Cosa non funziona — The Last of Us

Qualcuno ha ordinato a domicilio un carico di critiche gratuite?

Marco "Thresher3253" Accogli
Frequenza Critica
6 min readJun 10, 2020

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copertina the last of us

The Last of Us appartiene a quella schiera di videogiochi che infiammano spesso le discussioni online. I grandi successi di critica e pubblico, capaci di essere delle vere e proprie killer app per le console, attirano le critiche più disparate da utenti isolati capaci di far scattare la rissa virtuale nei social e nei forum di settore. Il titolo post-apocalittico di Naughty Dog, uscito nel 2013 su PS3 e poi sbarcato quasi immutato su PS4 in versione Remastered, sembra essere intoccabile: Sony ha fatto sì che un gioco della scorsa generazione rappresenti comunque uno dei pilastri di PS4 e, di conseguenza, ancora oggi si tratta di un gioco che viene (giustamente) consigliato insieme all’acquisto della console — se siete tra i dieci tizi al mondo che non l’hanno ancora giocato nel 2020.

artwork the last of us
Tra parentesi, potevano un attimo aggiungere qualcosa alla Remastered oltre ai 60 fps.

Intendiamoci, The Last of Us è un ottimo gioco. Cosa Non Funziona è una rubrica che esalta i lati negativi — talvolta davvero pochi — di giochi che sono in ogni caso assolutamente meritevoli, e le avventure di Ellie e Joel fanno parte di questa categoria. Pensiamo per esempio all’ambientazione cittadina, invasa dalla lenta e inesorabile avanzata della flora e fauna locale come ci si aspetterebbe dopo due decadi in una società di sopravvissuti. I giochi di luce donano un sacco di carattere a sezioni che altrimenti risulterebbero fin troppo smorte: per un titolo così ricco di dettagli grafici, fa effettivamente un po’ strano vedere che tali ambientazioni risultano spesso eccessivamente statiche. Non si può interagire con fondamentalmente nulla, se non raccogliere gli oggetti necessari al crafting e l’occasionale scala o cassa indispensabile per poter proseguire; manca anche un motore fisico che faccia rimbalzare in giro detriti e decorazioni durante gli scontri più caotici.

stealth the last of us
Butti una granata in una cucina come questa e si spostano giusto due scatole.

Non aiuta nemmeno la linearità delle sequenze proposte, in larga parte dovuta alla necessità di dosare l’alternanza tra le fasi esplorative e le sezioni stealth. Queste ultime consentono sì di aggirare i nemici con un discreto ventaglio di vie a disposizione — in modo tale da permettere al giocatore di riposizionarsi improvvisando un piano al volo — , ma il punto di partenza e il punto di arrivo risultano sempre ben determinati e le opzioni offensive e difensive sono in fin dei conti limitate. Il sistema di crafting degli oggetti, legato al reperimento delle risorse in giro per i livelli, permette di sfruttare a fondo gli strumenti a disposizione in maniera da avere pronti almeno due o tre approcci: all’atto pratico il risultato finale è sempre lo stesso (oltrepassare inosservato i nemici o ucciderli tutti, senza tante variazioni) e risulta poco più che funzionale. Semplicità dettata principalmente dall’anno di pubblicazione del titolo nell’ormai giurassico 2013, quando ancora non era strettamente necessario implementare il crafting anche in un biliardino, ma che oggi fa un attimo sorridere pensando a titoli come Breath of the Wild.

Gli scontri fanno apprezzare l’utilità di strumenti come le granate improvvisate con i chiodi per sfoltire i nemici — inspiegabilmente dotate di sensori di prossimità e quindi utilizzabili come mine — e le fumogene per facilitarsi gli accoltellamenti alle spalle, ma si sente la mancanza di un vero e proprio approccio flessibile come può essere scavalcare un muro per raggiungere un punto più vantaggioso da cui attaccare o nascondersi. Alien: Isolation condivide alcuni tratti della struttura di The Last of Us come il crafting per realizzare strumenti per sviare e distrarre i mostri e il level design che permettere di aggirare i nemici senza farsi vedere, ma riesce a offrire in aggiunta numerose occasioni in cui si può sfruttare gli oggetti in maniera più creativa. In più i livelli della stazione Sevastopol permettono al giocatore di utilizzare l’ambiente come vero e proprio strumento di sopravvivenza: basta pensare alla presenza di scrivanie basse sotto cui stendersi e armadietti in cui ci si può occultare, o ai diversi utilizzi che può avere un razzo di segnalazione (attirare l’Alien in una stanza, segnare un punto di interazione, farsi luce nei tunnel più bui, dar fuoco ai droidi, ecc.). The Last of Us, sebbene concettualmente proponga una struttura del genere, si dimentica piuttosto spesso di esprimerne a fondo il suo completo potenziale, limitando la creatività consentita al giocatore per affrontare le situazioni proposte che, per inciso, non sono neanche tantissime.

sparatoria the last of us
Granate e bottiglie possono funzionare in situazioni come queste, ma in fin dei conti sparare è nettamente più efficiente.

Fortunatamente gli scontri — in particolar modo grazie alla necessità di gestire munizioni e risorse — sono divertenti come un qualsiasi titolo Naughty Dog sa fare, con una I.A. più che competente nel non essere troppo semplice da prevedere. Al contrario, i nemici hanno un approccio cauto: preferiscono non correre rischi inutili se il giocatore decide di trincerarsi in una buona posizione e sono capaci di sfruttare gli attimi di ricarica e di movimento fuori copertura per rispondere al fuoco, specialmente alzando il livello di difficoltà. Non è un gioco difficile, né particolarmente impegnativo, sia chiaro, ma le sparatorie contro gli umani e la pericolosità dei Clicker (capaci di eliminare Joel al solo contatto) sono una minaccia sufficiente per far sì che il giocatore prenda le dovute precauzioni. Finiti i momenti pericolosi, The Last of Us affida alle interazioni tra i personaggi il compito di riempire le sezioni esplorative, che si occupano di lasciare ampio spazio alla narrazione per sviluppare il rapporto tra Joel ed Ellie. Se quindi la scelta narrativa permette al gioco di restare interattivo anche nei momenti di sviluppo di trama e personaggi, il rovescio della medaglia si trova in un ritmo parecchio altalenante: quei piccoli momenti calmi che puntellano le apparizioni dei nemici rallentano inutilmente lo scorrere del gameplay, ricompensando il giocatore con un qualche QTE per sfondare una porta o avviare un motore — principalmente per impedire al giocatore di abbandonare l’area senza essersi prima occupati del gruppo di umani o del boss di turno. Allo stesso modo i filmati son sicuramente interessanti da vedere, ma tendono a dilatare un po’ troppo i tempi per mascherare i — manco brevi — caricamenti, pur senza arrivare agli eccessi di un certo sviluppatore giapponese.

la ben nota scena delle giraffe nel campus universitario di The Last of Us
Il simbolo sulla destra permette di sbloccare qualche dialogo aggiuntivo.

Non sto qui a elencare tutto ciò che ha reso il gioco un successo di critica e vendite — per esempio l’incredibile capacità di Naughty Dog di mischiare tantissimi elementi che presi singolarmente non sono poi così raffinati, ma che una volta incastrati come un perfetto puzzle riescono a rendere il risultato davvero convincente. Quello che la rubrica Cosa Non Funziona deve fare è mettere le cose in prospettiva, specialmente in una settimana dedicata a uno sviluppatore con un curriculum impressionante, per poter mettere da parte i fanboyismi e ricordare che non sempre la realtà è così perfetta come la ricordiamo. Specialmente in un contesto come quello degli ultimi anni, dove Naughty Dog ha avuto i suoi grattacapi da risolvere.

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