Il ritorno di Sakura Wars

I ciliegi tornano a fiorire sulle vostre PS4 ma non è tutto... rose e fiori.

Stefano Lucchi
Frequenza Critica
6 min readMay 20, 2020

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Il buon Ioannis avrebbe voluto recensire questo gioco, ma dato che serve pur sempre una PS4 per recensire un gioco PS4 mi prendo l’onere di recensirlo in vece sua e se non siete pratici della serie di Sakura Wars, le cui origini risalgono addirittura ai tempi del Sega Saturn, vi mando a fare i compiti segnalandovi il suo pezzo con l’approfondimento sul primo capitolo della serie.

La serie di Sakura Wars conta già la bellezza di cinque titoli ma è poco nota qua in Italia perché i vari capitoli della serie sono rimasti confinati al solo suolo nipponico, con la sola eccezione del finora ultimo capitolo sottotitolato So Long, My Love, che uscì su Wii floppando di brutto e ponendo un arresto alla serie che è perdurato la bellezza di dieci anni (e se andassimo a vedere la release originale giapponese per PS2 diventerebbero pure quindici). Dopo questo periodo di stasi piuttosto lungo, Sega ha deciso di rilanciare il brand “snellendolo” nel gameplay nel tentativo di portare il franchise al successo anche in occidente. Vediamo com’è andata.

Innanzitutto introduciamo il setting di gioco: il mondo di Sakura Wars è un mondo Steampunk ambientato (in questo episodio) in un 1940 alternativo e tecnologicamente piuttosto avanzato, soprattutto per quel che riguarda i macchinari; in quest’epoca a metà tra presente e passato, delle forze demoniache generate dall’oscurità latente nelle persone minacciano la pace mondiale; l’ultima linea di difesa è rappresentata dalle Forze D’Assalto, e il giocatore si trova a seguire le vicende della sua filiale giapponese, denominata Flower Division. La Flower Division opera quindi in due settori: da una parte i combattimenti veri e propri, con un collettivo di persone che salgono a bordo di mezzi simili a classici mech e con cui vengono combattuti i demoni, e dall’altra l’attività “formale”, che è quello di compagnia teatrale con cui il cast di protagonisti cerca di portare la positività tra la gente per limitare la generazione dei demoni… e magari contemporaneamente guadagnare qualche soldo per mandare avanti la costosa attività.

Il giocatore prende il controllo di Seijuro Kamiyama, ex comandante navale, quando questi arriva al teatro della Flower Division per assumere il suo nuovo incarico di capitano del gruppo. Qua rincontrerà la sua amica di infanzia Sakura Amamiya e scoprirà che la situazione della divisione è abbastanza disperata, dato che gli spettacoli sono un flop dietro l’altro, i mezzi da combattimento sono malmessi perché non ci sono i soldi per ripararli, il teatro stesso ha visto sicuramente giorni migliori e l’intera divisione è ad un passo dalla chiusura.

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Lo spilungone lì in mezzo siete voi, le cinque bellissime combattenti/attrici nonché potenziali fidanzate sono, da destra a sinistra: Anastasia, Hatsuho, Sakura, Azami e Claris.

Sakura Wars è l’unione di due anime molto diverse: da una parte ci sono i combattimenti disputati direttamente dal giocatore e dall’altra ci sono le sezioni in stile dating sim, in cui bisogna cercare di affinare i rapporti con il cast di protagoniste presenti nel gioco; questa seconda parte è in realtà quella predominante e passerete la maggior parte del vostro tempo a esplorare l’area di gioco e a dialogare con i vari personaggi nel tentativo di migliorare i vostri rapporti.

Come nei predecessori e anche in quel primo capitolo già approfondito da Ioannis, anche qui fa il suo ritorno il LIPS System: si tratta di un sistema per cui i personaggi tendono a reagire in maniera differente alle risposte che vengono date durante i dialoghi a scelta multipla (in maniera simile ma più funzionale di quanto visto nei titoli TellTale) e in cui è pure possibile regolare l’intensità della nostra risposta, scelta che a sua volta causa reazioni via via diverse e va a migliorare o peggiorare i rapporti con i personaggi coinvolti. Avere buoni rapporti con il resto della truppa è importante non solo nell’ottica delle romance e dei relativi finali inclusi nel gioco, ma anche e soprattutto perché permette di ottenere bonus in battaglia come ad esempio la possibilità di effettuare attacchi combinati.

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Esempio di LIPS System, a seconda di quanto si riempie l’interfaccia regolando il livello con lo stick analogico si decide l’intensità del pensiero espresso.

È il campo di battaglia, però, quello che riserva le principali sorprese, perché a differenza che in passato lo schema di gioco è stato abbastanza stravolto e, per venire incontro ai gusti del pubblico occidentale (almeno secondo Sega), lo storico sistema di combattimento a turni è stato accantonato in favore di un sistema di combattimento totalmente action in cui si affrontano ondate di nemici all’interno di aree praticamente spoglie.

Il giocatore ad ogni combattimento ha a disposizione il capitano Seijuro e una delle ragazze come compagno d’armi imposta dalle esigenze di trama (solamente in un paio di occasioni è possibile scegliere) e c’è la possibilità di passare al volo da un personaggio all’altro con la pressione di un tasto; “performare” bene in battaglia incrementerà il morale e la resa in combattimento degli alleati ma in soldoni al giocatore non sarà richiesto molto più che premere i pulsanti furiosamente, tanto più che il gioco non ha alcuna pretesa tattico-strategica, né un sistema di combattimento particolarmente strutturato e il livello di difficoltà generale è pure stato tarato verso il basso. Attaccare i nemici prevede il drop di cristalli che caricano la barra della mossa speciale ed è consigliabile riservarsi quest’ultima per i boss, perché ci vogliono un sacco di cristalli per riempire la barra e anche perché il quantitativo di punti vita dei boss è scriteriatamente alto, anche se c’è da dire che solitamente non sono mai villain realmente ostici ma solo nemici con molti più punti vita della media.

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Al di fuori delle fasi d’azione e delle sequenze di dialogo ed esplorazione, è possibile combattere scontri opzionali tramite le prove al simulatore o spezzare la monotonia con le partite di Koi-Koi, un gioco di carte tradizionale giapponese; quest’ultimo, nel caso non ne conosceste le regole, ha un tutorial introduttivo e per giocare basta semplicemente imparare le combinazioni di carte che danno punti, risultando anche piuttosto “addictive”.

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Il Koi-Koi, ovvero il gioco con le carte Hanafuda, quelle a cui Nintendo si è dedicata per i suoi primi... settant’anni di vita o giù di lì.

Volendo soppesare ulteriori pregi e difetti bisogna mettere in chiaro che Sakura Wars è un gioco che di sicuro richiede una certa predisposizione ai titoli giapponesi, già solo per il fatto che c’è tanto testo da leggere e che anche la trama ci mette del suo nello svilupparsi nella maniera più prevedibile possibile; dal punto di vista tecnico, invece, si distinguono sia le musiche, molto buone, sia lo stile grafico, caratterizzato da una palette cromatica vivace e sostenuto soprattutto dal buon character design di Tite Kubo, autore del manga/anime di Bleach, che rimpiazza quello storico di Kosuke Fujishima (oltre che mangaka di successo di titoli come Oh! Mia Dea e Sei in Arresto! è anche il character designer della serie Tales of di Bandai Namco). Kubo venne contattato fin dalle primissime fasi di sviluppo del gioco per la sua capacità di ritrarre i costumi tradizionali giapponesi ed effettivamente su personaggi come Sakura la continuità con il design storico della serie è evidente, ma in altri casi il suo stile personale viene fuori in maniera più prepotente, creando risultati alquanto bizzarri, tipo che Hatsuho sembra presa di peso per l’appunto dal sopracitato Bleach, o che personaggi come Claris e Anastasia, dal momento che hanno origini europee, tendono a distanziarsi parecchio dal design del resto del cast.

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Sumire Kanzaki, come la immaginò da giovane combattente Kosuke Fujishima ai tempi del primo capitolo (a sinistra) e come l’ha reintepretata da adulta nel presente Tite Kubo (a destra).

In definitiva siamo di fronte ad un titolo non eccelso ma gradevole, che può far felice una certa nicchia di utenza ma che allo stesso tempo fallisce nel suo tentativo di espanderla; non fa veramente nulla di sbagliato, motivo per cui se pensate di rientrare in quella fetta di amanti dei giochi giapponesi lo consiglio senza troppe riserve — a me è piaciuto, per inciso — , ma non eccelle neanche in nulla, finendo per confinare questo soft reboot alla solita schiera di appassionati, rischiando così di porre un nuovo stop alla serie.

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