«E ’l nort paga»

Matteo Bordone
Freddy Nietzsche
Published in
2 min readFeb 9, 2017

Ho vissuto a Varese dalla nascita fino ai trent’anni abbondanti. È per quello che riconosco istantaneamente le cretinate dei leghisti. Perché li ho ho letteralmente visti crescere, crescendo io stesso. Al comizio minuscolo in piazza del Garibaldino descritto in quella cosa da un’idea di Accorsi, io c’ero. C’ero perché il sabato pomeriggio andavo a fare le vasche in corso Matteotti, e sono passato di lì. Avevo anche il compagno delle medie leghista. Uno. Christian. Chissà dove è finito.

Conosco la loro lingua, il loro orizzonte culturale, esistenziale e ideale. Poi in macchina la radio di parola mi fa uscire di testa, e in Italia sono poche. Per cui non so quante ore di Radio Padania ho sentito in vita mia.

Ieri mi è venuto in mente un proverbio leghista barocco, che suona volgare e mostruoso come se l’avesse concepito uno che si chiama Erminio, ma poi se lo interpreti ti rendi conto che è talmente involuto che non lo penserebbero mai. Nella sostanza non vuole dire niente. Ma sentite come suona ignorante.

Vado. Lo sparo.

«L’è mei dì culatùn a ’na dona che terùn a un negher!»

Ovviamente va detto a voce un po’ alta e perentoria. Meglio se si ha un filo di bavetta bianca sulle labbra. Un parallelismo assurdo, una lingua brusca, un po’ di bavetta, e la gente affila i forconi.

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