Cronache dal Backlog — Sakura Wars

It’s ok that you’re stuck in the 90s because the 90s were the best and you are also the best.

Ioannis Largo
Frequenza Critica
11 min readJan 27, 2020

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Durante gli ultimi giorni dell’anno appena passato, precisamente il sedici dicembre scorso, gli appassionati di retrogaming hanno ricevuto la bella notizia dell’arrivo della traduzione amatoriale in inglese del primo capitolo di Sakura Wars (Sakura Taisen - サクラ大戦), pubblicato per il Sega Saturn ben ventiquattro anni fa.

Sakura Wars è una delle serie di videogiochi maggiormente di successo di SEGA: cinque titoli pubblicati tra il 1996 e il 2005, diversi spin-off, trasposizioni animate, musicali e addirittura teatrali. Il sesto capitolo pubblicato negli ultimi mesi in Giappone è stato un successo di vendite. Tutto questo non è mai uscito al di fuori del Giappone, perché la sua particolare struttura tra una visual novel e uno strategico a turni alla X-COM (ma molto all’acqua di rose) sembrava richiedere un lungo lavoro di traduzione, lavoro non ritenuto profittevole dalla Sega. In realtà qualcosina ha superato i confini del Paese del Sol Levante: il quinto capitolo fu tradotto in inglese, ma fu punito da uno scarso successo; e nel 2006 uscì una traduzione russa dell’edizione per PC dei primi due capitoli.

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«Ho giocato una sola ora a Sakura Wars, ma se succede qualcosa a Iris io ucciderò tutti quelli presenti qui in redazione e dopo la farò finita.» [Nota della redazione: Ioannis ha pronunciato davvero tali parole in riunione, ma l’ha fatto anche dopo aver giocato a Life is Strange (Max), Recettear (Recette) e Yakuza 0 (Makoto); in quest’ultimo caso l’abbiamo dovuto portare in ospedale perché si stava cavando l’occhio destro con un cacciavite arrugginito.]

It’s escapism! Can’t you see? It’s not healthy

Devo essere totalmente sincero e devo confessare che conoscevo poco e nulla delle serie Sakura Wars: avevo visto qualche screenshot e personalmente credevo che fosse addirittura un gioco di ruolo alla Grandia. Leggendo la notizia della traduzione e osservando qualche immagine ho deciso di procurarmi tutto il malloppo emulatorio per godermi questo vecchio titolo. Mi sono goduto quell’oretta serale dedicata a questo titolo, un ritorno ai primi anni Novanta, alla mia infanzia e adolescenza. Anni felici e belli, dove la vita era semplice ed era un’avventura, dove le uniche problematiche erano fare le cinque frasi con il complemento oggetto, mangiare la merenda e non perdersi le avventure di Terry e Maggie su Italia 1.

Ci sono anche degli aspetti puramente personali sulla scelta di giocarmi Sakura Wars. La personcina qui presente è cresciuta in una particolare fase della televisione per ragazzi in Italia: l’invasione dell’animazione giapponese sulle reti Mediaset, invasione composta principalmente da shojo (o volgarmente, come si diceva a quei tempi, i cartoni per bambine che facevano diventare i maschi gay e stragay); quindi tale personcina è lontana tanto della generazione cresciuta a suon di violenza e di depressione di un Rocky Joe, di un Uomo Tigre e di un Kenshiro, quanto dalla generazione ingozzata a suon di repliche di Dragon Ball Z e di Naruto alle due. Personcina cresciuta a suon di magical girls e adolescenti con problemi adolescenziali edulcorati dalla traduzione italiana, perché diamine quei due possono essere fratellastri, perché i genitori erano scambisti; quell’altra ogni ventotto giorni ha il “raffreddore” e non può lanciare magie, quei due amici del protagonista sono troppo infoiati per essere dei sedicenni, la madre di quell’altra da giovane pippava e così via. Infine la personcina non riesce a godersi i prodotti mediatici moderni: i telefilm, i film, i videogiochi, il semplice intrattenimento è diventato troppo complesso o troppo deprimente tra supereroi in ogni luogo, wieners penzolanti, cavalli depressi, scienziati nichilisti, Death Stranding, remake su remake, polemiche su polemiche per polemiche.

Forse è il canonico I used to be with it, but they changed what it was. Now what I’m with isn’t it, and what is it seems weird and scary to me; e forse Sakura Wars è un escapismo poco salutare per nascondere problemi e responsabilità almeno per un’oretta. Non lo so.

E ora mooseca… Ah. Essendo l’edizione per Sega Saturn in due CD, ogni CD ha la sua sigla!

«They told me, “Ogami, you’re special, you were born to do great things and a harem too.” You know what? They were right.»

In Sakura Wars noi interpretiamo il giovane Ichiro Ogami, ufficiale della marina nipponica appena diplomatosi all’accademia con il massimo dei voti e assegnato dai suoi superiori a uno squadrone segreto destinato alla difesa della capitale. Tutto ciò in un 1920 steampunk, dove tutta la tecnologia funziona a vapore e dove sembra che la prima guerra mondiale non sia mai scoppiata (ma la guerra russo — giapponese e la rivoluzione russa sì.). Il nostro Ogami si avvia verso la sede assegnata accompagnata da una giovane ragazza che indossa il classico kimono (Sakura). Arrivato alla sede Ogami rimane sconvolto nello scoprire che è un semplicissimo teatro; e le sorprese non finiscono perché non c’è nessun soldato, ma solo una bambina francese di dieci anni (Iris), una ragazza dell’alta società giapponese che indossa uno svergognato vestito privo di spalle (Sumire) e una donna dagli occhi di ghiaccio (Maria). Al povero Ogami cade il mondo addosso nello scoprire che il suo superiore, il generale Yoneda, leggendario eroe della guerra russo-giapponese, è ridotto a essere un vecchio impresario teatrale ubriacone. Quest’ultimo incarica Ogami di timbrare i biglietti per la compagnia teatrale e di non scendere mai nel sottoscala. Solo dopo pochi giorni Ogami scopre che guiderà questa divisione sperimentale composta da ragazze graziose e virtuose, e soprattutto con poteri psichici/spirituali, nel difendere la capitale da minacce demoniache e aliene. Lui e le ragazze guideranno dei particolari mecha a vapore (kobu) che amplificano al massimo i loro poteri. Dopo aver incontrato i nostri antagonisti — una banda di vecchi demoni conservatori e xenofobi che vogliono ripristinare lo shogunato e tingere la capitale con il sangue degli Occidentali corruttori — alla nostra squadra si uniranno altre due protagoniste: una vivace inventrice cinese (Kohran) e un’esperta di karate di Okinawa (Kanna). Altra protagonista femminile è Ayame, superiore di Ogami, la quale consiglierà la squadra durante le operazioni. Piccola chicca (e sfiga per chi è alle prime armi con la lingua dell’amico Nippone): il gioco è in parte doppiato, però alcune protagoniste parlano alcune varianti del giapponese classico: Kohran parla il Kansai-ben, Kanna il dialetto tipico delle isole di Okinawa.

«Are you really using our tracking terminal to play Sakura Wars?! At least I hope you’re choosing Maria.»

Essendo indeciso sugli screenshot, beccatevi sto video. O comuni zoomers assistete ai poteri del LIPS system e alle battaglie steampunk. Ayame non è Bradford, ma le nostre ragazze non mancano un colpo, so THAT’S FLOWER DIVISION BABY!

Sakura Wars è per due terzi una visual novel e per il restante terzo uno strategico a turni. Durante le fasi da visual novel la fa da padrone il LIPS system, che permette di poter osservare e interagire con alcuni elementi dello sfondo o con il personaggio dinnanzi a noi. Niente di che, perché al massimo potremo bussare alla porta, guardare il taglio di capelli, il vestito indossato o sbirciare le forme delle protagoniste con commenti mentali del nostro Ogami che arrossisce come il più classico degli uomini nipponici anni 90. Durante i dialoghi abbiamo del tempo limitato per poter scegliere tra una delle due/tre risposte, se non scegliamo Ogami rimarrà silente (Clementine! Ops, scusate confusione mentale). Solo in alcune parti del gioco possiamo esplorare liberamente il teatro, spesso avremo dei “turni” contati, quindi dobbiamo ponderare bene le stanze che vogliamo visitare evitando quelle vuote.

Quando saliremo sul nostro mecha a vapore tutto cambierà: su una griglia quadrata muoveremo le nostre protagoniste, le quali potranno attaccare o sferrare un attacco speciale, difendersi, curarsi o curare una compagna di squadra (solo due volte) o ricaricare la barra dell’energia psichica che permette di fare gli attacchi speciali. Ogni protagonista ha una sua peculiarità: Maria è l’unica a fare attacchi dalla distanza, Kohran fa attacchi ad area, Iris può teletrasportarsi, Ogami può proteggere le ragazze incassando al loro posto. In alcuni punti del gioco, se il nostro Ogami ha giocato bene le sue carte con le protagoniste possiamo fare dei devastanti attacchi a coppia che prosciugano le barre di energia.

Be me… Un demone proveniente dall’inferno dei peccatori a testa in giù, evocato da qualche vecchio nostalgico dello shogunato o da Giovanna d’Arco (sì, la villain di uno degli spin-off è proprio lei) per essere sconfitto da una banda di ragazze in armatura, per di più rimanendo immmobile ad ascoltare il loro superattacco romantico.

Se nelle fasi da visual novel Ogami si è comportato bene con le protagoniste, queste avranno nella fase di battaglia diversi bonus e la possibilità di percorrere un maggiore numero di caselle. Se ci siamo comportati male, le abbiamo fatte arrabbiare o offese in qualche modo (Sì, Sumire sto guardando te) non ci saranno malus. Le battaglie sono basilari e nemmeno troppo difficili, la difficoltà dipende dalla struttura della mappa con passaggi obbligati, dall’alto numero di nemici o da alcuni malus come un limite ai nostri personaggi, oppure personaggi feriti e stanchi. L’unico Game Over possibile è la morte di Ogami, se le protagoniste sono messe fuori uso le faremo solo arrabbiare.

Durante le fasi da visual novel possiamo sbloccare alcuni mini-giochi: ce ne dovrebbero essere sette, uno per ogni protagonista, più uno uguale per tutte. Personalmente ho sbloccato solo il tiro a segno, il koi-koi (Kohran), una sottospecie di cooking mama (Maria) e un giochino dove Ogami, strappandosi i vestiti come quei camorristi nipponici di Yakuza e indossando solo un aderentissimo costumino nero, si getta in piscina e tenta di salvare Sumire che sta affogando.

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«You can have only my body. You can never have my heart, my mind, or my soul!» // «Oh, oh yes! I respect that»

È il tempo di passare all’aspetto narrativo del gioco, dopotutto è pur sempre una visual novel con un giovane ufficiale circondato da ragazze graziose e virtuose, inconsapevoli dell’esistenza di altri uomini al di fuori del proprio padre, del protagonista e del vecchio impresario.

Le protagoniste sono abbastanza abbozzate e rientrano pienamente nei canoni e negli stereotipi di quei prodotti nipponici di fine anni Ottanta/metà anni Novanta: Sakura è la protagonista principale, è buona di cuore e coraggiosa, pasticciona, un po’ infantile soprattutto nel suo rapporto con Ogami; Maria è la “sorella maggiore” del gruppo ed è severa e protettiva verso le altre ragazze, taciturna e con un misterioso passato; Kanna è la tomboy vissuta a pane e karate, scherzosa, istintiva, ma ritenuta dalle altre priva di femminilità e non molto intelligente; Sumire è l’aristocratica, dove la sua superbia e la sua malizia nascondo un animo buono e premuroso; Kohran è vivace e intelligente, l’animo giocoso del gruppo; Iris è una bambina protettiva verso il suo nuovo fratellone maggiore (oni-chan). Canonico in ogni visual novel romantica e anche nei peggiori eroge è il trauma delle protagoniste, trauma che inibisce i loro comportamenti, trauma che deve essere risolto dal protagonista così da riportare la serenità nei cuori delle ragazze. I traumi delle protagoniste dei primi due capitoli di Sakura Wars sono quasi sempre ricollegabili a problemi con l’altro sesso: padre assente; responsabilità per la morte di una persona (maschio) caro; difficoltà nell’esprimere i propri sentimenti o la propria femminilità. Le protagoniste più che serenità o indipendenza cercano una forte figura maschile che sia tanto padre quanto persona amata.

Qui casca l’asino patriarcale, anzi casca l’uomo, perché spesso e volentieri in una visual novel di genere romantico (e pure negli eroge) oltre al protagonista gli altri uomini sono riconducibili a due categorie: figura paterna e rivale in amore. Il primo oramai privo di qualsiasi forma di passione e quindi non una minaccia per il protagonista; il secondo è invece vile, vigliacco, ipocrita e interessato solo all’aspetto carnale e lussurioso. In Sakura Wars Ogami non avrà rivali in amore: Yoneda è la figura paterna semicomica che lo sprona a migliorare, e accanto a lui Ayame è la figura “materna” che darà consigli a Ogami non solo sul campo di battaglia, ma anche nei rapporti con le protagoniste. Il nostro Ogami è il nulla: sì, è buono come il pane e parla con il cuore, però è tutto qui, al massimo lo caratterizzeremo come un militare severo, un timido bonaccione o un infoiato con gli ormoni a mille. Ah, già che ci siamo, non vi aspettate fan-service come oggi: il canonico episodio al mare plus terme lo avremo nel secondo capitolo, al massimo Ogami può sbirciare nelle docce per vedere la protagonista lavarsi coperta da un plexigas.

I personaggi sono abbozzati e la storia non è niente di che: la Capitale è in pericolo e può essere salvata solo dalle nostre donzelle with the power of love. Ma tutto ciò è inserito perfettamente nella struttura narrativa del gioco che ricorda tantissimo un anime, con spezzoni animati veri e propri tra una fase e un’altra, eyecatcher per la schermata del salvataggio, storia divisa in episodi con alla fine di ognuno le anticipazioni del prossimo, ottimi disegni e quell’ottimismo nipponico anni 80/90. Gli episodi sono ben fatti e coinvolgono il giocatore nelle scelte da effettuare nei dialoghi: devo investigare sul passato di Maria? Devo trattare Iris come una bambina prendendomi le responsabilità dei suoi pasticci (radere al suolo un cinema) o trattarla da adulta e rimproverarla? Niente di straordinario, niente di paragonabile a prodotti contemporanei come Life is Strange, Persona oppure il primo The Walking Dead. Ma devo essere sincero: giocando a Sakura Wars ho provato le stesse sensazioni, anzi le stesse vibrazioni dell’animo di un Tales from the Borderlands. Due titoli distanti nel tempo e differenti nella forma, ma simili nel costruire una storia e nel presentare i personaggi.

«You lay one goddamn finger on Iris Chateaubriand ...And I'll bury the Toj… Sega Clan. I'll crush it down to the last man. This I swear to you!»

Siamo arrivati alla conclusione di questa carrellata di parole su un titolo del 1996. Nel 2019 è uscito il sesto capitolo, Sakura Wars, che come anticipato in precedenza ha avuto un boom di vendite in Giappone e dovrebbe sbarcare anche nel resto del mondo verso primavera. Di quest’ultimo titolo si è parlato di reboot oppure di soft-reboot; abbastanza errato, perché non c’è nessun cambiamento, ma solo un balzo temporale di una decina di anni e una scusa per lasciare fuori quasi tutti personaggi dei titoli precedenti. Qualcosa di simile è stato fatto anni prima nello sfortunato quinto capitolo, ambientato negli USA e caratterizzato dalla protagonista femminile samurai-cowboy e dal nipote di Ogami come protagonista maschile. Giustamente doveva andare così, i giocatori e le giocatrici del 96 sono cresciuti e una nuova generazione ha bisogno dei suoi eroi e delle sue eroine che rispecchiano i loro canoni.

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Retro della copertina dell’edizione fisica per la PC Master Race.

Consiglio di procurarsi Saturn e CD per bruciare la traduzione; oppure emulatore, oppure vocabolario di giapponese o di russo e versione PC, fate come cacchietto volete. Ovviamente se il fortunato lettore mangia Dark Souls a colazione e conosce a memoria tutti gli episodi di Rick & Morty non troverà niente di interessante e nel caso di una sua giovane età si limiterà a borbottare “ok boomer nessuno ti tocca la tua waifu e i tuoi ricordi”. Chi è leggermente più anziano e strettamente legato agli anni Ottanta e Novanta troverà un po’ di sana nostalgia e di escapismo.

Cara Sega, io la butto lì: dato che il 2021 è l’anno del venticinquesimo anniversario del primo Sakura Taisen la facciamo una bella remaster 25th anniversary edition dei primi due capitoli con traduzioncina in inglese? Non si chiede niente di trascendentale, potete ficcare semplicemente l’edizione del ‘96 e la lingua inglese (e le sigle cantate da Cristina d’Avena così da farle maturare i contributi per la pensione). Niente francese, niente tedesco, niente italiano o neoellenico, solo sottotitoli nella lingua della perfida Albione; non voglio manco un doppiaggio, lasciate le voci originali, niente Mark Hamill che doppia Yoneda, niente Satan che pronuncia il più che canonico: “This is the Ogami-san I expected. I guess there’s no other choice. Go! Kill this arrogant motherfucker!

Ronnie-whomp-sakura-wars
[Nota della Redazione: tale fumetto di Ronnie potrebbe essere la conclusione di questa storia e di questa retro recensione; invece no. Abbiamo dovuto rivelare a Ioannis l’assenza di una traduzione in inglese del secondo capitolo di Sakura Wars. Non l’ha presa bene, ha pianto e ha iniziato a sfasciare la redazione, lo abbiamo dovuto sedare con delle mazze. Non preoccupatevi, abbiamo usato mazze mediche e colpi ben precisi.]

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