Service Designer

Roberta Tassi
Professioni Digitali
6 min readApr 26, 2020

Un progettista alle prese con sistemi complessi - futurespective

Il periodo di quarantena mi ricorda l’inverno dell’anno scorso e le lunghe giornate seduta a questa stessa scrivania, mentre lavoravo agli ultimi capitoli del mio libro. #ServiceDesigner è stato pubblicato nella primavera del 2019, proprio in questi giorni, ed è uno dei progetti di cui vado più fiera del mio percorso professionale. Non tanto per aver realizzato la difficile impresa di scrivere un libro, quanto per la possibilità che mi ha dato di portare a compimento una serie di ragionamenti, e metterli nelle mani del lettore.

Service Designer. Il progettista alle prese con sistemi complessi (https://www.francoangeli.it/Ricerca/scheda_libro.aspx?Id=25177)

Il libro racconta la professione del service designer: chi sono questi progettisti sempre più richiesti all’interno di organizzazioni pubbliche e private, come possono essere d’aiuto e cosa aspettarsi. La riflessione prende forma in modo estremamente pragmatico, partendo da una serie di esperienze e casi concreti, raccontati attraverso il dialogo con diversi esperti. Ne deriva un percorso attraverso le competenze, sia di tipo tecnico e metodologico (es. saper analizzare comportamenti ed esperienze-utente, descrivere nuovi scenari d’interazione, mappare processi e requisiti), sia di tipo relazionale e manageriale (es. la capacità di ragionare in modo sistemico, ascoltare e capire stakeholder con esigenze diverse e coinvolgerli in percorsi di collaborazione continua).

È proprio nel raccontare le competenze del service designer che sono emerse una serie di riflessioni sull’identità e responsabilità di questi progettisti.

La crescita esponenziale degli ultimi secoli ci sta portando verso il rapido esaurimento delle risorse disponibili e la rottura degli equilibri ecologici, sollevando un’urgente necessità di ripensare interi ecosistemi e servizi in ottica di equilibrio e sostenibilità. Inoltre gli avanzamenti tecnologici (intelligenze artificiali, oggetti connessi, biotecnologie, ecc.) aprono grandi possibilità in termini di creazione di nuovi servizi o miglioramento di servizi esistenti. Per utilizzarli al meglio è però necessario conoscere in profondità l’impatto che possono avere sulle capacità cognitive e relazionali dei singoli individui e sullo sviluppo della società stessa. Il service designer è quindi chiamato a una sempre maggiore consapevolezza, basata sulla comprensione dei comportamenti umani (e non) e delle dinamiche che caratterizzano i sistemi nella loro interezza, con l’obiettivo di contribuire allo sviluppo di nuovi modelli di servizio e di business.

Queste considerazioni appaiono ancora più attuali nella situazione di emergenza e preoccupazione che coinvolge l’umanità in questo momento. Ci siamo trovati di fronte alla necessità di modificare molti ambiti della nostra vita con evidenti conseguenze sui servizi pubblici e privati. Inizialmente abbiamo dovuto agire di fretta, ma ora abbiamo la possibilità di costruire soluzioni adatte alla nuova situazione e create per restare. Possiamo cambiare molte cose! Ecco tre utili riflessioni tratte dal libro, per non farci trovare impreparati.

2015, con Craig Cisero durante il progetto Fire Club, un tentativo di ripensare il sistema di prevenzione e intervento durante gli incendi negli insediamenti informali: https://anthrosource.onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.1111/1559-8918.2016.01090

1. Non tutti i service designer sono uguali

Direste mai che uno chef vale l’altro? O che registi con background e stili diversi riescano a realizzare due film identici? Lo stesso vale per i designer di servizi: non sono tutti uguali. Nonostante il service design sia spesso raccontato come una disciplina dotata di una sua oggettività, legata alla capacità del progettista di applicare la metodologia e far funzionare i processi, ogni service designer ha una sua impronta distintiva, etica ed estetica (proprio come avviene nell’ambito del prodotto o della moda). Se siete alla ricerca di un service designer, chiedetevi quali sono i tratti distintivi, valori e principi che più si addicono al vostro quesito progettuale.

In secondo luogo è utile sapere che si distinguono service designer/ricercatori (molto preparati sulle attività di ricerca qualitativa e quantitativa, sulla traduzione di dati in insight e sui requisiti progettuali), service designer/ strategist (con competenze in ambito di business e gestione di un prodotto/azienda) e service designer/UX designer (che sanno progettare nel dettaglio i touchpoints digitali di servizio). L’elemento comune è la capacità di rendere la propria visione tangibile. Se c’è un motivo per cui “abbiamo finalmente trovato un posto al tavolo” e possiamo influenzare scelte strategiche ai vertici organizzativi, è proprio la nostra capacità di dare forma e concretezza alle idee, seppur complesse, e costruire spazi di relazione e co-creazione che permettono a diversi soggetti di confrontarsi e contribuire in modo costruttivo alla definizione del servizio.

2019, la filosofa Maura Gancitano durante il suo talk al Word Usability Day di Roma invita i progettisti a uscire dalla propria caverna e progettare un futuro duraturo, che valga la pena di essere vissuto da tutti, nessuno escluso: https://www.wudrome.it/speaker/maura-gancitano/

2. L’importanza di un atteggiamento critico

La soluzione progettuale che nasce dalle esigenze di tutti i soggetti coinvolti non necessariamente porta un miglioramento a lungo-termine nella vita di quelle stesse persone, o dell’ambiente e della società. Sviluppare un atteggiamento critico è un passaggio obbligato. Se un progettista non ha un obiettivo, una filosofia, è un po’ come se agisse in modo parziale: può mettere a fuoco i problemi e bisogni delle persone per cui sta progettando, o conoscere profondamente gli obiettivi di business dell’azienda per cui lavora, ma non sa dove sta andando.

Durante un incontro di presentazione del libro, un commento che ricordo è il seguente: “quello che racconti è bellissimo, ma la realtà è un’altra ed è fatta di vincoli, problemi tecnici, requisiti e tempi da rispettare”. Non possiamo negare le difficoltà che spesso caratterizzano i nostri progetti e gli ambienti in cui prendono vita ma dobbiamo riconoscere che il come le affrontiamo fa una differenza enorme e nel nostro piccolo ognuno di noi ha un ruolo e una responsabilità in quel come. Anche nelle difficoltà, non dobbiamo perdere di vista la nostra motivazione e integrità, spaziando dall’inventare possibilità di confronto, apertura e coinvolgimento delle persone anche quando i tempi non lo permettono, fino all’ostacolare con forza, boicottare o circoscrivere comportamenti e decisioni in cui non ci riconosciamo.

2018, con Yulya Besplemennova mentre discutiamo di teorie di System Thinking e prepariamo un workshop sul futuro delle metodologie di Service Design: http://www.systemthinking.it/

3. Una professione in continua evoluzione

Ci sono diverse direzioni in cui la professione del service designer si può sviluppare. Ne ho discusso nel libro con Marzia Aricò, una bravissima designer e ricercatrice da anni impegnata nello studio di Livework.

Ci sarà sempre di più necessità di designer esperti di organizzazioni, in grado di influenzare e progettare il modo stesso in cui intere organizzazioni operano per erogare un determinato servizio. Questo organizational designer dovrà conoscere aspetti di business management e avere una buona capacità di analisi di dati. Dovrà inoltre saper guidare vari gruppi all’interno dell’azienda, agendo da facilitatore di processi e traduttore delle necessità di stakeholder con diversi background e astrazioni. Mi piace definire questa figura un change-maker, perchè per portare cambiamenti di tale portata all’interno delle strutture organizzative bisogna avere grande tenacia e persistenza, fino al raggiungimento del risultato.

Allo stesso tempo ci sarà anche bisogno di designer esperti di comportamenti, in grado di capire l’impatto delle tecnologie emergenti e di progettare soluzioni che le valorizzano all’interno di un progetto positivo di società e umanità. Questo behavioural designer dovrà avere competenze di sociologia, psicologia cognitiva e scienze comportamentali. Dovrà inoltre saper immaginare storie e scenari legati allo sviluppo di determinati servizi e sistemi nel tempo, e utilizzare la propria capacità di visione e racconto per sollevare riflessioni, critiche e ispirazioni progettuali. Quando penso a questo tipo di progettista penso a un future-maker, in grado di influenzare la progettazione di innovazioni che prenderanno vita tra due, cinque, dieci anni.

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Il libro si chiude infine con dieci consigli contenuti nell’unico capitolo non guidato da riferimenti bibliografici o da pareri di esperti. È soprattutto lì che si nasconde il mio vissuto, incluse le profonde motivazioni e le inevitabili frustrazioni di una progettista alle prese da anni con i sistemi complessi.

Potreste approfittare di queste giornate per leggere #ServiceDesigner, se non l’avete già fatto, con l’augurio che possa contribuire a prepararci a ciò che succederà quando ricominceremo a uscire di casa e a ridefinire il mondo con nuove idee.

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