Hades, ovvero come fuggire dagli Inferi con stile

“Qui è il luogo delle Ombre, del sonno, della notte che addormenta.”

Marco "Brom" Bortoluzzi
Frequenza Critica
6 min readFeb 17, 2020

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Hades-copertina

[Nota: questa recensione si basa su un titolo attualmente in Early Access, ovvero su una versione non ancora considerata finale e completa di contenuto.]

Provate a chiedere a un fan dei Supergiant Games cosa rende speciali i loro giochi. Molto probabilmente vi risponderà parlandovi del loro incredibile lavoro nel creare un’atmosfera fantastica, o del distintivo stile grafico, o delle storie magiche e commoventi che raccontano e dei personaggi che le vivono, o della loro musica, o anche solo della voce del narratore. Pochi vi parleranno del gameplay, che invece è il punto più debole del loro titolo di debutto — Bastion — e che pure nei titoli successivi, sebbene meglio rifinito, non è certo all’incredibile livello degli altri elementi.

Proprio per questo motivo, quando un anno fa i Supergiant hanno annunciato di essere al lavoro su un roguelike — Hades, appunto — sono rimasto un po’ perplesso. L’elemento fondante di questo genere è la ripetizione del contenuto, e per evitare che questo venga a noia rapidamente sono indispensabili solidità e varietà del gameplay. Pensate a titoli di successo come Dead Cells o Risk of Rain, che offrono numerosissime possibilità di modificare il nostro approccio agli ostacoli, e capirete che il passaggio da un gioco come Transistor a un roguelike action come vuole essere Hades non è affatto immediato. Ma i Supergiant Games non sono certo i primi arrivati.

Hades combattimento sul Flegetonte
Se vi state chiedendo perché nell’antica Grecia c’è un mitragliatore pesante, avete sbagliato domanda.

Come suggerisce il titolo, Hades è ambientato nella mitologia greca. Il protagonista, Zagreus, è nientepopodimeno che il figlio di Ade, re degli inferi, ed è amato e rispettato da tutti i residenti. Ma Zagreus non ama la prigione dorata dove si trova a vivere con gli altri pittoreschi abitanti del reame dei morti, e anzi ha un proposito molto chiaro in mente: andarsene. Fermamente contrario a questo ragazzata, suo padre pensa bene di far tornare sulla retta via quella testa calda del suo figliolo, scatenandogli contro le schiere degli inferi. Il nostro protagonista non avrà quindi altra scelta se non quella di farsi strada combattendo. Ed è proprio di questo elemento che voglio parlare per primo: perché rispetto a ciò che si vedeva in Transistor o in Bastion — Pyre è un caso a sé — il combattimento di Hades è fluido, rapido, ricco di elementi da considerare e di varietà di approccio. È un sorprendente passo in avanti e ci ha messo davvero poco a catturarmi. I video di gameplay, purtroppo, non gli rendono giustizia e anzi sono stati proprio questi ultimi a farmi esitare, perché ci vedevo quella stessa legnosità caratteristica di Bastion e di Transistor.

Per un roguelike non è però sufficiente un gameplay solido, ma serve anche una buona varietà. Quella di Hades non è data tanto dagli ambienti (casuali nell’ordine, ma non nella loro struttura) o dai nemici; da questo punto di vista il gioco non eccelle. La varietà è invece data dalle armi (cinque attualmente disponibili, con una sesta in arrivo), ciascuna con quattro aspetti diversi che ne modificano alcune funzioni, e dai doni concessi a Zagreus dagli dèi dell’Olimpo. Sì, perché se il severo padre del protagonista è assolutamente contrario al suo proposito di abbandonare il regno degli inferi, i suoi parenti più altolocati invece sono entusiasti dell’idea, e faranno il possibile per aiutarlo nell’impresa.

Hades Dioniso un pochino perturbato
Occhio, però: gli dèi dell’Olimpo sono permalosi, e preferirne uno a un altro avrà la sua conseguenza.

Ogni divinità ha ovviamente il suo campo di specializzazione: quello di Zeus sono i fulmini che cadono dal cielo, quello di Artemide i colpi critici, quello di Dioniso i danni al fegato causati dall’eccessivo consumo di alcolici e così via. Alcuni di questi doni ci permettono anche di cambiare il nostro approccio al gioco. Schiantare i nemici contro i muri o gli elementi fissi dello scenario infliggerà loro danni aggiuntivi, ma generalmente nel corso di una partita lo vedremo più come un bonus occasionale che non qualcosa da cercare attivamente. Ecco però intervenire Poseidone, il dio del mare: gran parte dei suoi doni sono incentrati sullo spingere lontano da noi i nemici, ed uno in particolare triplica il danno che i nemici ricevono quando sbattono contro un muro. Aggiungeteci il dono leggendario che applica una seconda volta tutti gli effetti di respingimento, e capite che ben presto la nostra diventerà una partita a flipper.

In teoria, riuscire a fuggire dall’Ade non richiede molto tempo: in meno di un’ora dovreste essere in grado di completare tutti e quattro i livelli (Tartaro, Asfodelo, Campi Elisi e Tempio Stigeo) e sconfiggere i rispettivi boss. Ma riuscire in questa impresa non è ovviamente facile; anzi, morire e dover ripetere il percorso già affrontato è parte del gioco. Per rendere meno ardui i tentativi successivi, Hades prevede anche una crescita permanente del personaggio: spendendo Oscurità potremo infatti potenziare varie caratteristiche di Zagreus, come ad esempio aumentare la sua salute iniziale, partire con più soldi in tasca e pure sbloccare vite aggiuntive. E fidatevi, vi torneranno un sacco utili.

Hades Caronte canaglia capitalista
Anche Caronte, il traghettatore infernale, ci offrirà il suo aiuto… dietro giusto compenso, ovviamente.

Ma Hades non è solo combattimenti. Anzi, a differenza della maggior parte dei roguelike — in cui la storia è generalmente abbastanza scarna, magari relegata a pochi dialoghi e alle descrizioni degli oggetti — in Hades c’è abbondanza di storia da svelare e personaggi da scoprire. Sono molte le figure della mitologia greca che costellano le sale del reame infernale, infatti, e ciascuna di loro ha qualcosa da raccontare: scopriremo perché Euridice e Orfeo sono diventati sempre più distanti, quanto la lontananza fra Patroclo e Achille tormenti entrambi, arriveremo a conoscere meglio Sisifo, Nyx, Megara la Furia, Thanatos il tetro mietitore, Dusa la gorgone che ha messo la testa a posto e, giusto per chiudere la lista, Skelly, lo scheletro dal passato misterioso che è stato incaricato di fare da punching ball per Zagreus.

Per qualcuno come me, che ha giocato un buon numero di roguelike (o -lite; la differenza non è così importante), è davvero sorprendente trovarsi davanti ad un esponente del genere che ponga così tanta attenzione agli aspetti narrativi. Non che altri non abbiano ambientazioni interessanti: quella del primo Risk of Rain, ad esempio, era a malapena accennata, ma riusciva comunque ad essere intrigante. Hades, però, è proprio su un livello a parte: la quantità di dialoghi, tra l’altro tutti doppiati, è notevole tanto quanto la cura posta nella caratterizzazione — anche a livello visivo — di ogni singolo personaggio. E trattandosi di Supergiant Games, pure la qualità della scrittura è al di sopra della media. Trattandosi di un gioco in via di sviluppo, è importante però tenere a mente che per ora la storia è ancora incompleta: una volta superato l’ultimo boss, infatti, la voce narrante ci dirà “per ora però facciamo finta che Zagreus sia stato scassato di botte”, e ci ritroveremo ancora una volta ad uscire dalla pozza dello Stige che abbiamo ben imparato a conoscere.

Hades modificatori per chi si vuole male
Sconfitto il boss finale, sbloccheremo nuovi modificatori. Giusto per aggiungere un po’ di pepe alla nostra fuga!

In conclusione, anche in questo stato non completo, Hades è un gioco eccezionale. Non sento di esagerare, usando questo termine: più ci penso e più sono convinto che ci siano pochi giochi nel genere che possono anche solo sperare di avvicinarglisi. L’unico difetto che riesco a trovargli, e devo proprio sforzarmi, è la già accennata non eccelsa varietà di nemici e ambienti; ma si tratta di un problema molto minore, più che ben compensato da tutto il resto — il gameplay solidissimo, l’ottima scrittura, l’eccellente design dei personaggi e del mondo di gioco. E poi c’è Ashley Barrett che canta, quindi meno che un capolavoro non può essere.

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