Anthem Next è morto, lunga vita ad Anthem Next

La caduta dei game as a service.

Fabrizio "Bix" Salis
Frequenza Critica
8 min readMar 12, 2021

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screenshot di Anthem

Prima o poi le cose belle finiscono. E anche quelle brutte. Con la sorpresa di praticamente nessuno, EA ha deciso di chiudere definitivamente il progetto Anthem, ridistribuendo le (poche) risorse investite per tentare di salvarlo in altre produzioni dal futuro potenzialmente più florido. L’annuncio della cancellazione di Anthem Next è però solo uno dei numerosi chiodi sulla bara dei game as a service di alto profilo. Godfall se lo sono per fortuna già dimenticato tutti, a Marvel’s Avengers non è andata molto meglio, mentre il prossimo Outriders — publisher e sviluppatore si rifiutano di chiamarlo gaas, ma sembra esattamente quello — difficilmente potrà risollevare le sorti di questo tipo di approccio, che è stato tipico della generazione appena conclusa quando lo sono stati i DLC di quella precedente.

Ciò non vuol dire che i gaas spariranno completamente, del resto ci sono produzioni che ancora possono vantare una forte fanbase, come Destiny e Warframe. Non scomodo neanche Fortnite e quel fenomeno chiamato GTA Online, il cui successo è tale da farlo giocare in un campionato a parte. Semplicemente i publisher più grossi cercheranno di fare buon viso a cattivo gioco e passare quatti quatti a forme di monetizzazione alternative, possibilmente da spacciare per consumer-friendly.

La rapida ascesa e la ancor più rapida caduta dei game as a service sono dovute solo a publisher avidi e senza scrupoli? O ci sono dei problemi strutturali più in profondità? E soprattutto, è possibile applicare il modello in maniera più sana? Cercherò di rispondere proprio a queste domande.

screenshot di Destiny 2

Partiamo dalle cose ovvie: sì, i publisher ci hanno marciato sopra. Dopo aver annusato la possibilità di fare grandi quantità di soldi con relativa facilità, si sono fiondati sui gaas come le api sul miele. Ne è uscita fuori una gara a chi arrivava prima, e il risultato finale non poteva che prevedere l’uscita di giochi sviluppati frettolosamente, con pochi contenuti e/o meccaniche appena abbozzate all’uscita. Messi da parte i precursori — la sacra trinità dei multiplayer Valve (Team Fortress, Counter Strike, DOTA) e League of Legends — , possiamo forse individuare il primo Destiny come punto di partenza di questa moda. Da quel momento i gaas tripla A avrebbero assunto quasi tutti delle caratteristiche comuni, sarebbero cioè stati dei looter shooter/brawler con una tenue componente MMO e microtransazioni di vario genere. Da quei punti fermi, una generazione di console dopo, ci siamo spostati ben poco.

Ma la scarsità di contenuti è stata solo conseguenza della fretta? Ovviamente no, molti gaas sono usciti deliberatamente monchi perché pensati fin dal principio come una mera impalcatura su cui costruire successivamente. Qualche malpensante potrebbe addirittura considerarli degli Early Access privi dell’onestà intellettuale di definirsi tali e di prezzi adeguati alla loro natura. In compenso le skin dedicate ai vari partner in stile Fortnite non sono mai mancate. Simili politiche hanno così tanto abituato i giocatori a produzioni incomplete da generare un sentimento di generale sfiducia, che ha finito per penalizzare pure giochi solidi dal punto di vista contenutistico, vedasi il caso di The Division 2.

screenshot di The Division 2

Questo tipo di problema ha poi un corollario: il grinding selvaggio. Quasi tutti i gaas cercano in ogni modo di allungare il brodo, costringendo il giocatore a dedicarsi a decine di compiti tediosi e ripetitivi solo per ottenere una ricompensa decente… a volte nemmeno quella. Del resto stilare una lista lunghissima di compiti(ni) è molto più semplice che introdurre nuove aree da esplorare o meccaniche di gameplay. Con Anthem si è probabilmente raggiunto il limite dell’assurdo, vista che all’uscita neppure la campagna principale si sottraeva da questo difetto, tanto che BioWare è dovuta subito correre ai ripari per correggere la “svista”. Apparentemente la polemica sulle Tombe dei Legionari non è servita a nulla, visto che da poco Crystal Dynamics ha parlato dell’intenzione di aumentare i punti esperienza necessari per salire di livello in Marvel’s Avengers, ufficialmente per garantire un migliore bilanciamento. In ambito endgame il grinding è tutto sommato accettabile, a patto che le meccaniche di gameplay si rivelino divertenti e le ricompense adeguate; il fatto che l’intera esperienza ne sia permeata è invece indice di sviluppo problematico o frettoloso.

Mettiamo che un gioco arrivi sugli scaffali in una forma abbastanza completa e venga aggiornato con costanza e in maniera sensata. In questo caso sorge una problematica che non deriva tanto dalla fase di sviluppo o marketing, ma da quella di consumo. Detto in parole povere: i giocatori — quanto meno quelli più hardcore — tendono a portare a termine tutto quello che il gaas ha da offrire in tempi molto ristretti. Mesi o anni di lavoro ridotti a pochi giorni di gioco intenso. Il fan consuma con un ritmo non sostenibile, a cui lo sviluppatore non può semplicemente stare dietro, e ne vuole sempre di più.

Il cliente è perennemente insoddisfatto e le software house cercano di correre dietro alle sue richieste, costringendo i loro dipendenti a lavorare decine e decine di ore ogni settimana, senza alcun riposo. Nel modello di sviluppo tradizionale il crunch time caratterizza in linea di massima solo i mesi precedenti all’uscita di un gioco — a patto ovviamente che lo sviluppo sia stato organizzato in maniera degna. Arrivata la fatidica data si tirano un po’ in remi in barca e il ritmo cala, si lavora sulle correzioni ed eventualmente su contenuti aggiuntivi destinati a uscire più avanti, espansioni o DLC che siano. Nel modello del gaas il crunch time è continuo, perché un gioco che non viene aggiornato in maniera costante è destinato a morire in tempi brevissimi. O quanto meno è quello che si vuole far credere. Ne risulta uno sfruttamento ancora più devastante dei lavoratori, con le conseguenze fisiche e psicologiche che tutti ben conosciamo. Insomma non sono solo i giocatori a essere danneggiati da questa formula, che finisce per rafforzare ulteriormente quella crunch culture che in ambito videoludico sembra purtroppo stia diventando dominante. Potete trovare un ulteriore approfondimento sulla questione qui.

skin Verizon di Marvel’s Avengers

Il grinding non serve solo a incrementare artificialmente la longevità, ma anche a sfiancare il giocatore e fargli spendere soldi per velocizzare l’avanzamento, per esempio tramite experience boost e loot più potente — ovviamente da trovare nelle odiatissime casse “a sorpresa”. È proprio questa forma di microtransazione che ha indisposto maggiormente il pubblico e, soprattutto, ha influenzato la struttura stessa di questi giochi. Vi siete mai chiesti il motivo della presenza di livelli e loot nei gaas di alto profilo? Non è solo una moda, ma anche un modo per rendere più “controllabile” l’esperienza, orientandola nel modo ritenuto più lucrativo. Questi stessi elementi abbiamo poi finito per ritrovarli in giochi che non sono propriamente dei gaas, come ad esempio gli ultimi Assassin’s Creed.

Ritornando un attimo sulla questione moda, è indubbia la presenza di parecchia ridondanza non nel gameplay, ma anche a livello stilistico. Quella ambientazione un po’ fantascientifica e un po’ fantasy (Destiny docet), spesso accompagnata da una trama a dir poco flebile e da una lore astrusa, l’abbiamo vista davvero troppe volte e con minime variazioni. Ci ritroviamo così nella strana situazione di dover considerare The Division originale, nonostante la sua natura pseudo-realistica tenda a limitarlo a livello di armi e situazioni. La genericità è la conseguenza di uno sviluppo focalizzato molto sulla monetizzazione e poco sulla realizzazione di un buon gioco. Di Anthem gli stessi sviluppatori sapevano fin da subito che sarebbe dovuto essere un gaas, ma ci hanno messo molto più tempo a capire cosa dovevano effettivamente realizzare. Cosa sarebbe mai potuto andare male?

artwork di Warframe

Sembra impossibile, ma in realtà ci sono dei modi di portare avanti un gaas in maniera sostenibile. Il primo è abbastanza scontato: renderlo free to play. È il modello per esempio di Warframe e del recente successo Genshin Impact (ma sui gatcha ci sarebbe probabilmente da fare un discorso a parte). Lo stesso Destiny 2 si è avvicinato parzialmente a questa modalità di fruizione, mentre un prodotto come Red Dead Online, pur non essendo gratis, è stato di recente offerto a un prezzo molto ribassato. Molti dei problemi sopra elencati assumono un’importanza meno rilevante quando la produzione viene offerta gratuitamente, col giocatore che si approccia con molte meno aspettative e comprende maggiormente forme di monetizzazione più aggressive; sempre entro certi limiti, sia chiaro.

L’altra possibilità è decisamente più affascinante. C’è effettivamente un modo per rendere la sopravvivenza dei gaas meno dipendente dai continui aggiornamenti, ed è fare in modo che siano i giocatori stessi a creare le loro storie. Avete mai sentito parlare di narrativa emergente? È un po’ quello che ha cercato di fare, pur con qualche difficoltà, Sea of Thieves ed è quello che fanno molti giochi sandbox. Sta ovviamente allo sviluppatore offrire un’impalcatura solida ma allo stesso tempo flessibile, però poi la palla passa ai giocatori. Non è un’idea semplice da applicare, perché in molti tendono ad approcciarsi ai giochi in maniera superficiale, con la convinzione di avere la pappa pronta. La stessa produzione Microsoft è stata non a torto oggetto di polemiche all’uscita perché mancavano i contenuti, ma poi Rare ha saputo rilanciarla senza rinnegarne i principi. Le ottime vendite su Steam, nonostante il gioco fosse già uscito da diverso tempo e fosse disponibile nel Game Pass per quattro soldi, mostrano che questa strategia può funzionare.

artwork di Sea of Thieves

L’idea di un videogioco capace di rimanere sulla cresta dell’onda per anni è a livello teorico vantaggiosa tanto per il produttore (minori costi, entrate nel lungo periodo) quanto per il consumatore. È stata però applicata talmente male da essere stata quasi completamente bruciata presso il grande pubblico. Per questo difficilmente in futuro si assisterà a una sua applicazione così su larga scala, come tra l’altro dimostra la volontà di EA di trasformare il prossimo Dragon Age in un gioco esclusivamente in singolo — decisione che comunque lascia parecchi dubbio sullo stato dello sviluppo del nuovo gioco di ruolo di BioWare, presentato ormai diversi anni or sono e apparentemente ancora in alto mare.

Nonostante questo, i gaas di successo di oggi andranno probabilmente avanti per anni, ma quando moriranno saranno le ultime vestigia di un momento storico ormai lontano. Oppure qualcuno riuscirà portare qualche reale innovazione e assisteremo a una nuova rinascita in termini diversi. O, ancora, uscirà il nuovo GTA Online e tutti gli andranno dietro alla velocità della luce.

A prescindere da come andrà, la speranza mia e di tanti altri è quella di non assistere più a un dramma come quello di Anthem. Alla fine non è così difficile fare meglio di così.

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