Control: Living in the Ashtray Maze

Sam Lake e Remedy ci invitano nella Oldest House.

Lorenzo “Dyni” Sarno
Frequenza Critica
9 min readSep 6, 2019

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Una delle mie aree preferite di Control, l’ultima fatica di Remedy, è l’Oceanview Motel. Questo hotel apparentemente abbandonato funge da collegamento tra alcune aree della Oldest House, accessibile solo tirando le cordicelle di alcune luci posizionate in punti incomprensibili. L’hotel viene descritto, sia dalla nostra protagonista che dal vecchio Direttore del Federal Bureau of Control, come un incrocio di tutti i motel visitati durante la loro vita. Apparentemente innocuo, con una dozzina di stanze e un ingresso ordinario e ben illuminato, basta poco per rendersi conto dell’evidente soprannaturalità del posto: il campanello della reception apre le porte dell’ala sinistra, mentre quelle dell’area destra sono marcate da simboli perlopiù indecifrabili.

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Nelle camere aperte dalla campana si trova un arredamento, ancora una volta, semplice e prevedibile, ripetuto in maniera identica in tutte e tre le stanze… ma con differenze, a volte leggere e a volte no, che marcano la soluzione per uscire dal motel. In una delle prime visite gli oggetti sono in posizioni leggermente diverse in ogni camera, mentre in un’altra le stanze sono ruotate in direzioni casuali. A prescindere da cosa riserva ogni porta, risolvere l’enigma nascosto all’interno porta sempre allo stesso esito: una chiave, attaccata a un ciondolo raffigurante una piramide nera a testa in giù.
Ha senso? No, in senso assoluto probabilmente no. Ma ha una sua coerenza interna, comprensibile una volta entrati nel meccanismo, e che spinge a cercare di comprendere l’incomprensibile. Cos’è l’Oceanview Motel? Perché nonostante sembri chiuso al pubblico si può sentire una persona che viene torturata da una delle porte non accessibili? Perché solo la porta con la piramide è accessibile?
Perché?

Questa domanda chiave, la cui risposta sembra sempre a portata di mano ma continua a sfuggire, è una delle colonne portanti di Control. L’infinita creatività della Oldest House cattura dall’inizio alla fine, e fa da collante a un TPS di incredibile competenza sopperendo contemporaneamente alle falle del nuovo gioco di Remedy.

Ma facciamo un passo indietro per cercare di comprendere Control dal punto di vista più… comprensibile, prima di addentrarci nei suoi misteri.

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Nel nuovo gioco di Lake e soci vestiremo i panni di Jesse Faden, giovane donna entrata in contatto con il mondo del soprannaturale da piccola, poco prima di vedere suo fratello rapito da degli uomini sconosciuti. Un’entità non meglio identificata, che Jesse chiama Polaris, la guida dopo molti anni fino a un edificio presentato come il Federal Bureau of Control, ma chiamato “The Oldest House” dai suoi abitanti. Con l’intenzione di chiedere dove fosse suo fratello, Faden raggiunge la stanza del Direttore del Bureau, solo per trovarlo morto — una strana pistola si trova affianco al corpo. Una volta impugnata, scopre che la pistola è molto di più di quello che sembra, permettendole di accedere a una realtà alternativa chiamata il Piano Astrale. Qui una grossa piramide nera a testa in giù, che si presenta come The Board, elegge la donna a nuova Direttrice del Bureau per affrontare una minaccia non meglio identificata, a cui viene dato frettolosamente il nome di “The Hiss”, che sta prendendo il controllo delle persone del Bureau e attaccando i pochi che possono proteggersi (per motivi di storia che non spiegherò).

Confusi? Probabilmente voluto, visto il ritmo narrativo frenetico che non dà tempo neppure a Jesse per comprendere appieno la situazione. Molto più diretto l’approccio al gameplay, che prende la forma di uno sparatutto in terza persona con combinazioni di armi da fuoco e poteri paranormali come telecinesi e controllo mentale. Faden dovrà, con il supporto del personale del Bureau, esplorare la Oldest House alla ricerca di suo fratello ed eliminare la minaccia dell’Hiss allo stesso tempo.

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Qui la prima novità chiave per Remedy: nonostante i giochi lineari siano sempre stati il loro forte, la mappa di Control ha una certa libertà di esplorazione e diverso backtracking, rendendola vagamente simile a quello che ci si potrebbe aspettare da un metroidvania. Nonostante questo, la struttura della trama ha comunque l’impronta fortemente lineare e story-driven a cui ci ha abituato il team di Max Payne. Il vantaggio di questo nuovo approccio al level design è, piuttosto, la possibilità di inserire un numero decente di subquest che allungano la durata di un paio d’ore, portando la longevità leggermente oltre le dieci ore. Ad aggiungersi a questo ci sono alcuni elementi leggeri da gioco di ruolo, come uno skill tree e dei potenziamenti equipaggiabili sul personaggio e sulle armi (che sono tutte varianti dell’arma trovata all’inizio del gioco, ognuna con le funzioni che ci aspettiamo da un gioco del genere — pistola, mitra, shotgun, lanciamissili etc.), seppure l’impatto di questi elementi non sia particolarmente elevato nell’economia del gioco. Control alterna sparatorie e sezioni più esplorative con ritmo esperto, senza tempi morti e con molti documenti da leggere per approfondire sull’universo della Old House (ci torno più sotto).

Chiarito quali siano le sue meccaniche di base, per poter parlare approfonditamente di Control è importante analizzare i singoli elementi prima di poter connettere tutto insieme con il collante citato in apertura.

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Il primo di questi elementi è il combattimento, che è allo stesso tempo uno dei più riusciti di Remedy e uno degli elementi più problematici del gioco. Jesse si controlla in maniera marcatamente “vecchia scuola”, senza sistemi di copertura o limiti di poteri equipaggiabili (anche se si possono equipaggiare solo due armi alla volta è possibile cambiarle in qualsiasi momento dal menu dell’equipaggiamento), chiarendo immediatamente che un punto focale del gioco è il movimento. Stare fermi non è una strategia ideale, soprattutto quando Faden è assolutamente capace di difendersi in movimento, grazie a poteri come la schivata e lo scudo, che funzionano anche a mezz’aria. Il potere caratteristico del gioco, la levitazione, rende particolarmente chiaro questo concetto: muoversi è fondamentale, e ancora più importante è bilanciare bene armi da fuoco e poteri, in quanto la riserva di entrambi è limitata prima di entrare in fase di cooldown.

I nemici hanno una discreta varietà, dai classici nemici armati di mitra a uomini volanti che lanciano massi, cadaveri kamikaze e qualcosa che posso descrivere solo come “un reietto di Silent Hill che striscia alle spalle di Jesse cercando di ucciderla istantaneamente con un urlo supersonico”. Sta al giocatore cercare di mantenere spazio, combinando i poteri (che sono leggermente deludenti in quanto a creatività — perfettamente funzionali, ma niente a che vedere con gli usi particolari di quelli di Quantum Break) e le armi per mantenere il controllo sulla situazione.
E, quando funziona, il combattimento è assolutamente esaltante. Volare in giro, evitando massi e missili, e afferrare un cadavere esplosivo prima della detonazione per rilanciarlo contro il boss che si difende dietro uno scudo, mentre il bestione con la torretta aiuta ad eliminare gli altri ostili sotto controllo mentale — il gioco fluisce estremamente bene, con animazioni spettacolari, ambienti altamente distruttibili e un ritmo che spinge il giocatore istintivamente alla prossima azione in un misto di adrenalina e frenetiche decisioni strategiche.

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Sfortunatamente, non funziona sempre appieno.
Il problema più rilevante del sistema di combattimento di Control è che richiede spazio, e il level design della Oldest House non è sempre disposto ad accomodare la cosa, nascondendo molti scontri minori in stanze piccoline che si riducono a litigare con gli spazi mentre si cerca di eliminare i pochi nemici il più rapidamente possibile. Restano scontri competenti, grazie a un gunplay di buona fattura e alla varietà di poteri a disposizione, ma questi combattimenti sono limitati dalla loro natura, come evidenziato dal fatto che molti dei nemici più interessanti saltano fuori solo negli scontri più grandi. Queste battaglie mostrano un potenziale che il gioco non sempre riesce a mantenere, lasciando il giocatore deluso dopo diverse sparatorie nonostante restino perfettamente valide. Menzione necessaria anche per l’assenza di checkpoint prima degli scontri, forzando il giocatore a ripartire dai punti di fast travel in caso di morte, portando ad alcuni scenari frustranti.

Sorprendentemente semplice anche la storia di Jesse, che si sviluppa senza particolari colpi di scena esclusa la sequenza finale. Questo non inficia la caratterizzazione del personaggio, che è dipinta (come il resto del cast) con il classico tocco di Sam Lake, con quell’accenno di “strano” che ci ha fatto amare Max Payne. Insieme a lei altri personaggi portano la storia in vita, come il vecchio Direttore, Trench (doppiato da Payne, giusto per restare in tema), un uomo invaso dalla paranoia che si ritira spesso in discussioni private con il capo di ricerca, Casper Darling (doppiato da Alan Wake), scienziato leggermente eccentrico con l’aria di essere l’unico a capire appieno la situazione. Seppure ci siano anche altri personaggi, questo trio costituisce il grosso della narrazione, relegando agli altri soltanto ruoli di supporto come quello del capo della sicurezza, Marshall, che appare un paio di volte prima di sparire senza fare davvero nulla di rilevante. Due grosse eccezioni: Ahti, curioso bidello incomprensibile che sa palesemente molto più di quanto dà a vedere, e il fratello di Jesse, su cui non dirò nulla per non rovinare la storia.

Analizzati gli elementi singoli possiamo finalmente parlare del collante, la vera essenza di Control e il motivo per cui vale molto di più dello sparatutto medio: la Oldest House.

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Il Federal Bureau of Control si occupa dello studio del paranormale, che in questo universo si manifesta spesso attraverso oggetti tipici e normalmente innocui. L’edificio in sé mostra elementi sovrannaturali, possedendo la capacità di mutare forma (sfortunatamente mai pienamente esplorata al di fuori del cambiare la forma delle stanze), ma il suo scopo principale è quello di raccogliere, catalogare e studiare tutti gli oggetti con poteri inspiegabili trovati o avvistati in giro per il mondo. Alcuni di questi saranno indispensabili al proseguimento, in quanto permetteranno a Jesse di ottenere nuovi poteri da sfruttare durante il gioco, mentre altri sono puramente dedicati a costruire il mondo della Oldest House.

Questa premessa è la chiave di volta che permette a Sam Lake e al suo team di scrittori di rendere Control il gioco più “strano” di Remedy, superando Alan Wake di netto. L’esplorazione di Jesse viene arricchita in continuazione da eventi assurdi come una paperella di gomma che si teletrasporta, una televisione che sta distruggendo tutto quello che trova sulla sua strada, un semaforo che impedisce di muoversi quando la luce è rossa, uno specchio che crea una riproduzione speculare ed esplorabile della stanza in cui si trova (con alcune sorprese) — non c’è davvero limite a quello che si può trovare nella Oldest House, e questo permette al prodotto di avere un livello di varietà di situazioni elevatissimo, ma soprattutto stimola continuamente la curiosità e la voglia di vedere cos’altro ci sia da scoprire e cosa attende dietro ogni angolo. È un continuo viaggio nella testa di Lake, che ci tenta con bizzarre situazioni che sono sia completamente senza senso sia ricche di una coerenza interna all’universo del gioco. È un’avventura che riesce a mantenere la curiosità accesa e spinge a leggere ogni documento, ascoltare ogni registrazione, osservare ogni oggetto e cercare di interagirci per scoprire quale misterioso risultato ci sarà questa volta. E il tutto funziona egregiamente anche dal punto di vista del gameplay, creando boss fight sorprendenti o improvvisate cacce al foglietto nascosto in una stanza di otto piani (molto meno noioso di quanto potrebbe sembrare a leggerlo).

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Ed è questa forza creativa che tiene insieme tutto il gioco, arricchendo sia l’esplorazione del mondo, con eventi secondari unici, sia la trama, con aree come il sopracitato Oceanview Motel o anche oggetti come l’Hotline, un telefono che ci permette di parlare con The Board o sentire la voce di Trench, che spiega — o almeno prova a spiegare secondo la sua comprensione — i vari misteri della Oldest House. Se Alan Wake vantava una trama criptica, Control accetta a braccia aperte l’idea di un mondo la cui comprensione è appena fuori dalla nostra portata. Ed è questa colonna portante che permette al gioco di essere un’avventura che non annoia mai, dall’inizio alla fine: eventi creativi, stimolanti e unici sono dietro ogni angolo del Bureau, creando infinito potenziale di gameplay e altrettanto illimitata curiosità per la mente. È il tipo di mondo da cui, una volta entrati, non si vuole più uscire senza prima averne esplorato ogni anfratto.

Control è la conclusione logica di tutto ciò che Remedy ha creato finora. Non è necessariamente il loro gioco migliore, ma è un viaggio indimenticabile che lascerà la voglia di rimanere nella Oldest House anche dopo aver concluso l’avventura.

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Lorenzo “Dyni” Sarno
Frequenza Critica

Non so scrivere e passo tre quarti del mio (illimitato) tempo libero giocando ai picchiaduro. Non sono capace neanche a quelli.