“Geopolitica” dell’Artificial Intelligence

Stefano Pace
Off-the-grid: tra fisico e digitale
4 min readAug 1, 2018
Kai-Fu Lee

Un articolo di Kai-Fu Lee − venture capitalist e innovatore − dello scorso anno sul New York Times propone una visione dei cambiamenti geopolitici e sociali che potrebbero essere portati dall’Artificial Intelligence.

Secondo l’autore, in un mondo in cui i lavori a maggior valore economico aggiunto saranno eseguiti dai sistemi di A.I., gli unici lavori che rimarranno per gli esseri umani saranno quelli che definisce “service jobs of love”: lavori di volontariato e di utilità sociale che nessun computer potrebbe e saprebbe svolgere. Può sembrare fantasia o futurologia estrema, eppure la rapidità dei cambiamenti cui stiamo assistendo forse non darà neanche abbastanza tempo per aggiustare pensiero, sistemi legali, alleanze fra paesi, modalità operative della società.

Si tratta di lavori di cui la società ha bisogno, ma che l’A.I. non riesce a eseguire. La domanda è quindi: chi pagherebbe questi lavori di altissimo valore, ma basati su atti volontari senza ritorno economico? Lee innesta qui una visione geopolitica. Gli U.S.A. e la Cina sono le due potenze che stanno vincendo la corsa agli armamenti dell’A.I. Una corsa che vedrà queste due potenze sempre più avanti e vincitrici, perché più dati hai e più vantaggi hai nell’attrarre ulteriori dati che nutrono l’A.I. e intelligenze umane che li gestiscono. Una crescita esponenziale della capacità intellettiva artificiale, in cui più conosci e più conoscerai. In questo scenario, avremo due (o pochi) Paesi stra-ricchi grazie all’A.I. e tanti Paesi poveri, secondo Lee. In qualche modo, secondo Lee, i Paesi ricchi dovrebbero sovvenzionare quelli poveri affinché possano svolgere i loro lavori non-A.I.

La domanda ulteriore è la seguente: perché e come la Cina o gli Stati Uniti dovrebbero tassare i loro cittadini per aiutare altri Paesi? Lee si ferma lì (scusate la rima, non ho resistito). Auspica genericamente un nuovo ordine mondiale in cui, d’amore e d’accordo, si dovrà in qualche modo ridurre il gap di A.I. fra Paesi, in modo che tutti abbiano un buon livello: “One way or another, we are going to have to start thinking about how to minimize the looming A.I.-fueled gap between the haves and the have-nots, both within and between nations”.

Ottimo intento, ma temo che l’ammore universale in geopolitica duri il tempo di un breve giro di valzer diplomatico. La sfida tecnologica che stiamo vivendo richiede un equilibrio geopolitico difficile e in continuo cambiamento. Non so quanto gli U.S.A. o la Cina abbiano interesse a finanziare un Paese solo in nome dei suoi fasti passati o di una generica generosità.

Nulla di nuovo sotto il Sole, a ben vedere. Si tratta di un ricorso storico. La disparità tecnologica è interpretata dagli stati − almeno agli inizi dello sviluppo di ogni ondata tecnologica − come possibilità di sperequazione fra esseri umani (fra chi ha e chi non ha la tecnologia), invece di un avanzamento per tutti, che normalmente avviene in una fase successiva. L’esempio più recente è l’energia nucleare, che nasce come arma e solo successivamente diventa anche energia per impieghi pacifici (in Corea del Nord la pensano diversamente). Fin dalla scoperta del fuoco e dallo sviluppo del ferro, gruppi di umani hanno iniziato il gioco del potere basato sulla differenza fra potenza tecnologica. Nel passato la questione era: io ho la selce tagliente, tu no, chi si prende la caverna vista mare? Dopo molti secoli, in fondo non è cambiato molto.

Precisione sull’atomo

Non vorrei mandarvi in vacanza col magone geopolitico, chiudo quindi con due note di ottimismo:

  • L’A.I., nella sua intersezione col mondo degli atomi, da qualche parte avrà sempre bisogno di un braccio meccanico che si conceda giusto un milli-nano-mini-micron di errore ogni mille-milioni di movimenti. Su questo particolare (letteralmente…), l’Italia può ancora dire la sua. Rispetto ai maghi tedeschi, coreani e giapponesi, l’Italia non solo ha una tradizione di automazione industriale altrettanto avanzata, ma ha alle spalle anche un esercizio di precisione non solo tecnologica che risale almeno fino allo scalpello michelangiolesco. Della storia non si butta via nulla.
  • Questa volta ci sono forse delle novità sul ciclo tecnologico. L’Artificial Intelligence non sembra una tecnologia come l’accensione del fuoco, la produzione del ferro, la macchina al vapore. Non c’è un contenitore di A.I. né un controllo pienamente umano. Nessuno può catturare e controllare l’A.I. per intero, perché è sistemica e autonoma. Si tratta di un fenomeno globale, che prima o poi trascenderà gli angusti confini nazionali. Anche Paesi non allineati e aggiornati tecnologicamente possono in qualche modo partecipare al suo sviluppo.

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Stefano Pace
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