Fire Emblem: Three Houses alla ricerca dell’anello del conte

Grosso guaio a Garrech Mach

Daniele “Alteridan” Dolce
Frequenza Critica
4 min readSep 2, 2019

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Fire Emblem: Three Houses ha un problema. In realtà ne ha tanti, ma uno di questi proprio non sono riuscito a digerirlo. Al di là di un livello di difficoltà onestamente imbarazzante, dell’eccessiva ripetività degli scenari, di tutto l’apparato ludico che strizza l’occhio alle visual novel e ai dating sim (che per carità, non nego possa piacere a una tipologia di pubblico ben distinta), ciò che mi ha proprio dato fastidio dell’ultimo capitolo di questa storica saga Nintendo è l’intreccio narrativo. O meglio, un certo tipo di narrazione basato sul più becero dei plot device: mi riferisco all’interruzione improvvisa di un dialogo fondamentale nello sviluppo della trama da parte di un messaggio urgente da recapitare all’interlocutore di turno, o magari perché accade un evento da qualche parte nel mondo proprio mentre stiamo per sentire le parole fatidiche che potrebbero far luce sull’identità del protagonista e giustamente tutti devono mobilitarsi immediatamente, mica vorrete perdere tre secondi per finire la frase, no? D’altronde ne va del destino dell’universo.

Già perché questo è il principale interrogativo alla base delle vicende di Three Houses. Un enigma, quello della vera natura del professor Byleth, che ci accompagna per tutta la durata dell’avventura. Un mistero che richiama alla memoria l’anello del conte di borisiana memoria tanto viene portato per le lunghe. Una vera e propria presa in giro che col tempo finisce per sforare nel ridicolo, fino a diventare un segreto di pulcinella. Alla fine, dopo diverse decine di ore di tira e molla, assistere alla fatidica rivelazione mi ha fatto scoppiare in una fragorosa risata.

Fortunatamente, dopo quest’ultima presa in giro, il gioco ha deciso di dare il via all’ultima missione e terminare così questa lunga farsa chiamata Fire Emblem: Three Houses. Quasi cinquanta ore dopo l’inizio dell’avventura.

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Ora, arrivati a questo punto, potreste chiedervi più meno questo: “Ok, abbiamo capito che la trama ti ha fatto schifo, ma almeno si gioca bene?” La risposta più sincera che posso darvi è solo una: “Dipende da ciò che cercate.

Volete un tattico a turni profondo, con una discreta varietà di contenuti, mappe, unità? Benissimo, volgete il vostro sguardo altrove per non rimanere delusi. Quelle poche volte in cui si scende sul campo di battaglia, Fire Emblem: Three Houses ricicla più e più volte le medesime mappe, i soliti nemici, e la stessa intelligenza artificiale deficitaria facilmente ingannabile, che può tentare di mettere in difficoltà il giocatore umano soltanto facendo leva sulle percentuali di probabilità di colpo triplo o di schivata. Non di rado si ha l’impressione che la CPU imbrogli pur di restare al passo delle strategie messe in atto dall’utente, magari evitando proprio l’attacco che avrebbe posto le basi per la sua sconfitta.

Se tutto ciò che gravita attorno alla componente tattica di Three Houses appare sottotono, non si può dire lo stesso di quelle meccaniche mutuate dalla serie Persona. Quando il protagonista non è impegnato a dare ordini ai suoi sottoposti, ecco che veste i panni di professore dell’Accademia Ufficiali di Garrech Mach. In questo caso le meccaniche dei giochi di time management si fondono con quelle delle visual novel e dei dating sim. A noi spetta il compito di gestire il tempo a disposizione, mese dopo mese, per addestrare gli studenti, girovagare per il monastero alla ricerca di missioni secondarie e chiacchierare con gli altri personaggi per tentare di arruolarli tra le proprie fila, o magari semplicemente per conoscerli meglio e migliorare i rapporti affettivi con essi.

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Tornando alla domanda di qualche paragrafo fa, dunque, se cercate un videogioco tipicamente giapponese, con tanto di fanservice a iosa, magari eccessivamente verboso nell’esporre fatti ed eventi secondari di cui — detto in totale e completa onestà — avrei fatto tranquillamente a meno vista l’infantilità dell’esposizione, allora Three Houses è sicuramente il gioco che fa per voi. Tenete presente che gli stereotipi delle produzioni nipponiche destinate a una certa tipologia di pubblico sono presenti tutti, a partire dalla ragazzina schiva ed eccessivamente riservata, fino alla bambina che non vuole essere trattata come tale, passando dal cascamorto al giovane di umili origini ma con tanta forza di spirito. Ovviamente non c’è nulla di male in caso facciate parte di questo particolare gruppo di persone; il mio unico appunto è che ricordo tempi in cui Fire Emblem era sinonimo di tattica a turni di primo piano, e non di simulatore di waifu.

Ma magari sono io quello “sbagliato”. Chissà.

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Daniele “Alteridan” Dolce
Frequenza Critica

Mi piace scrivere di ciò che mi passa per la testa. Prevalentemente di videogiochi, film e serie TV.