del proprio spazio di lavoro, più incontri dal vivo anche fuori dal classico ufficio.

Daniela Iozzo

Sono fan del full-remote, purché compensato da occasioni di team-building ricorrenti. Oppure dell’ibrido, con uffici che promuovono la collaborazione e case ben attrezzate.

Maria Cristina Lavazza

Non saprei, penso che bisogna vedersi, parlarsi, toccarsi al di là dello schermo, fosse anche alla villa comunale.

Giovanni Marazita

Non credo che ci sia una risposta sola, ognuno ha le sue esigenze (sia persone che aziende) quindi bisogna essere flessibili.

Tobia Marconi

La domanda fondamentale del post pandemia. Non saprei, abbiamo tutti un po’ imparato a interagire nel “non luogo” di lavoro, collaborare negli spazi digitali. Tantissimi ora stanno sperimentando sistemi ibridi di ogni sorta, e si trova ancora chi ancora crede fortemente nel condividere lo spazio fisico anche se non è una necessità. Fino a qui, ho sprecato parole e il tempo di chi legge con ovvietà, ma mi piacciono le premesse. Credo, riprendendo la risposta sulla company culture, che il futuro dei luoghi di lavoro sia “flessibile”. Personalmente ho vissuto momenti di grande solitudine sia lavorando da remoto con un forte senso di distanza e di alienazione; sia in ufficio in mezzo ad altre persone che si ignorano e non collaborano. Al contempo ho tantissimi ricordi di grande umanità, intimità e relazioni importantissime strette attraverso un monitor, come grandi ricordi di gioia e di comfort nell’avere la possibilità di condividere lo spazio fisico per lavorare insieme. Il luogo di lavoro del futuro sarà un sistema complesso che include qualunque “spazio” in questo spettro che facilita la collaborazione e la comunicazione tra le persone. Complesso e flessibile in modo da garantire l’accesso a questi canali di collaborazione secondo le esigenze di ognuno. La mia è una non-risposta sui non-luoghi di lavoro. Ma come il Cynefin comanda, a un problema complesso possiamo rispondere solo esplorando, e il punto di rottura della pandemia è stato un grande motore di sperimentazione, ognuno giungerà a una sua risposta per tentativi.

Elena Marinoni

Il futuro dei luoghi di lavoro è sempre più ibrido, legato al “come” e non al “dove”.

Erica Moreti

Ufficio, non ufficio, lavoro remoto, in presenza…
Ho avuto la fortuna di lavorare in altri paesi, e con persone diverse in termini di contesto e origini. Vedo (o mi auguro) un futuro ogni volta più flessibile verso le necessità e individualità di ogni persona. In Italia purtroppo non abbiamo oggi una grande flessibilità di modalità contrattuali, o una facilitazione fiscale, ma credo che possiamo lavorare per diversificare il più possibile le modalità. Ad esempio, una mamma avrebbe delle necessità diverse da un lavoratore single, persone di culture diverse o neurodiverse lavorano in modi differenti, e magari avrebbero bisogno di altri orari lavorativi o di flessibilità diverse. Nonostante ciò, credo che il vedersi, l’avere un rapporto diretto e in presenza è fondamentale, ma ciò non vuol dire lavorare ogni singolo giorno in ufficio, dalle 8–18.

Nicole Nardelli

La mia speranza è che l’idea del lavoro remoto continui ad espandersi e a diventare una scelta sempre più comune per offrire maggiori opportunità e flessibilità. Allo stesso tempo, credo sia comunque importante incontrarsi e collaborare di persona per costruire relazioni più forti. Quindi spero che il futuro dei luoghi di lavoro trovi il giusto equilibrio tra il lavoro remoto e la collaborazione in presenza.

Alice Orrù

Sarà che lavoro in team da remoto dal 2015, ma secondo me il futuro per chi si muove nel digitale non può che proseguire sulla strada del remoto. Questo implica creare spazi di lavoro aperti, accoglienti e flessibili, dove ogni persona del team possa portare il suo contributo e sentirsi utile. Credo anche che, finalmente, stiamo entrando in un’epoca di maggiore consapevolezza sui temi della comunicazione inclusiva, fondamentale all’interno di ogni team.

Beatrice Pedrini

Credo, penso e spero che l’ufficio in senso stretto diventerà un’opzione anziché un obbligo per sempre più persone. Questo non solo aiuterebbe tanti a trovare un miglior equilibrio tra lavoro e vita privata, ma permetterebbe anche a molte persone di proporsi per lavori e ad aziende che altrimenti gli sarebbero preclusi. Credo però che sia sano preservare anche una dimensione fisica degli spazi di lavoro, non solo perché ci sono casi in cui è più efficace o addirittura imprescindibile, ma anche per il ruolo sociale che riveste.

Elena Piovan

Credo sia difficile dirlo con sicurezza; ci sono segnali che vanno in diverse direzioni, a volte anche chiaramente contrastanti. Sicuramente una delle spinte più forti va verso il superamento della co-presenza negli uffici, dato che questo incontra sia i desideri dei lavoratori, che quelli dei datori di lavoro (per motivi prima di tutto economici). In che modo questo si interfaccerà, e verrà declinato, con la necessità della co-presenza per svolgere al meglio alcune delle attività di lavoro, lo vedremo.

Donatella Ruggeri

Luoghi belli esteticamente, diversificati per funzioni e momenti psicologici in cui ci troviamo. Non so se è il futuro, ma so che è quello che oggi ci serve, e spero che sarà preso in considerazione in modo lungimirante e intelligente.

Daniele Tabellini

Penso sia difficile generalizzare per tutte le professioni e geografie.

Guardo alla mia esperienza e ti lascio due appunti. Ho iniziato nel digital design in un’azienda del nordest che “non dormiva”, prodromo di quella che oggi è diventata una grande fattoria contemporanea. A venticinque anni, in un mondo di torri che crollavano, la mia prima scrivania era posizionata tra letti a castello, muri con grafi delle pizze consumate e biliardo, in mezzo a decine di altri ‘giovani creativi’. Ero l’unico iscritto a un sindacato, un sindacato che in fondo non capiva ancora il nostro mondo atipico, l’avrebbe scoperto un po’ di tempo dopo con fatica. Macromedia Flash e Napster le due app più usate sul mio Mac d’allora. Design esplorativo, musica e condivisione. Sono stati anni di iniziazione alla professione bizzarri, formativi e in un certo modo anche molto felici. Avevo due lunghe trecce ai capelli e andavo scalzo per conferenze. Taglio. Oggi. Piano sequenza. Sono fortunato, vivo da vent’anni di lavoro nomade, indipendente e in buona parte campagnolo, di cose che adoro fare saltando avanti indietro tra i mondi dell’arte e del design, cercando la felicità mia e altrui, nutrendo l’anima hacker e i sogni di paesi lontani. Da anni, due giorni la settimana verso primavera, faccio lunghe trasferte nella Repubblica di San Marino, — certe mattine un ameno paesaggio terramare che sembra uscito da un film di Miyazaki, — dove tengo laboratori sull’approccio sistemico al progetto open per le arti, per UNIRSM.design dicevo. Ecco, io forse vorrei che il futuro dei luoghi di lavoro abiliti e supporti più esperienze così: in cerca di felicità, nomadi, libere, piene di scoperte e possibilità, anche vivendo in un piccolo-borgo-slow. Si può fare?

Cosa manca in questa risposta? Forse il networking. Abbiamo grosse responsabilità come lavoratori della conoscenza e del digitale. Creare consapevolezza e resistenza su tanti temi esiziali, dalla sostenibilità all’inclusione all’etica del lavoro al futuro, dovrebbero essere priorità per tutti noi. Per immaginare e costruire protopie, mondi migliori. E non possiamo che farlo insieme probabilmente. Condivisione e bene comune. Forse è questa davvero la sfida per il futuro dei luoghi-non luoghi delle nostre professioni sempre più nomadi. Essere comunità di valori. Che dici?

Davide Tarasconi

Per quanto riguarda le professionalità dei knowledge worker il futuro dei luoghi di lavoro credo sia… non essere più dei luoghi, probabilmente.

Sono cresciuto sviluppando software e conosco il potenziale dei progetti open source. Da decenni persone da tutto il mondo lavorano gratuitamente e volontariamente a progetti estremamente complessi: perché non dovrebbe essere così anche per quello che facciamo professionalmente?

Credo che il futuro sarà sempre più orientato ai progetti, indipendentemente dal dove si troveranno le persone, dal fatto di essere dentro o fuori da un ufficio, sullo stesso fuso orario o meno, impiegati di un’azienda o freelance.

Ero già un convinto sostenitore della massima “i migliori talenti sono sempre altrove” da molto, molto prima del passaggio massiccio al lavoro da remoto degli ultimi anni: come non esserne convinto ora e nel futuro?

Giorgio Trono

Più che una previsione, è un auspicio: l’abbandono dell’open space.

Matteo Uggeri

Mescolarsi. Essere luoghi di transito tra casa (smartworking) e spazi virtuali digitali. Accogliere membri delle famiglie di chi ci lavora, perché chi come noi non ha il lusso dei nonni vicini e in gamba a supporto, finisce a correre tra l’asilo, la scuola, la palestra e il corso di tassidermia applicata, impazzendo (e lavorando malissimo). L’ufficio ha una sua ragione d’essere, ma deve accogliere, e in senso lato. A casa da solo mi concentro ma mi alieno, in un open space con 30 persone vocianti in call su Zoom divento isterico. E poi stiamo fuori, all’aperto. Il cambiamento climatico spaventa ma dobbiamo tenerlo in considerazione anche in questo senso.

Lowie Vermeersch

Vedo il futuro posto di lavoro come un luogo in cui non si sospende la propria vita, ma un luogo con sufficienti qualità umane per considerarlo parte integrante e piacevole di essa. E mentre scrivo questo, mi rendo conto che è anche una cosa molto difficile da far quadrare con la crescente pressione e il carico di lavoro che il mercato impone. Trovare questo equilibrio è un obiettivo difficile, ma essenziale da raggiungere.

Pasquale Volpe

Avremo ancora di luoghi? Io spero solo in una connessione più veloce ovunque e prese di corrente nei parchi e sulle spiagge.

Marco Ziero

Credo che dovranno mutare in luoghi più favorevoli al confronto che alla produzione; abbiamo imparato che la parte produttiva può essere replicata quasi ovunque. Dobbiamo quindi chiederci il motivo dell’aggregazione: perché dovrei mettere più persone nello stesso posto? Dovranno esserci insomma più macchinette del caffè e free food. :)

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