Da Greenlight a Direct: come ti rovino Steam

L’impossibilità di navigare in un oceano di escrementi

Daniele “Alteridan” Dolce
Frequenza Critica
6 min readSep 11, 2017

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È incredibile come Valve sia riuscita a rovinare una piattaforma come Steam, l’unico vero punto di riferimento per il mercato dei videogiochi su PC. Dopo una partenza piuttosto lenta avvenuta nell’ormai lontanissimo 2003, negli anni successivi Steam è diventata una vetrina sia per i grandi publisher che per gli sviluppatori indipendenti, permettendo così di raggiungere un bacino di utenti sconfinato nell’ordine delle decine di milioni.

A Valve va concesso il merito di aver fatto risorgere il mercato PC, all’epoca accantonato dalle major in favore delle console, e di aver dato una spinta notevole verso la distribuzione digitale dei contenuti. È merito di Gabe Newell e soci se oggi il concetto di esclusiva console non esiste quasi più, almeno per quanto riguarda i titoli non prodotti direttamente dai costruttori di console; eppure Valve non è riuscita a gestire l’enorme successo dello store, soccombendo alle pretese sempre più insistenti di chi voleva partecipare alla spartizione della torta.

È così che l’ingordigia ha permesso a un esercito di aspiranti sviluppatori di pubblicare tutto ciò che vogliono su Steam, con buona pace del controllo qualità e del buon senso. La situazione non era di certo delle migliori quando Greenlight faceva da blando filtro permettendo solo a una parte di questi dev di accedere alla grande piazza di Steam, basti pensare che il sistema che garantiva l’accesso allo store era facilmente aggirabile, tra key regalate in cambio di qualche upvote o veri e propri tentativi di truffa. Già allora il numero di videogiochi pubblicati ogni anno su Steam ha iniziato a crescere in maniera esponenziale, passando dai poco più di 500 del 2013 agli oltre 1.500 del 2014, fino ai 3.000 del 2015 e ai 4.500 del 2016.

(Dati di Daniel Ahmad — analista di Niko Partners)

Il grafico presente qui in alto, poi, mostra che i videogiochi pubblicati su Steam dall’inizio del 2017 fino a oggi sono quasi 3.500. Ciò si deve senz’altro all’introduzione del programma Direct, il quale è andato a sostituire Greenlight e che permette a chiunque di pubblicare direttamente — da qui il nome — ciò che si desidera previo pagamento di un piccolo obolo.

Il problema è che se fino a qualche mese fa era presente una barriera che riusciva in qualche caso a filtrare i giochi in entrata, ora quel blando argine è stato rimosso e il fiume di nuovi contenuti ha prevedibilmente travolto tutto e tutti. Il risultato è la pubblicazione settimanale di centinaia di titoli di dubbia qualità che vanno a sommergere quei pochi davvero meritevoli delle attenzioni del pubblico. Ora, non dico che tutti i prodotti debbano essere di alta qualità, sarebbe ingenuo pensare che ciò sia possibile, ma ci sarebbe bisogno di un minimo di controllo per evitare almeno i casi limite.

Prendiamo ISIS Simulator, un titolo che al momento risulta in uscita imminente: ebbene, pare proprio che questo videogioco non sia null’altro che un maldestro tentativo di riciclare asset non commerciali provenienti da una demo di GameGuru (uno dei tanti middleware a disposizione degli sviluppatori indipendenti). Potrei fare decine, se non centinaia di esempi di giochi come ISIS Simulator poiché di titoli che utilizzano asset protetti da una licenza non commerciale ce ne sono a bizzeffe su Steam, quasi tutti comparsi proprio con l’introduzione di Direct.

(ISIS Simulator — BunchOD00dz/ArcaneRaise)

A questo punto mi si potrebbe fare un appunto: ok, basta segnalarli e passare oltre, tanto che male fanno? Al di là del fatto che Valve raramente prende provvedimenti in questi casi, l’assunto che non facciano male all’industria è palesemente errato, ma ci arriverò tra un attimo.

Uno dei più grandi benefici della rivoluzione digitale è senza ombra di dubbio la nascita di team indie che hanno sfruttato quest’occasione per staccarsi dai publisher e autopubblicare le loro opere, mantenendo così una piena indipendenza creativa al prezzo di budget decisamente inferiori. È così che nel corso degli ultimi anni abbiamo avuto la possibilità di giocare a tantissime perle che hanno dato vita a una sorta di mercato parallelo: da un lato le produzioni altisonanti con budget stratosferici, dall’altro dei titoli sicuramente meno complessi da un punto di vista dei valori produttivi, ma altrettanto validi sul fronte qualitativo rispetto ai fratelli maggiori nati sotto l’egida di Electronic Arts, Activision, Ubisoft e via discorrendo. Ciò è stato possibile anche grazie a Valve: la compagnia di Bellevue ha saputo dare una casa agli sviluppatori indipendenti, accogliendoli e offrendo loro un bacino d’utenza teoricamente sconfinato.

Anno dopo anno, però, Valve ha lentamente ma sistematicamente eroso le fondamenta di questo rapporto con i team indie. Lo ha fatto proprio permettendo a chiunque di pubblicare su Steam ogni tipo di porcheria: basti pensare che solo dall’introduzione di Steam Direct, lo scorso giugno, il numero di videogiochi approdati sulla piattaforma di digital delivery ha toccato quota 1.300. Milletrecento videogiochi pubblicati sul principale store digitale per PC in meno di tre mesi, sono circa quattrocentotrenta giochi ogni mese, quindici al giorno.

(Mr. Shifty — Team Shifty/tinyBuild)

Ora immaginate di essere uno sviluppatore indipendente che ha sviluppato un titolo di qualità piuttosto elevata. Immaginate che i vostri potenziali acquirenti debbano riuscire a trovare il gioco in questione tra più di 16.000 prodotti attualmente presenti su Steam, e che quel numero è destinato a salire di circa 500 unità ogni mese. Il primo pensiero che verrebbe in mente a qualsiasi persona sana di mente è “chi me lo fa fare?”, e d’altronde non è un caso che sempre più dev si stiano spostando su console, dove il controllo all’ingresso è molto più stretto e la visibilità dei progetti è sensibilmente maggiore.

Il secondo pensiero, però, potrebbe essere “devo trovare un publisher”. Vi siete mai chiesti perché negli ultimi anni sentiamo sempre più parlare di Devolver Digital, tinyBuild, 1C Company, SOEDESCO, e via discorrendo? Gli studi indipendenti sono alla costante ricerca di visibilità per non rimanere impantanati nella cloaca che è diventata Steam: da un lato le risorse economiche e le competenze per sviluppare i videogiochi non gli mancano, dall’altro peccano proprio di know-how per pubblicizzare al meglio il loro prodotto, per questo si rivolgono alle compagnie appena citate. Dove si arriva in questo modo? Esatto, al punto di partenza.

(Unravel — Coldwood Interactive/Electronic Arts)

La rivoluzione digitale ha permesso agli sviluppatori tutti di avere una chance nel mercato dei videogiochi senza doversi per forza affidare ai publisher, e se Devolver Digital e simili si occupano solamente di tutto ciò che concerne il marketing e la distribuzione dei prodotti, ciò non si può di certo dire di attori come Electronic Arts. Proprio quest’ultima ha dato vita a un programma per accogliere e finanziare i progetti di studi indipendenti: abbiamo già avuto Unravel, il platform di Coldwood Interactive uscito lo scorso anno su PC e console, mentre presto vedranno la luce A Way Out e Fe. È facile immaginare che in futuro altre major seguiranno l’esempio di EA e chissà, magari verrà comunque dato spazio alle software house in modo che mantengano la loro libertà creativa, ma permettetemi di essere dubbioso a riguardo.

Tutto questo discorso per dire cosa? Sostanzialmente per dire che la massima apertura di Steam nei confronti di chiunque è nociva per tutti, sia per i videogiocatori che per gli sviluppatori. Purtroppo i risultati di queste azioni stanno già portando a conseguenze disastrose per l’industria, ma ciò che davvero dovrebbe far riflettere è che Valve non ha alcuna intenzione di fare marcia indietro.

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Daniele “Alteridan” Dolce
Frequenza Critica

Mi piace scrivere di ciò che mi passa per la testa. Prevalentemente di videogiochi, film e serie TV.