Black Myth: Wukong, le radici e la forza della leggenda

Perché non riusciamo a smettere di raccontare certe storie?

Diego “Syd” Cinelli
Frequenza Critica
7 min readOct 5, 2020

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Un monaco scimmia a occhi chiusi.

Qualche giorno fa ho finalmente visto il primo trailer di gameplay di Black Myth: Wukong. No, non mi sono svegliato solo ora dopo aver finito di dormire per quasi tutto settembre (e no, non ero in compagnia dei Green Day). È solo successo che qualcuno, qui su Frequenza Critica, mi abbia chiesto di guardare il — lungo — filmato e tirare giù due righe, ma di prendermi tutto il tempo necessario per farlo. Va da sé che la prima cosa che ho fatto non è stata guardare il video in questione; mi sono concesso un po’ di tempo per leggere alcuni frammenti de Il viaggio in Occidente (l’opera dalla quale il videogioco trae ambientazione e, in parte, personaggi) e ridere delle malefatte di Scimmiotto, prima di premere “play”.

Mi ha fatto pensare. Succede (dovrebbe succedere?), con questo genere di storie, perché ne facciamo uso tutti i giorni. Non solo perché le raccontiamo a figli, nipoti, amici — lettori. Utilizziamo storie nella nostra comunicazione con una frequenza tale che non ce ne rendiamo neanche più conto: dietro a ogni metafora e dietro ai nostri modi di dire ci sono, per esempio, delle storie che fanno parte della nostra cultura, che parlante e ascoltatore capiscono perché condividono le stesse radici. Se io vi dico “vita da cani”, nella vostra testa si potrebbe aprire la traduzione “vitaccia, da randagio, esistenza aspra”, tanto quanto “star senza far nulla, in panciolle, con la pappa pronta”. Dipende dalla vostra storia, di dove vivete e delle persone che vi circondano; sono immagini che hanno abbastanza forza da diventare pensiero comune per una comunità. E se sono invece tanto forti da essere pressoché universali, allora diventano miti — e Il viaggio in Occidente è uno di questi.

L’esempio, il monito e l’archetipo

Il mito ha molti scopi, e noi occidentali lo sappiamo bene. L’epica, con i suoi eroi in grado di rovesciare nazioni, vincere guerre e sopravvivere a odissee, nasce per ispirare gli individui suscitando nei lettori/spettatori una profonda ammirazione; la tragedia invece disegna moniti minacciosi e vuole che quegli stessi spettatori, che osservano i personaggi mentre discendono nel gorgo della rovina, si sentano sollevati per essere scampati a quel destino infame — e che cerchino, di lì in poi, di evitarlo in tutti i modi.

Il viaggio in Occidente, opera vasta (100 capitoli per oltre 1500 pagine, a seconda dell’adattamento che vi capita in mano) dello scrittore Wú Chéng’ēn, pubblicata per la prima volta nel 1590, adempie a entrambe le funzioni. Il monaco Sanzang (o Tripitaka, “tre ceste”), con la sua missione sacra che lo spinge a ovest, è un fulgido esempio per il lettore, mentre i suoi comprimari vengono trascinati in disavventure mirabolanti a causa del loro comportamento non sempre impeccabile. Uno di questi, in particolare, è diventato uno dei personaggi più famosi della letteratura cinese (e non solo): lo stesso Sun Wukong a cui fa riferimento il titolo del videogioco Black Myth. Ma perché?

Un attore con la maschera di Arlecchino.
Il giocoso, dispettoso, ora ingenuo, ora furbo Arlecchino.

Scimmiotto, nella disciplina “consapevole del vuoto” (questa la resa italiana del nome), incarna un archetipo molto fortunato. Wukong è una maschera da primate, che in Cina incarna, non a caso, gli istinti più primitivi; Wukong è un Arlecchino meno giocherellone e più violento. Nella nostra commedia dell’arte si troverebbe nella schiera dei servi, a elaborare piani improbabili per soddisfare le richieste del suo padrone o per soddisfare sé stesso. E Scimmiotto, come il nostro servitore di due padroni, è il vero motore dell’azione di questo lunghissimo viaggio verso l’occidente — non è un caso, infatti, se i primi sei capitoli del libro sono interamente dedicati alla presentazione di questo bizzarro re delle scimmie.

Un viaggio senza tempo

Basta dare un’occhiata alla pagina Wikipedia dedicata alle trasposizioni de Il viaggio in Occidente per avere un’idea della popolarità dell’opera e, in modo particolare, del personaggio di Sun Wukong. Questa storia è stata raccontata più e più volte sul palcoscenico come sul grande schermo, in cui potreste essere incappati nel corso delle MTV anime night con Saiyūki — La leggenda del demone dell’illusione, oppure in quella specie di “figlio d’arte” che era Son Goku (e infatti Son Gokū è il nome con cui è conosciuto Scimmiotto in Giappone), protagonista di Dragon Ball.

Un ragazzo armato di bastone, in posa da combattimento.
Son Goku è uno dei più noti “tributi” a Sun Wukong.

È altrettanto chiaro che gli sviluppatori di videogiochi (non solo cinesi) sono stati, nel corso degli anni, tutt’altro che immuni al fascino del Re Scimmia, del monaco “Tre Ceste” e delle loro avventure. A partire da SonSon (1984, Capcom), sono state svariate le opere videoludiche ispirate al romanzo di Wú Chéng’ēn: si va dalle trasposizioni più dirette, come Yūyūki (1989, NES) o Legend of Wukong (1996, Megadrive) agli omaggi più disparati, dai Pokémon (gioco di cui, qui a Frequenza Critica, qualcuno ha già parlato, sempre a proposito di influenze) fino ad arrivare a Warframe, passando per League of Legends e Dota 2.

Lungo la scia di un mito

Black Myth: Wukong sembra lavorare, come altri, sul lascito del mito e non sul mito stesso. Quello che la demo ci ha mostrato sembra a tutti gli effetti un post scriptum — o un seguito — del viaggio in occidente. Il protagonista non sembra infatti essere Sun Wukong, ma un suo simile: il bastone che brandisce non è nero e ornato d’oro come quello che il Re Drago del mare orientale donò al Re Scimmia, né le vesti sono scintillanti come quelle che i fratelli del serpente leggendario, Aoqin del Mare Meridionale, Aoshun del Mare Settentrionale e Aojun del Mare Occidentale avevano usato, come doni, per calmare Scimmiotto.

Ben più aderente alla descrizione di “Consapevole del Vuoto” è la scimmia che si palesa verso la fine del filmato che, oltre ad accessori più simili a quelli di cui sopra, ha gli occhi scintillanti. Questo perenne arrossamento, da tradizione, la scimmia lo guadagnò quando gli Dei, nel tentativo di sbarazzarsi di lui per sempre, lo rinchiusero dentro il forno ardente nel quale venivano preparati gli elisir di lunga vita. Come spesso accade nei primi capitoli del libro, questa soluzione si rivela inefficace e Sun Wukong, in tutta risposta, va su tutte le furie e prende a bastonate qualunque cosa gli capiti a tiro.

Un monaco scimmia affronta un mostro colossale.
Una delle immagini catturate di Black Myth: Wukong.

Ciò che accomuna le due scimmie sono le capacità: entrambe sono in grado di cambiare forma a piacimento, sanno come scatenare contro i nemici un’orda di cloni sanguinari, sono abili combattenti con il bastone e nascondono le armi rimpicciolite dietro l’orecchio. Non sappiamo se la scimmia dalle vesti blu sarà in grado, come l’altra, di cavalcare le nuvole, ma stando a quanto visto non è da escludere.

Per quanto riguarda l’ambientazione, nel trailer si fa riferimento al monastero dedicato a Guanyin, ai piedi del monte del Vento Nero, di cui si parla nei capitoli 16 e 17 de Il viaggio in Occidente. Di questo luogo si dice, nel testo:

File e file di padiglioni,
Gallerie in ogni direzione,
Un baldacchino colorato
Sopra l’ingresso della Sala
Delle Cinque Felicità.
Si allineano pini e bambù,
Profuma il bosco di ginepri.
Pini e bambù allineati:
Pura bellezza senza età.
Bosco fragrante di ginepri:
Aspetto e modi civettuoli.
Vedi la torre del tamburo,
Come s’innalza la pagoda!
I monaci van meditando,
Intorno cantano gli uccelli.
Non v’è quiete senza purezza,
Né il vuoto giunge ad efficacia
Senza la Via.
[…]
Un luogo verde e vasto
Come il gran Jetavana.
Nei più bei posticini
Trovi annidati i monaci!

E si fa riferimento anche all’incendio che lo distrusse — scatenato dagli avidi monaci e ritorto contro di loro dallo stesso Wukong:

Da colonne di fumo scaturiscono fiamme,
Rossi bagliori contro il cielo senza stelle.
Son serpenti dorati, poi cavalli di sangue.
I tre venti del sud vanno soffiando a gara.
Il grande dio del Fuoco mostra la sua potenza.
Quando le fiamme giungono alle porte oleate
Si sprigiona il calore più che nel forno alchemico.
Si diffonde l’incendio doloso con violenza:
Il crimine è aiutato, invece di impedirlo.
Il fuoco è secondato dalla forza del vento:
Fiamme salgono al cielo per più di mille tese,
Le ceneri ricadono di là dall’orizzonte.
Si odono scoppi come petardi a capodanno
E rimbombi che sembrano dei colpi di cannone.
Alle fiamme non sfuggono le immagini del Buddha
Né degli dèi guardiani. È un incendio peggiore
Che del Palazzo Epang o della Rupe Rossa!

Questo permette di avere una vaga indicazione temporale sui fatti raccontati in Black Myth: Wukong. Sopra le ceneri di questo tempio ne è stato infatti costruito un altro, ma la gente ha di nuovo perso la fede (almeno stando a quanto dice il vecchio spirito che aleggia ancora nella fu sacra struttura). Non è chiara l’identità del protagonista, né perché lo stesso Sun Wukong (ammesso e non concesso che la seconda scimmia sia davvero lui!) si scomodi di nuovo per faccende terrene — lui che aveva finalmente raggiunto pace (?) e santità, al termine del lungo viaggio verso ovest. Il videogioco è ancora ben lontano dall’uscita, ma se davvero avremo l’opportunità di ripercorrere (anni, decenni o secoli più tardi) le stesse tappe del monaco Tripitaka, ne vedremo di tutti i colori — e queste immagini non faranno che rafforzare ancora di più il mito del viaggio in occidente, ancorandolo sempre più a fondo nel pozzo delle storie che definiscono la nostra cultura.

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Diego “Syd” Cinelli
Frequenza Critica

Chiacchieratore seriale, passa buona parte del suo tempo a parlare ad altri della sua passione per i videogiochi.