Di guerre a fumetti nei videogiochi

Non abbiamo (sempre) bisogno di eroi.

Diego “Syd” Cinelli
Frequenza Critica
6 min readFeb 14, 2020

--

L’Incendio del Reichstag, così come appare in Through the Darkest of Times.

Continuiamo il percorso “bellicoso” di questo febbraio su Frequenza Critica (a questo indirizzo potete trovare l’elenco completo di tutte le tappe) con un duo in un certo senso atipico.

La combinazione tra fumetto e videogioco ha un potere molto particolare, che spinge in due direzioni diverse ma lascia tutt’altro che immobili. Il disegno deforma i contorni e li reinterpreta, coprendo con un velo sottile la realtà; l’interattività che è propria del linguaggio dei videogiochi trascina invece il giocatore di nuovo all’interno — passandoci la mano, il velo diventa un guanto. Quel che si tocca, di lì in poi, è di nuovo la realtà.
Questo è quello che può accadere quando i videogiochi si prendono la briga di raccontare la nostra storia, ed è quello che accade in due prodotti europei finiti sul mercato in tempi più o meno recenti.

Il primo è Valiant Hearts (PlayStation 3 e 4, Xbox 360 e One, PC, iOS, Android, Switch - 2014), sviluppato da Ubisoft Montpellier, un’avventura grafica che inquadra la prima guerra mondiale puntando l’obiettivo sul fronte franco-tedesco seguendo le avventure e disavventure di quattro (più uno, e che uno) personaggi. Il secondo è Through the Darkest of Times (PC - 2020), prodotto dallo studio indipendente Paintbucket Games che parla della loro città, Berlino, nell’arco di tempo che va dal 1933 al 1945: in questo caso si tratta di uno strategico a turni, in cui si guida un gruppo della resistenza al nazismo, dalla nomina di Hitler a cancelliere fino ai periodi più bui (appunto) della dittatura e della guerra.

Un pezzo di Francia devastata dalla guerra, così come appare in Valiant Hearts.
Valiant Hearts riporta spesso sullo schermo i paesaggi devastati dall’interminabile guerra di trincea.

Sono due opere molto diverse tra loro, ma con molti tratti in comune che vanno oltre allo stile grafico in un certo senso simile. In netta contrapposizione con un modo assai più comune di raccontare la guerra, Valiant Hearts e Through the Darkest of Times affermano con forza che non abbiamo bisogno di eroi — almeno, non di quelli che siamo abituati a immaginare. Scardinando la barra della vita, abbandonano i fucili per passare a strumenti ordinari (dalle pale alle pile di volantini stampati di nascosto), esaltando le mani che li impugnano.

L’esempio migliore è quello che ci è più vicino, perché ci impedisce di sentirsi differenti. L’eroe epico e quello tragico sono estremi ai quali guardiamo per cercare ispirazione o consolazione, ma la distanza che li separa da noi ci mette al riparo dalla loro ombra. Al contrario, di fronte alla faccia più dura dell’ordinario è difficile nascondersi — tanto più in un videogioco, dove non esiste una vera differenza tra le “loro” (dei personaggi) scelte e le nostre. Inoltre, caricando di nuovo questi due periodi storici di umanità, Valiant Hearts e Through the Darkest of Times si prendono cura della memoria, perché trascinano i giocatori al centro di un atto performativo — diventiamo parte attiva nel mettere in scena eventi del passato, riportandoli al tempo presente e facendoli nostri.

Sia Ubisoft Montpellier che Paintbucket Games hanno sfruttato la capacità del disegno di ignorare i dettagli superflui della realtà. È più facile, in questo modo, mettere al centro della scena un singolo elemento. Valiant Hearts e Through the Darkest of Times fanno attraversare al giocatore infiniti spazi grigi per fargli percepire il peso dei particolari, che riescono a separarsi dallo sfondo. In particolar modo il secondo punta tutto su forti contrasti: il rosso del sangue e del fuoco divide in due le tinte di grigio degli sfondi, e allo stesso modo il colore degli occhi delle persone provate dalla guerra, intente a fissare oltre lo schermo, è impossibile da ignorare.

Valiant Hearts adopera invece un linguaggio visivo spesso caricaturale, sfruttato per far passare con un sorriso le sezioni più spensierate. Si passa in un momento dal comico al tragico: le figure buffe dei soldati attraversano lo schermo con movimenti goffi, borbottando vignette prive di testo, ed è facile ridere di loro; ci vuole altrettanto poco però perché quelle stesse sagome diventino minacciose, quando la storia comincia a farsi più cupa.

Per essere certo di far funzionare questo meccanismo, Valiant Hearts fa uso di una colonna sonora molto carica per accompagnare i diversi capitoli della storia: si passa dalla rielaborazione dei classici, che sostengono alcune delle sequenze più spensierate, a melodie malinconiche che non ti si staccano dalla testa. Through the Darkest of Times invece utilizza brevi serie di note al pianoforte per spezzare i silenzi dell’azione in gioco, anticipando gli esiti delle azioni intraprese: quando si sentono toni più cupi, si passa l’attimo successivo a chiedersi quanto male stiano per mettersi le cose.

Entrambi i videogiochi, come detto, strappano via dalla narrazione gli eroi canonici e questo si traduce anche nell’assenza di azioni davvero decisive. Non c’è possibilità che, con un colpo alla Tarantino, i protagonisti sconvolgano quanto scritto sui libri di storia: gli sviluppatori di Ubisoft Montpellier e quelli di Paintbucket Games avevano interesse a raccontare un conflitto vicina alla realtà, simile a quella che molti hanno visto e poco spesso si racconta. Innumerevoli vite furono scosse dai due conflitti mondiali del novecento senza che avessero modo di fare alcunché, travolte da una marea di eventi soverchiante. C’era ben poco spazio per ruoli decisivi, sia nelle trincee della prima guerra mondiale, sia per le strade di Berlino battute dalla Gestapo — o, per meglio dire, era poco probabile che un singolo potesse determinare le sorti della guerra.

Allora cosa rimane da giocare? Con la promessa di quale avventura dovremmo spingerci verso la Somme, oppure esporci per difendere un cittadino diventato sgradito agli occhi della maggioranza? In Valiant Hearts e in Through the Darkest of Times c’è sul piatto la vita dei personaggi e di quelli che gli stanno accanto. L’obiettivo è puntato su di loro e non c’è spazio per i grandi schemi, ma il peso di quanto c’è in gioco si fa comunque sentire — nel primo, in particolar modo, perché l’avventura grafica Ubisoft segue da vicino le storie di personaggi costruiti con precisione, mentre il secondo spazza via in maniera ancora più drastica l’individualismo, gettandoci tra le mani profili di uomini e donne generati casualmente dall’IA.

La storia, la nostra storia, arriva al giocatore in modi diversi nei due giochi. In Valiant Hearts i racconti dei personaggi sono accompagnati da una serie di oggetti collezionabili, che rimandano a pagine informative che Ubisoft Montpellier ha imbastito con l’aiuto di Mission Centenaire e Apocalypse World War I, che hanno fornito documentazioni fotografiche d’epoca e didascalie: attraverso gli oggetti più poveri, che in trincea assumevano un valore immenso, si mette per un attimo piede nella vita dei soldati al fronte.

Through the Darkest of Times accompagna le descrizioni degli eventi salienti che sconvolsero Berlino ai punti di vista di cittadini, soldati, emarginati e di tutti quegli uomini e donne che componevano la variopinta popolazione dell’odierna capitale, ricordandoci che ogni cosa può essere vista da diverse angolazioni: per noi, che osserviamo da decenni di distanza, è facile prendere una posizione assoluta ma è importante (se non fondamentale) capire anche i meccanismi che portarono, per esempio, molte persone a supportare gesti ignobili e a crederli necessari, se non addirittura giusti.

Tre quotidiani d’invenzione che raccontano pezzi di storia, in Through the Darkest of Times.
Through the Darkest of Times fornisce all’inizio di ogni turno nuove nozioni storiche, inserite in quotidiani d’invenzione.

Quelle presenti sono le ultime generazioni che hanno la possibilità di percepire un contatto diretto con le due grandi guerre che scossero il novecento. Ma se in futuro sarà ancora più importante raccontare, a noi opere come Valiant Hearts o Through the Darkest of Times possono servire a capire quella che è la nostra storia. Mio nonno attraversò l’oceano durante la guerra, in cerca di pace e di lavoro; mia nonna vide le barbarie di soldati italiani e stranieri, nei momenti più cupi. Il paesino dove sono cresciuto era a suo modo fortunato e si risparmiò le bombe; i meccanismi che muovevano la guerra si vivevano in piccolo, per le strade, e spesso finivano per sembrare poco più che screzi tra vicini. È anche per questo motivo che questi due videogiochi mi hanno colpito: perché parlavano di qualcosa che sentivo anche mio, e mi hanno aiutato a far riaffiorare i ricordi e a cementare una memoria fatta non tanto di eroi, ma di gente comune finita in mezzo a qualcosa che non aveva nulla di ordinario.

--

--

Diego “Syd” Cinelli
Frequenza Critica

Chiacchieratore seriale, passa buona parte del suo tempo a parlare ad altri della sua passione per i videogiochi.