La guerra dal punto di vista di statisti e generali

Come vivere la “guerra totale” da una posizione privilegiata.

Stefano “Revan” Castagnola
Frequenza Critica
6 min readFeb 12, 2020

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In questi giorni abbiamo inaugurato la nostra prima settimana a tema, un’iniziativa che riproporremo anche nel corso dei prossimi mesi andando a toccare argomenti sempre diversi ma allo stesso tempo interessanti e rilevanti, e l’abbiamo fatto partendo dal tema della guerra, un tema che è presente in varie forme nel mondo dei videogiochi fin dai suoi albori. Spesso ci si ritrova a rivivere, in prima persona, le gesta di soldati al fronte, muoversi tra i campi di battaglia e tra le trincee, in conflitti reali o fittizi, ammazzando dozzine o centinaia di soldati nemici (soprattutto quando — e cioè molto frequentemente — il realismo non è una priorità) imbracciando un fucile, oppure brandendo una spada. Ma c’è un altro ruolo che molti giocatori si divertono a recitare: quello del condottiero, che comanda i suoi eserciti dalle retrovie e decide quali tattiche utilizzare per sopraffare gli avversari.

Questo è ciò che è chiamato a fare il giocatore in molti giochi di strategia in tempo reale, un genere molto popolare negli scorsi decenni e che oggi è talvolta addirittura visto come morente o per lo meno in scarsa salute, ma che in ogni caso è perfetto per chi preferisce guidare i propri combattenti dall’alto, piuttosto che lanciarsi nella mischia in prima persona. E di guerre di cui decidere il destino ce ne sono in abbondanza negli RTS, che si tratti delle battaglie storiche da “rivivere” (pur se le differenze con le controparti storiche sono spesso macroscopiche) in Age of Empires, delle schermaglie fra dei e mortali in Age of Mythology, degli equilibri in continuo mutamento di Starcraft, o ancora della conquista del mondo in Rise of Nations o nei Total War.

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Age of Mythology presenta la classica formula del fratello maggiore Age of Empires 2, pur se arricchita con l’elemento mitologico… in ogni caso, che si affrontino opliti o minotauri, i conflitti a cui partecipare non mancano.

Anche se ho apprezzato, e molto, tutti i nomi citati, è in particolare su questi ultimi che voglio concentrarmi, e non solo perché Total War continua ad essere una serie molto popolare pure oggi, ma per il suo gameplay che sceglie di rimuovere la fase di raccolta delle risorse per ampliare tutta la parte politica e di gestione del proprio impero, senza però rinunciare a metterci nei panni del generale e non solo dello statista, dandoci il comando di armate composte da centinaia o migliaia di uomini e scegliendo la tattica migliore per trionfare sul nemico, con una profondità e un ventaglio di opzioni al nostro servizio sicuramente maggiore rispetto ad Age of Empires e affini.

Che si decida di estendere la pax romana alle lande barbariche, che si punti a formare un nuovo shogunato o che si parta alla conquista del Nuovo Mondo, gli strumenti a disposizione sono tanti: possiamo negoziare nuovi accordi commerciali per accrescere la tesoreria reale, possiamo suggellare alleanze strategiche per rafforzare la nostra posizione sullo scacchiere internazionale, possiamo gestire la tassazione e la politica interna in modo da favorire lo sviluppo delle nostre città e mantenere felice la popolazione, possiamo offrire in sposa una delle nostre principesse a un nostro generale per assicurarci la sua fedeltà, possiamo sviluppare una rete di spie per assassinare rivali pericolosi o fomentare rivolte nei loro territori… una cosa, però, è certa: la pace fra le varie fazioni in campo non durerà a lungo, e anzi è sempre bene prepararsi alla guerra, anche perché l’IA del gioco a volte fa brutti scherzi.

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Possiamo tentare la via della diplomazia quanto vogliamo, ma prima o poi ci ritroveremo in una battaglia come questa, col compito di guidare le truppe verso la vittoria.

In quel caso, si passa velocemente dal vestire i panni dello statista a quelli del generale, andando a guidare le truppe in battaglia, scegliendo con cura la strategia più efficiente per avere la meglio sul nemico, posizionando i nostri arcieri in modo che siano protetti da un’eventuale carica di cavalleria nemica, sfruttando una foresta per tendere un’imboscata agli avversari, o cercando una posizione rialzata per ottenere un vantaggio tattico su chi ci oppone.

Tutte cose che chiunque abbia già avuto a che fare con la saga di Creative Assembly sa già, e chi ci ha giocato sa anche che il suo “gameplay loop” può rivelarsi a dir poco assuefacente, dando vita a quel famoso processo che ci porta a dire “ancora un turno e chiudo” ancora e ancora e ancora, per poi scoprire che sono passate due ore e non ce ne eravamo neanche accorti. E poco importa che ci sia sempre qualche difetto, come una diplomazia che qualche volta non funziona come dovrebbe (in alcuni capitoli perché è troppo facile persuadere le altre fazioni a fare ciò che vogliamo, in altri perché la situazione è esattamente opposta), un’IA non sempre brillante o qualche bug qua e là. La formula rimane, dopo oltre una dozzina di iterazioni, ancora molto appagante.

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Rome: Total War è uno dei capitoli meno recenti della serie, ma è rimasto uno dei preferiti dai fan.

E il divertimento è la parola chiave, perché i Total War non hanno l’obiettivo di analizzare il tema della guerra nelle sue numerose sfaccettature, né tanto meno vogliono farsi portatori di un particolare messaggio politico o sociale: sono “solo” giochi, in cui mettersi alla prova, sfidare avversari umani o gestiti dall’IA e soprattutto divertirsi, per l’appunto. Nonostante questo, comunque, dal semplice “gameplay loop” che si innesca possono emergere in modo naturale — e quindi pure senza una precisa intenzione da parte degli sviluppatori, ma invece per via del contesto di gioco e delle meccaniche con cui si interagisce — delle tematiche non banali e con implicazioni morali rilevanti. Super Bunnyhop ne parla proprio in questo suo video in cui dice che il gioco che gli ha trasmesso il più forte messaggio contro la guerra è stato, sorprendentemente, Arma III.

Dopotutto, in un qualunque Total War non facciamo che reclutare uomini da condurre in violente e brutali campagne militari, spesso portandoli a una fine prematura in battaglia per poi sostituirli immediatamente con nuovi soldati che probabilmente faranno la stessa fine, il tutto senza provare la minima empatia per nessuno di loro, sono solo numeri e strumenti per raggiungere i nostri obiettivi, il che volendo non è troppo lontano dal modo di ragionare di statisti e generali in carne ed ossa. Inoltre, ci sono numerose tattiche con cui indebolire il nemico, che vanno da metodi poco onorevoli come assassinare un generale carismatico per privare i suoi soldati di una guida prima della battaglia, fino ad arrivare ad azioni ben più spietate e che coinvolgono pure la popolazione civile, come il sabotaggio delle infrastrutture dei nostri avversari o l’avvelenamento dei pozzi di un insediamento nemico per decimarne la guarnigione, e con loro pure gli abitanti.

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Una volta vinta la battaglia, potremo decidere il fato della cittadina che si vede in lontananza.

Anche nella conquista dei villaggi e delle città le opzioni a nostra disposizione possono essere brutali: personalmente, ricordo come nelle mie prime partite a Rome: Total War scegliessi sempre l’opzione meno violenta, la semplice occupazione della città conquistata. Poco dopo scoprivo come i miei nuovi sudditi non fossero proprio felicissimi del loro nuovo sovrano, finendo spesso per ribellarsi o costringendomi ad abbassare le tasse azzerando ogni mio profitto. L’errore è nella scelta fatta, troppo generosa e considerata, di fatto, sbagliata dal gioco: razziare l’insediamento appena conquistato porta alla stessa infelicità nella popolazione soggiogata ma almeno riempie le casse reali, mentre sterminare gli abitanti ci fa ottenere (meno) denaro ma aumenta di molto l’ordine pubblico, dato che i pochi sopravvissuti non hanno più la forza o il coraggio di ribellarsi. In pratica il gioco considera il genocidio sistematico l’opzione migliore ed è quella che veniamo spesso incoraggiati ad adottare, non a caso infatti facendo un salto nelle board online dedicate alla serie è quello il modo in cui viene frequentemente consigliato di agire, da parte degli stessi giocatori.

Ovviamente questo non vuol dire che Creative Assembly sia a favore del genocidio, anche perché, come già detto, non c’è alcun messaggio politico o sociale di cui il gioco vuole farsi portatore. Rome: Total War e anche gli altri capitoli della saga vogliono solo essere giochi divertenti, e riescono perfettamente in questo compito. Tuttavia anche in videogiochi che non vogliono intenzionalmente aprire dibattiti particolarmente complessi su certe tematiche, c’è comunque spazio per simili riflessioni grazie al modo in cui sono pensate le meccaniche del gameplay, nel bene e nel male, e che questo avvenga anche a prescindere dall’effettiva volontà dei creatori non è un difetto, ma un’opportunità unica del medium dei videogiochi.

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Stefano “Revan” Castagnola
Frequenza Critica

Si è innamorato dei giochi di ruolo esplorando la Costa della Spada tra l’Amn e Baldur’s Gate, ma non disdegna anche altri generi di avventure.