Frequenza Critica racconta: The Chronicles of Riddick

Quando film e videogiochi vanno d’accordo.

Manuel "Odd" Berto
Frequenza Critica
9 min readAug 23, 2021

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Chronicles of Riddick: Assault on Dark Athena-Riddick-lame-blu-sfondo

In origine vi era Pitch Black. Un film di fantascienza onesto come ce n’erano tanti negli anni ’90 e nei primi anni 2000. Accennava giusto quello che serviva per far partire la storia, ed ecco che ci ritroviamo con questi variegati personaggi, superstiti di un atterraggio di fortuna su un pianeta che non è la prevista destinazione. Tra i passeggeri vi è un cacciatore di taglie intento a trasportare un prigioniero, tale Richard B. Riddick, verso il penitenziario di turno. Il suo crimine non è chiaro, ma le sue ferite guariscono troppo rapidamente e riesce a vedere al buio, per cui qualcosa di strano in questo tizio c’è. Non c’è tempo per stare troppo a raccontarsela, bisogna trovare un modo per ripartire e a complicare le cose c’è l’aggressiva fauna del pianeta, che di notte dà il suo peggio.

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Scrutando l’oscurità.

L’inatteso successo porta al tentativo di costruire un intero brand attorno al personaggio di Riddick, sempre interpretato da un Vin Diesel che nel ruolo ci sta alla perfezione. Il secondo film alza l’asticella in ogni aspetto. Più grande, più spettacolare e con l’introduzione di vibrazioni dark fantasy grazie all’inquietante esercito-culto dei Necromonger. L’universo in questione si basa su 2 pilastri fondamentali: da un lato abbiamo una fantascienza abbastanza tradizionale, basata sulla tecnologia e in cui l’ordine pubblico è gestito da cacciatori di taglie moralmente discutibili tanto quanto i fuggitivi a cui danno la caccia. Fin qui, è qualcosa che potrebbe coesistere in tanti altri universi hard sci-fi, da Alien a Dead Space.

Dall’altro lato però ci sono signori della guerra spaziali dalle smodate ambizioni intenti a cercare maggiore potere, sia questo proveniente dalla sottomissione di altre culture o da capacità superumane dalle non chiare origini. Qui le cose si fanno più strane, difficili da circoscrivere. Ci sono persone che riescono a “sentire” il pericolo senza oggettivi indizi, altre che possono diventare aria, l’antagonista principale che assorbe le anime altrui; la stessa tecnologia dell’esercito Necromonger è mossa da principi tutti suoi. In tutto questo Riddick è un ricercato molto ambito, forse per misfatti commessi in passato, ma certamente anche per le sue origini furyane. Cosa abbia di speciale il pianeta Furya viene lasciato vago, ma a giudicare dai talenti di Riddick e dalla sua efficacia in battaglia possiamo intuire che sia un luogo florido di potenti guerrieri. Questo se volessero combattere. Il nostro protagonista è infatti un combattente tanto capace quanto riluttante, distaccato, vorrebbe solo essere lasciato in pace, ma purtroppo viene continuamente coinvolto nei conflitti di qualcun altro. Le 2 anime del film non sempre si amalgamano bene, ma questo non gli ha impedito di tramutarsi in un classico, un titolo che in un modo o nell’altro, prima o poi senti almeno nominare.

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La corsa contro la rotazione del pianeta è uno dei momenti più iconici di CoR

Senza spoilerare oltre, il successo del secondo capitolo è grande, tanto da portare, sempre nel 2004, a un film d’animazione, The Chronicles of Riddick: Dark Fury, che si colloca tra i primi 2. Lo stile disegnato permette di spaziare ancora di più con la componente fantasy, arricchendo anche il bestiario di questo ampio universo.

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Complice lo stile grafico, Dark Fury propone movenze più acrobatiche.

Segue un periodo di silenzio, fino ad arrivare nel 2013 all’ultimo capitolo della saga, chiamato semplicemente Riddick. Un film che tenta di mischiare i tratti iconici dei primi 2, sbilanciandosi però verso la fantascienza ben piantata a terra. Si torna a parlare di mercenari, di pianeti dalla fauna poco amichevole, di una “piccola” situazione di fuga anziché alzare la posta in gioco sino al destino della galassia. L’idea di sgonfiare un po’ l’atmosfera e consolidare il materiale già presente è riuscita e per alcuni versi anche coraggiosa e di controtendenza, però il film finisce per assomigliare tanto al Pitch Black originale e la reazione del pubblico è perlopiù tiepida.

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Va detto, in questo universo si fa fatica a trovare alberi.

Questo porta a una lunga pausa e, sebbene un sequel risulti in lavorazione, ad oggi non abbiamo nemmeno un teaser al riguardo. Staremo a vedere.

Ma intanto possiamo parlare di videogiochi: tra i progetti collaterali generati da questo universo vi sono infatti 2 opere videoludiche, che si allontanano parecchio dalle 2 anime della saga. Starbreeze Studios, assieme a Tigon Studios — team fondato da Vin Diesel stesso con il proposito di creare giochi di spessore basati sui suoi film — fanno qualcosa di raro: partendo da una linea di dialogo del secondo film, immaginano nel 2004 il penitenziario più famoso e temuto della galassia. Un luogo da cui, naturalmente, dovremo evadere. Esce così, su PC e Xbox, Chronicles of Riddick: Escape from Butcher Bay. Cosa rende questo gioco così speciale? Beh, è una tempesta perfetta di molti ingredienti che si intersecano benissimo. È un buon gioco stealth. Ha buoni innesti adventure e first person shooter. Ha un’ottima e riconoscibile atmosfera sci-fi. È un ottimo gioco su licenza che non la usa solo per appoggiarsi, ma la espande. EfBB è una origin story che non è stata raccontata al cinema, e gli sviluppatori hanno preso questa missione a cuore.

Parliamo per esempio delle prime 2 ore. Dopo un semplice tutorial ben mascherato da dinamica sequenza giocabile, l’inizio vero e proprio è di grande atmosfera. Siamo in compagnia di Johns, il mercenario del primo film, che ci deposita con successo all’ingresso del penitenziario per poi discutere della taglia con il direttore.

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Cambia poco, ma a volte potete scegliere come portare il messaggio.

Scorrono i titoli di testa e mentre veniamo portati in cella, cancello dopo cancello, abbiamo il tempo di osservare l’ambientazione: un enorme edificio metallico in un pianeta inospitale, dove non ci sono natura e colori, solo polvere e acciaio. Riusciamo già a carpire i primi dettagli utili e intuire chi sono i VIP di questa struttura. Non ultimo, sembra che le armi rispondano solo a chi è registrato nel database, reagendo ai non autorizzati con una spiacevole scossa. Se è vero che Riddick può facilmente battere anche 3 o più avversari in rissa, questo dettaglio tecnologico gioca a sfavore ed è quindi necessario un piano più sottile. Si gioca la prima ora in quella che è a tutti gli effetti una piccola area aperta, interagendo con alcuni detenuti, litigando con altri, ottenendo magari un’arma comoda da nascondere o sigarette, che fungono da collezionabile. Il microcosmo che si viene a creare è credibile, le personalità sono variegate e restituiscono bene l’illusione di un mondo che esisteva già da prima del passaggio del protagonista e che continuerà a esistere anche dopo.

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Nelle situazioni di calma i detenuti badano alle loro routine.

Man mano che muoviamo i primi passi in questo mondo emerge un dettaglio: i movimenti sono pesanti. Non siamo una telecamera fluttuante, c’è un corpo sotto di noi e i movimenti vengono correttamente simulati; la telecamera oscilla leggermente in fase di camminata, guardando in basso mentre vi girate sul posto scoprirete l’animazione che muove prima il collo, il busto e poi le gambe, senza scorciatoie. Per non parlare degli scontri all’arma bianca, dove dare e accusare colpi fa ondeggiare la telecamera interferendo con la nostra visuale. Sarà anche un mondo fantascientifico, ma tutto vuole avere un senso diegetico, credibile, crudo. Negli anni, molti giochi hanno scelto di sacrificare un po’ di rapidità ludica in cambio di un credibile body feedback, ma al tempo era qualcosa di fresco, insolito per un gioco in prima persona.

Dopo qualche favore e un paio di litigate, all’improvviso, un’opportunità: veniamo a sapere che attraverso l’infermeria c’è un passaggio per il famigerato database in cui le guardie si registrano. Il gioco si rimodella attorno a una struttura stealth ed è qui che troviamo ulteriore conferma della sua natura di prequel: il nostro fuggitivo non ha ancora i suoi caratteristici occhi luminosi. Possiamo e dobbiamo già trarre vantaggio dal buio, ma non abbiamo ancora la marcia in più che lo renderebbe il nostro ambiente naturale. È interessante notare che gli occhi sono un potere tanto quanto un malus, in quanto questi amplificano sempre la luce a disposizione. Il che significa che quando non sono “in uso” Riddick ha bisogno di indossare lenti oscurate o verrebbe accecato dalla prima torcia puntata. Dopo una sequenza in cui prendere confidenza con le dinamiche stealth, tra arrampicate, condotti e avversari sorpresi da dietro, arriviamo al famigerato database e voilà, un piccolo hack e il nostro protagonista può imbracciare le armi. Il gioco muta forma di nuovo e subentra la sua anima FPS.

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L’HUD è minimale, ma le armi dicono quasi sempre quanti colpi sono rimasti.

Si scatena una rivolta nel penitenziario e ciò offre l’opportunità per una rumorosa fuga. Tuttavia, il piano non va esattamente come previsto e ci ritroviamo in un sotterraneo, guarda caso popolato da creature che fuggono dalla luce. Una parentesi horror che fa l’occhiolino a Pitch Black? Certo.

La consistenza con cui Escape from Butcher Bay cambia mood è il tratto distintivo del gioco che lo rende speciale sia da lato narrativo che da lato gameplay. Andando a braccetto con il grande schermo, vuole proporsi come esperienza sia videoludica che cinematografica, e la commistione funziona egregiamente. La dominanza è quella di uno stealth game, ma la regia ci farà esplorare, aiutare i compagni di detenzione, partecipare a un fight club, sparare, pilotare un mech. Man mano che la vicenda prosegue esploreremo le profondità di Butcher Bay e le varie sezioni di sicurezza, dalle miniere alle celle di stasi, carpendo informazioni su questo mondo fantasy sci-fi sia attraverso la storia principale, sia attraverso quest secondarie che ci possono venire richieste dai nostri coinquilini. Ovviamente si parlerà anche degli occhi luminosi, ma non voglio spoilerare un tratto così distintivo del personaggio. Dovete però sapere che tutte le luci non protette sono distruttibili e che quindi sì, da un certo punto in poi romperle può diventare una strategia.

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Il viola e l’aberrazione visiva indica che stiamo usando gli occhi.

Malgrado le adrenaliniche sortite armi in mano infatti, il mondo di gioco non ci fa mai dimenticare dei suoi personaggi, atletici, addestrati, ma sempre battibili. Un paio di fucilate possono abbattere in un attimo e non ci sono né la rigenerazione automatica, né i medikit. L’energia va recuperata in punti fissi attraverso appositi pannelli esauribili (ma ricaricabili, a patto di trovare i necessari nanomed) e le munizioni non piovono dal cielo.

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Non proprio un villaggio vacanze estivo.

Nel 2009 fa capolino una versione rimasterizzata arricchita di un’espansione, Assault on Dark Athena, stavolta disponibile su ps3, Xbox360 e PC (le edizioni digitali su Steam e GOG sono state disponibili solo per un certo periodo, tuttavia).

Non siamo in fuga, bensì stiamo attaccando. Il giallo desertico lascia spazio a viola/blu scuri, l’atmosfera industrial sci-fi del penitenziario cede spazio all’enorme astronave di una conquistatrice spaziale, tale Revas. Di nuovo, Riddick è coinvolto in una diaspora che non gli appartiene. Qui siamo più vicini all’anima del secondo film e il gameplay si aggiusta di conseguenza, con uno sbilanciamento verso i combattimenti, ma senza mai diventare un FPS ipercinetico. Il nostro fuggitivo spaziale preferisce sempre agire nell’ombra, e per l’occasione sfoggia l’iconica coppia di lame curve viste sul grande schermo.

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La tipica boss fight qui corrisponde solitamente a un uno contro uno.

Queste saranno le nostre principali compagne nell’esplorazione della Dark Athena, che funzionerà come un hub, similmente alle aree sociali di Butcher Bay. Anche qui ci sono personaggi non immediatamente ostili, anche qui non si corre come treni verso l’obiettivo, ma è sempre necessario capire l’ambientazione prima di fare la mossa. Tutto è presto familiare e muoversi tra i detriti di Aguerra Prime e nell’enorme astronave sarà immediato. Ci sono però delle sorprese: tra droni-zombi con le armi montate sugli arti (e quindi, anche stavolta non sono direttamente rubabili), passeggiate spaziali a bordo di mech e scontri contro colossi alti 3 metri, il mondo al di fuori di Butcher Bay si rivela vasto, familiare eppure mutevole.

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Aguerra Prime ci accoglie imponente con il suo cielo rosso.

I giochi su licenza sono sempre difficili da trattare, chi è entrato nel mondo dei videogiochi partendo da quello del cinema e dei fumetti lo sa bene. Diversi linguaggi, diverso scopo, diverso percorso di progettazione e sviluppo. Starbreeze e Tigon Studios sono però riusciti nell’impresa di non solo omaggiare il materiale sorgente, ma anche di integrarlo con 2 giochi che lo comprendono, lo arricchiscono e che brillano di luce propria.

Speriamo che questo universo non resti incompiuto. Le intenzioni di proseguirlo sembrerebbero esserci.

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