Frequenza Critica racconta: i Borderlands

Ain’t no rest for the wicked.

Marco "Thresher3253" Accogli
Frequenza Critica
6 min readSep 19, 2019

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Di ritorno sul pianeta Pandora (che non è lo stesso dei gioielli eh…)

Con questa rubrica ripercorriamo la storia di serie e autori che hanno caratterizzato e influenzato il settore videoludico nel corso degli anni. In questa prima puntata Thresher3253 ci racconta della sua esperienza nel mondo di Pandora.

Ricordo ancora con piacere la prima volta che avviai Borderlands pochi mesi dopo l’uscita, nell’ormai lontano 2009. Il titolo di Gearbox era di natura completamente diversa rispetto agli altri lavori della casa usciti fino a quel momento: uno sparatutto cazzone e colorato in netta contrapposizione alla serie di Brothers In Arms — di cui andremo a parlare in futuro — e gli sviluppatori non erano ancora stati travolti dalle simpatiche vicende del loro portavoce. Tutto questo però non era importante in quanto, una volta sceso da quel nostalgico bus dopo la selezione del personaggio, mi ritrovai rapidamente immerso nella folle ambientazione di Pandora a fare quello che si fa meglio nella serie: sparare e far alzare costantemente quei dannati numeretti. E col tempo, Gearbox ha saputo farsi ascoltare.

Borderlands

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Il cast al completo, in posa plastica da museo delle cere.

Il primo capitolo ha avuto un inizio non troppo esaltante a dire la verità: le prime armi raccolte sembravano provenire dal catalogo IKEA piuttosto che da un’armeria texana e i primi scontri non erano particolarmente elaborati. Quello che invece mi aveva colpito fin da subito è l’avere mischiato meccaniche normalmente limitate agli hack ’n’ slash (alla Diablo e Sacred per intenderci) nel contesto di uno sparatutto in prima persona. Il mix contiene i migliori elementi del genere: bottino ottenuto dall’uccisione di nemici con valori di attacco e altre statistiche generate casualmente, punti esperienza da raccogliere e livelli da scalare, alberi delle abilità da sbloccare ed equipaggiamento in costante crescita. La frenesia tipica degli sparatutto si univa al classico effetto “un altro livello e poi smetto” memore di parecchie notti passati a svuotare i dungeon di Divine Divinity, di fatto inaugurando quello che poi oggi è diventato il genere del looter shooter, reso popolarissimo da Destiny. Benché fosse ripetitivo, avesse un sistema di respawn davvero selvaggio e fondamentalmente non è che si facesse molto più del forare i nemici con un ferro gigante, il gameplay funzionava alla grande e andava solo ulteriormente limato per rimuovere certi scomodi spigoli.

L’altra componente che mi ha permesso di restare attaccato parecchio al franchise è la sua ambientazione, e collegati a essa tutti i personaggi che sono presenti su Pandora. Seppure Pandora non sia particolarmente originale nella sua parodia al post-apocalittico di Mad Max, né tanto variegata come palette di colori e paesaggi da ammirare, il folle cast che mi ha accompagnato nell’avventura è (quasi) memorabile, merito di un writing che non mi sarei aspettato di trovare in un titolo del genere. Ho riso alla pateticità di Scooter, avrei preso a schiaffi tutti i Claptrap della zona, la discesa nell’insanità di Patricia Tannis ha uno sviluppo fenomenale e non posso non volere bene a T.K. Baha. Insomma, l’universo immaginario del franchise sapeva farsi apprezzare. Mancava solo un cattivone indimenticabile.

Borderlands 2

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Non ho messo Salvador come immagine solo perché spara con due armi, giuro.

L’impatto con il sequel, di cui confidavo nello sviluppo, rese evidente il notevole miglioramento nelle meccaniche di base riprese dal precedente titolo. Le armi restituivano un feeling molto più aggressivo, gli scontri diventavano più serrati e la varietà di ambientazioni che si potevano esplorare era più marcata, permettendo al gioco di esibire un aumentato ventaglio di nemici a disposizione, molti dotati di meccaniche più singolari. Penso ad esempio all’autore delle mie linee di dialogo preferite, il Goliath, un armadio a cui possiamo far saltare l’elmetto con un colpo ben piazzato per aizzarlo contro i suoi stessi compagni, diventando via via sempre più forte e aggressivo. Tutto quello di buono che c’era nel Borderlands precedente era stato portato in forma smagliante nel seguito, migliorandolo con tante buone trovate.

Il miglioramento più evidente lo si poteva andare a vedere però nella trama e nello sviluppo degli eventi, che per quanto mi riguarda ha fatto salire il livello di Borderlands 2 da ottimo gioco a vero e proprio peso massimo. Jack il Bello infatti bucava lo schermo ogni volta che palesava la sua presenza e anche tutti gli altri personaggi, vecchi o nuovi che fossero, avevano uno svolgimento importante nella storia principale o in tutti quei rami extra che contornavano i dettagli di una Pandora in grande spolvero. Complessivamente un grande titolo, che naturalmente non poteva non essere seguito da un piccolo disastro.

Borderlands: The Pre-Sequel!

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Elpis è molto affascinante da vedere. Meno da vivere.

The Pre-Sequel!, oltre a essere grammaticalmente orribile da inserire in una frase, era il classico spin-off realizzato da un team diverso da quello originale (in questo caso i ragazzi di 2K Australia) in quanto Gearbox era impegnata a sviluppare il fallimentare Battleborn. Il risultato non fu troppo scoraggiante in realtà: il “more of the same” generalmente non lo disprezzo se vengono riproposte le stesse meccaniche vincenti, e in un certo senso qui sembrava così. The Pre-Sequel! non era brutto da giocare e i buoni momenti non mancavano, ma sembrava più un compitino svolto distrattamente che un tentativo reale di espandere le storie di Pandora, specialmente considerato che la maggior parte del materiale effettivamente di buona fattura era preso pari pari da Borderlands 2. Le poche introduzioni sviluppate appositamente per questo prequel non erano chissà quanto interessanti e i dialoghi a volte facevano davvero accapponare la pelle.

Tutto sommato, un titolo dimenticabile, dedicato solo ai fan più stretti. Forse serviva solo una mano da qualcun altro.

Tales from the Borderlands

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Borderlands secondo Telltale

Su Tales from the Borderlands vorrei avere tante cose da dire, ma la triste realtà dei fatti è che io, per quanto sia fan della saga, non l’ho ancora giocato. Per fini di completezza, ho preferito chiedere a Marco “Brom” Bortoluzzi una sua opinione su questo secondo spin-off.

Pur non prodotto dalla Gearbox, Tales from the Borderlands — probabilmente uno dei giochi più riusciti dell’ormai defunta Telltale — fu un tassello importante all’interno della storia dei Cacciatori della Cripta e di Pandora. Con un cast composto in larga parte da personaggi di nuova creazione, non mancavano in ogni caso i volti noti ai veterani della serie, come Zer0, Scooter e l’immancabile (purtroppo, direbbe qualcuno) Claptrap. E, ovviamente, Jack il Bello, forte del suo carisma che qui ritorna in un ruolo a metà fra il mentore e l’avversario. In questo melange di personaggi gestito sapientemente, l’avventura di Rhys e Fiona finirà per avere risvolti importanti sul futuro della serie di Borderlands: per dirne uno su tutti, il ritorno alla ribalta della casa di armi Atlas, avversaria principale del primo capitolo della saga. Consigliatissimo ovviamente a chi è fan della serie, ma anche a chi non è mai riuscito a farsi piacere il suo gameplay: l’ambientazione di Pandora non manca del potenziale per storie interessanti, e Tales from the Borderlands ne è la piena conferma.

Un titolo che ho da tempo nella lista da giocare, seppure non sia particolarmente amante dei Telltale.

All’alba dell’uscita di Borderlands 3, il quale peraltro apparentemente sta riscuotendo un caloroso successo, non posso fare a meno di notare che la saga ha saputo scavarsi una fetta davvero appassionata di giocatori, merito di una realizzazione di base stimolante e di un notevole supporto nel corso degli anni. Dal canto mio ricorderò sempre Borderlands 2 come il preferito in virtù delle sue notevoli qualità e dell’avere riempito tutte le caselle nella lista dei miglioramenti da apportare a un seguito. Spero di riuscire presto a recuperare l’ultimo capitolo (e Tales from the Borderlands), ma nel frattempo ci rivedremo presto qui su Frequenza Critica in fase di recensione, in attesa di poter tornare a sopravvivere su Pandora immersi nella follia.

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