Intervista a… Nathan Piperno

Made in Italy tra bucatini e game design.

Mattia “Harlequin” Mangano
Frequenza Critica
10 min readSep 2, 2020

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Nathan Piperno sul logo di Frequenza Critica

Nathan, come tanti di noi, s’è fatto le ossa in quelle piazze di discussione virtuale ormai quasi estinte, ovvero i cari vecchi forum. Ma dopo gli innumerevoli dibatti su quale sia il migliore tra Bioshock e Crysis ha deciso di fare il grande passo, quello che gli altri osavano a malapena sognare: fondare una casa di sviluppo. E con due giochi all'attivo, entrambi sbarcati su Steam con recensioni positive, non si può che fare le nostre congratulazioni a Inner Void Interactive!

Ciao Nathan! Prima di tutto, le cose importanti: carbonara, amatriciana o gricia?

Questa è una domanda veramente difficile, ma opterò per la carbonara e motiverò anche la mia scelta: nonostante i pochi ingredienti richiede una certa tecnica per essere fatta bene, quindi da romano potrai sempre e comunque andare a infastidire il resto del mondo su come non la facciano correttamente. È sempre bello fare gli antipatici.

Ok, ora una ancora più difficile: cosa vuole offrire Inner Void attraverso i suoi giochi?

Forse ti direi che non lo sappiamo neanche noi, considerando la varietà dei prodotti su cui abbiamo lavorato, che siano stati portati a termine o meno. La realtà è che, pur avendo sogni e fissazioni, poi uno deve fare i conti con il budget che ha a disposizione. Detto questo, ti direi che negli ultimi tempi ci siamo molto concentrati sui giochi sistemici, c’è un certo fascino nel pensare di creare un sistema complesso e ricco di interazioni. I videogiochi, al contrario degli altri media, hanno questa enorme componente interattiva che viene, in un certo senso, sprecata se si creano quelli che sono fondamentalmente dei film interattivi, o anche quando si creano gameplay e narrazione come due componenti completamente staccate.

Questo non significa che solo i videogiochi sistemici siano degni di rispetto, ma secondo me è in quella direzione che ci si continuerà a muovere, facendo evolvere la narrativa videoludica secondo canoni propri, abbandonando quelli scopiazzati da film, libri o fumetti.

Un buon piatto in Chef
Chef, un gestionale dedicato al mondo della cucina.

I videogiochi si stanno sempre più espandendo al di là del puro intrattenimento. Come pensi si evolverà il medium? Dovrebbe restare comunque ancorato alle sue origini e conservare un’anima ludica, o ha senso abbandonarla completamente in certi casi?

Dipende cosa si intende per anima ludica. Se interpretiamo la parola letteralmente, penso che non ci sia bisogno di componenti ludiche in un videogioco, l’importante è che ci siano componenti narrative. Se ci pensiamo, già tutta la questione delle scelte e delle conseguenze nei videogiochi di ruolo ha spesso poco di ludico: il giocatore sceglie tra varie opzioni, ma non ci sono veramente componenti ludiche, se escludiamo l’occasionale controllo sulle statistiche numeriche del personaggio.

I videogiochi sono nati come giochi interattivi, ma si sono chiaramente evoluti per diventare qualcosa di diverso: esperienze interattive. Tutti i vari generi dovrebbero continuare a esistere in futuro, ma mi auguro che si inizi sempre di più a pensare al prodotto finale come a un’esperienza, piuttosto che a una serie di meccaniche ludiche messe insieme tanto per soddisfare il pubblico.

Qualcuno parla di come la Ubisoft con i suoi giochi abbia pesantemente influenzato il concetto di open world, se ci pensiamo è drammaticamente vero: in quasi tutti i giochi free roaming ci sono punti interrogativi sulla mappa che contengono cose poco interessanti, loot inutile come materiali per il crafting o collectibles, torri sulle quali salire, accampamenti pieni di nemici da eliminare… eppure i giochi che hanno sfruttato le vere potenzialità degli spazi aperti si contano sulle dita di una mano. Sono pochi i giochi a dare ampio spazio a un’esplorazione non guidata, quasi mai vediamo questo mondo evolvere dinamicamente, raramente c’è del gameplay che sfrutti veramente gli ampi spazi.

In alcuni casi, quindi, c’è veramente bisogno che la si smetta di inseguire le ricerche di mercato o l’inserimento a tutti costi di meccaniche tipiche del genere, ma che ci si concentri sull’esperienza finale che si vuole creare.

Quant’è dura farsi strada in questo campo in Italia?

È veramente difficile e lo è per vari motivi. Tanto per cominciare, fare imprenditoria in Italia è complicato per tutta quella miriade di motivi che conosciamo bene: burocrazia, tasse, scarsa accessibilità ai finanziamenti, quasi totale mancanza di una cultura imprenditoriale moderna. A questo bisogna sommare problemi quali la mancanza di professionisti adeguati, derivata direttamente dalla mancanza di una formazione adeguata, che dipende dal fatto che l’industria praticamente non esiste in Italia. Non penso sia un caso che in tantissimi altri paesi ci siano enormi incentivi economici destinati all’industria: senza adeguati fondi è difficile per le aziende fare soldi e quindi pagare adeguatamente tutti i professionisti che ne fanno parte. Perché mai un programmatore dovrebbe accettare di prendere la metà, se non addirittura un terzo, per lavorare in ambito videoludico quando lo sviluppo di applicativi per altre aziende rende così tanto?

Esplorando Assassin’s Creed Odyssey
“La Ubisoft con i suoi giochi ha pesantemente influenzato il concetto di open world, se ci pensiamo è drammaticamente vero.”

Un gioco recente che ti ha fatto pensare “cavoli, avrei voluto svilupparlo io!”?

Ce ne sono fin troppi! Provo un particolare fascino per i giochi sistemici ben eseguiti o per quelli con un gameplay estremamente semplice e pulito. Però se devo pensare ad un singolo prodotto in particolare, facciamo finta che io non abbia detto niente sul gameplay e parliamo di Disco Elysium. Non penso di esagerare nel definirlo un capolavoro, qualcosa di incredibilmente fresco e unico, un’opera d’arte che merita veramente rispetto. E questo nonostante l’assenza di un grande gameplay o di strutture ludiche moderne.

Lo sappiamo, le persone adorano improvvisarsi aitanti critici e designer nelle discussioni in rete. Ora che sei dall’altro lato della barricata, qual è la cosa secondo te più sottovalutata o incompresa dagli utenti valutando un videogioco?

In primis direi budget e tempo. Ogni scelta ha un costo preciso in termini economici e temporali, ogni modifica aggiunge costi e giorni aggiuntivi di sviluppo, tanto più è complesso un gioco e tanto più la minima modifica può andare a costare. Sono in molti a sottovalutare questo aspetto.

Secondariamente direi, con molti pochi peli sulla lingua, che tanta gente non ci capisce un cazzo, ed è normalissimo. Avere un gioco in vendita su Steam significa ricevere un numero infinito di suggerimenti e richieste, ma nel 99% dei casi si tratta di cose inapplicabili. E non sono inapplicabili per motivi economici o pratici, lo sono perché renderebbero il gioco un’esperienza peggiore. Ovviamente ci sono le dovute eccezioni, ma quasi sempre gli utenti non hanno gli strumenti non solo per identificare la fonte del problema, ma anche per proporre una soluzione. Ed è giusto così, non sono professionisti, è compito nostro prendere feedback e suggerimenti per capire quali sono le vere esigenze e necessità che si celano dietro alle esigenze dei giocatori. Pur tenendo a mente, però, che l’esperienza perfetta che piace a tutti non esiste.

E la critica professionista invece? L’hai rivalutata da quando sei un game designer? In cosa dovrebbe migliorarsi?

Se devo essere onesto non l’ho rivalutata, ma penso sia normale. Preferirei ci fossero più siti o canali con una propria identità critica condivisa tra tutti i recensori e articolisti, ma in generale parlare di videogiochi è parlare di qualcosa di estremamente soggettivo. In generale mi piace seguire le singole persone quando devo leggere pareri sul singolo prodotto.

Poi, non lo dico per leccare il culo, ma mi piace quello che state facendo con Frequenza Critica, mi sembra avere un’identità molto più precisa di altre realtà dove semplicemente raccolgono recensori e articolisti in base ai loro gusti. Questo secondo me è importante, soprattutto visto che avete anche aperto un canale Youtube.

Sul lato miglioramenti sinceramente non ho molto da proporre se non l’informarsi di più sui processi di produzione e sulle pratiche di game design, anche solo seguendo canali come Game Maker’s Toolkit. Penso sia un ottimo modo per ampliare le proprie prospettive e tirare fuori pareri molto più validi!

Cosa sei disposto a offrire per un bel voto nella nostra recensione di Chef?

Vorrei mettere sul piatto prestazioni sessuali, ma temo sarebbe solo deleterio. Quindi posso metterci una bella teglia di lasagne classiche fatta dal sottoscritto, ma poi come ve la dividereste? Che faccio, la mando solo al recensore?

No no, facciamo così: manda tutto a me, a lui passiamo poi qualche eroge.

Disco Elysium è un capolavoro
“Disco Elysium: non penso di esagerare nel definirlo un capolavoro, qualcosa di incredibilmente fresco e unico, un’opera d’arte che merita veramente rispetto.”

Ultimamente sta assumendo sempre più riconoscimenti il concetto di “autorialità” nel videogioco, con designer di spicco che catalizzano l’identità e i meriti dietro un titolo, in contrapposizione a un passato dove più frequentemente il ruolo dell’autore era associato all’intera software house. Cosa ne pensi, e come funzionano le cose in Inner Void?

Penso sinceramente che nella quasi totalità dei casi si tratti di marketing, almeno per quanto riguarda le grosse produzioni. Stiamo tutti vedendo con Star Citizen cosa significhi lasciare veramente tutte le decisioni nelle mani di una persona. Semplicemente, vista la complessità del lavoro, c’è bisogno di tutta una serie di persone in grado di prendere decisioni in tutti i settori dello sviluppo, una persona da sola non potrebbe gestire tutto questo. Credo che dare una faccia a una software house, in quest’epoca di influencer, sia una scelta utile a livello di comunicazione, ma poi all'interno del team le cose funzionino diversamente.

Discorso del tutto diverso per i team piccoli o costituiti da un solo autore a tempo pieno, ma appunto parliamo di piccole produzioni, nelle quali sicuramente si vedono i pro e i contro di un approccio autoriale.

Noi, nel nostro piccolo, tendiamo a essere molto democratici nell'ascoltare il parere di tutti coloro che lavorano al gioco, e cerchiamo di delegare le scelte specifiche di un settore alla persona competente in quel settore. Altrimenti questa persona che viene pagata a fare?

Siamo nel mondo dei sogni: ti propongono di sviluppare il remake di una vecchia gloria a tua scelta, budget AAA e carta bianca, puoi apportare tutte le migliorie che vuoi. Che gioco scegli? Come lo modificheresti?

Domanda molto difficile, anche perché in tempo di sequel e remake si stanno prendendo tutti i titoli migliori. Penso che mi butterei su S.T.A.L.K.E.R., perché penso si potrebbero fare miracoli su quella formula con le tecnologie moderne, ma stanno facendo un sequel che spero apporti quei miracoli. Quindi proviamo con Arcanum: Of Steamworks and Magick Obscura: mi ha sempre affascinato il loro tentativo di creare un mondo aperto con un’ambientazione molto caratteristica, che nonostante i limiti ludici e tecnologici si sentiva moltissimo per tutto il corso dell’esperienza di gioco. Sicuramente però ci metterei molti più contenuti dinamici ed emergenti, perché penso si sposerebbero benissimo con il mondo di gioco e il particolare approccio che il gioco aveva nei confronti della trama principale.

Il prepotente ingresso di Epic Games Store nel mondo della grande distribuzione digitale ha sollevato parecchie polemiche tra i consumatori. Vuoi parlarci della situazione dal punto di vista di una piccola azienda indipendente?

Senza Steam non esisterebbe il Digital Delivery come lo conosciamo oggi, senza la possibilità di accedere a Steam facilmente tantissimi sviluppatori sarebbero rimasti tagliati fuori dal business. Ma è anche vero che attualmente Steam permette la pubblicazione anche di robaccia, si prende una notevole fetta di ricavi e non offre sempre servizi di altissima qualità. È normale, è perfettamente normale, ma penso che un poco di concorrenza non possa che fare bene al mercato, e sinceramente trovo le lamentele di alcuni molto esagerate: le esclusive possono essere una rottura di cazzo quando ti devi comprare un’altra console per giocarle, ma fintantoché devi solo installare un client diverso con una UI meno avanzata il dramma è molto più contenuto.

Farà bene al mercato, così come penso che lo faranno soluzioni in abbonamento come il Game Pass.

Il grande fascino di Arcanum
“Proviamo con Arcanum: mi ha sempre affascinato il tentativo di creare un mondo aperto con un’ambientazione molto caratteristica, che nonostante i limiti ludici e tecnologici si sentiva moltissimo per tutto il corso dell’esperienza di gioco.”

Cos’è che ti rende più fiero delle vostre produzioni? E un aspetto che invece non avresti mai voluto fosse arrivato alla pubblicazione?

Considerando che ho l’autostima di un fagiolo stracotto ti direi che ho poco di essere veramente fiero, però sono abbastanza soddisfatto del fatto che ci paghiamo qualche (modesto) stipendio con la nostra attività, il che è già un evento raro se consideriamo che il 95% dei giochi su Steam fatturano meno di 15.000 dollari l’anno. Inoltre, se devo pensare ad una singola cosa che mi rende felice, penso ancora alle parti narrative venute bene in ICY.

Per quanto riguarda quello che non avrei voluto fosse stato pubblicato, ti direi che purtroppo si tratta spesso di buona parte di ogni gioco. Ci sono sempre cose inserite per scendere a compromessi con il budget limitato, scelte di cui ci si pente, o meccaniche a cui si sarebbe voluto dedicare più tempo.

Finisci disperso su un’isola deserta assieme a Hideo Kojima e Todd Howard. Che fai?

Posto che non sono i miei designer preferiti e che sono anche insignificante per loro, cercherei di fare in modo che si dividano l’isola, inizino a combattere tra loro, otterrei la fiducia di entrambi semplicemente per allungare quanto più possibile la faida. E poi userei tutto come ispirazione per un gioco, se mai venissimo ritrovati!

Puoi darci qualche anticipazione sul vostro prossimo progetto?

Ci stiamo già lavorando, sebbene non abbandoneremo Chef tanto presto. Si tratta di un’idea ambiziosa, che ci manderà molto probabilmente in rovina, ma nel mercato attuale purtroppo bisogna prendersi grossi rischi per emergere.

Il piano è semplice: creare un gioco di ruolo totalmente world driven, in cui i contenuti narrativi siano dinamici e dei complessi sistemi capaci di gestire reputazione, relazioni e personaggi non giocanti entrino in contatto per creare un’esperienza intensa e personale, nella quale il giocatore possa vivere un’esperienza unica. Al momento stiamo mettendo in piedi i sistemi di base, come il sistema di combattimento a turni e il motore capace di leggere lo stato del mondo e far scattare eventi di ogni tipo, ma speriamo di avere una demo giocabile in meno di nove mesi! E tu sai benissimo che sarai tra quelli che la riceveranno in anteprima.

Non vedo l’ora!

ICY è un RPG post-apocalittico ambientato in una nuova era glaciale
ICY è un RPG post-apocalittico ambientato in una nuova era glaciale.

Immagina il tuo posto dei sogni dove si potrebbe discutere di videogiochi: descrivicelo. Come sarebbe fatto, dove, chi lo frequenterebbe?

Sicuramente un posto fisico, dove parlare di persona, possibilmente con tanta erba perché almeno si eviterebbero discussioni troppo accese. Idealmente preferisco parlare con le persone a voce di questi argomenti, e lo faccio solo con pochi individui selezionati, perché ormai non ho la pazienza di discutere con persone immature. Va bene avere gusti e idee differenti, ma visto che siamo tutti adulti evitiamo di offendere o prenderla sul personale.

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Mattia “Harlequin” Mangano
Frequenza Critica

Appassionato di sistemi, trova ristoro in esplorazione, funghi e polenta.