Linguaggio e videogioco

Un confronto fra Fez e The Witness.

Lorenzo “GOV” Sabatino
Frequenza Critica
8 min readFeb 3, 2020

--

copertina-the-witness-fez

L’articolo, da un certo punto ben chiaro, contiene SPOILER tanto su Fez quanto su The Witness.

In un certo senso, il linguaggio è la più autentica delle eredità del genere umano, l’attributo che più gli è prossimo; penso di poter affermare che il linguaggio non esisterebbe senza l’uomo, così come non esisterebbe l’uomo odierno senza il linguaggio (finanche in senso evoluzionistico, forse).

Ovviamente con linguaggio non intendo (solo) il mero complesso di segni fonetici con i quali individui di un medesimo ceppo linguistico comunicano (la lingua), bensì alludo a quell’orizzonte di senso dove si realizza quel mutuo consenso degli uomini intorno al significato da attribuire ad alcuni segni. Ed è in questa accezione che può definirsi linguaggio tutto ciò che l’uomo compie, fino al gesto apparentemente più ripetitivo e insignificante, dalla matematica all’espressione artistica: l’uomo è immerso in una rete fittissima di significati linguistici, frutto della quotidiana “battaglia” intersoggettiva di attribuzione di senso.

resident-evil-linguaggio
Videogiocando l’utente, pur inconsapevolmente, è avvinto da una vasta rete di “segni”, in larga parte mediati da una pre-comprensione che lega giocatore e gioco. I fondali inerti, i movimenti dell’avatar, gli oggetti interagibili, le azioni spontanee: un insieme coeso fonda il linguaggio videoludico.

Va da sé come anche il videogioco sia manifestazione di un tipo di linguaggio (quello videoludico, appunto) che rispetta determinate coordinate e regole “pattuite” gli uni con gli altri. Il videogioco trova terreno d’elezione della propria vis comunicativa nell’interazione che si instaura fra il videogiocatore e l’avatar che esso controlla, in una serie di rimandi e contro-rimandi fra i due poli, in parte standardizzati (come la norma che scinde fra visuale in prima persona e in terza persona), in parte derivanti dalla visione che l’autore riversa nella propria opera.

the-stanley-parable-adventure-line
The Stanley Parable è, in definitiva, una profonda riflessione sulla struttura irriducibile del videogioco. E, dunque, del suo linguaggio.

Tanti videogiochi hanno provato a riflettere sulle regole che ineriscono il “discorso” videoludico, basti pensare ai lavori di Wreden o a quel The Magic Circle che, tuttavia, è ben più interessato a un discorso ad ampio spettro sulla genesi di un videogioco.

Ben diverso è il panorama di opere videoludiche che hanno preso il tema della lingua tout court come epicentro del proprio discorso. Il pensiero non può che correre, ad esempio, al “Non si abita un paese, si abita una lingua”, citazione dal filosofo rumeno Emil Cioran, aforisma con cui inizia Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, il lavoro di Hideo Kojima. Pur nella desolante incompiutezza del videogioco del designer giapponese, la grande importanza accordata al tema della pervasività della lingua riusciva, tuttavia, a dirompere, sia come strumento di conformazione culturale che come dominio dei gruppi ostili.

emil-cioran-citazione
Metal Gear Solid V mette subito in chiaro quale sarà il nucleo tematico della sesta iterazione canonica della saga.

In realtà, quest’articolo nasce da una serie di riflessioni sorte in me in seguito al completamento di Fez, videogioco sviluppato dalla Polytron Corporation (capeggiata dalla mente fuori dagli schemi di Phil Fish) e diffuso prima nel 2012 su Xbox, e poi nel 2013 su Steam e GOG (da cui è stato recentemente ritirato). Riflessioni che, prendendo le mosse dalle caratteristiche quasi uniche dell’opera Polytron, mi hanno portato infine a costruire un parallelo — del tutto mentale — con uno dei capolavori dell’attuale generazione, quel The Witness imbevuto della visionarietà del suo creatore Jonathan Blow. Tale collegamento era propiziato dalla centralità accordata da entrambi i videogiochi al tema del linguaggio, pur declinandosi, nelle due esperienze, in maniera totalmente differente. È stata propria questa diversità di approccio a rendermi evidente tanto la personalità di Fez quanto la straordinarietà di The Witness.

Fez, o dello svelamento di una lingua nascosta

fez-personaggio-saltante

Sotto la scorza di un platform-puzzle game incentrato sulla brillante idea di permettere la rotazione dello scenario 2D — introducendo la possibilità sconvolgente (per noi quanto per il protagonista) di poter percepire altresì la terza dimensione — in realtà Fez è un caso pressoché unico di “simulatore di archeologia”.

In altre parole, il nostro protagonista non avrà solamente l’onere di raccogliere i “cubi del sapere” risolvendo i puzzle ambientali grazie alla possibilità di ruotare l’asse prospettico del livello, bensì avrà anche il compito di decriptare una lingua (quella di antichi esseri, probabilmente divini). Ed è così che Fez diventa a tutti gli effetti una ricerca di una “stele di Rosetta”, attraverso la quale avere la possibilità di decifrare i segni, gli alfabeti, i numeri di cui è disseminato il mondo.

fez-platform-rotazione-prospettiva
Una situazione senza uscita per il nostro avatar. Ma basta ruotare la prospettiva e magicamente appariranno appigli laddove prima vi era vuoto.

Munito di carta e penna, spetterà al giocatore abbinare a determinati grafemi un rispettivo omologo nella nostra lingua o una determinata azione da compiere in-game (come saltare o volgere a destra/sinistra). Se tutto ciò è, in alcuni casi, brillantemente reso possibile dagli “strumenti” che il videogioco in quanto tale mette a disposizione (come la possibilità, terminata la prima run e acquisita una “conoscenza superiore”, di poter scorgere il mondo nella sua tridimensionalità in prima persona), nella stragrande maggioranza dei casi, invece, il videogioco esige conoscenze “reali” che esulano dall’universo ludico.

In altri termini, per comprendere alcuni segni il giocatore dovrà attingere da un determinato bagaglio di conoscenze proprie, senza le quali la traduzione della lingua nascosta diventa impossibile.

cane-volpe-stele-lingua-sconosciuta
La volpe, il cane e la principale fonte archeologica con cui decifrare la lingua sconosciuta.

Ci si scontra così con il principale limite di Fez: il videogioco è un mero contenitore di un processo (quello di decriptazione della lingua interna) che si basa su regole e conoscenze che prescindono dall’ambito videoludico in cui sono inserite. Se, al fine di comprendere determinate iscrizioni su pietra, è necessario fare tesoro di nozioni proprie della persona che sta giocando Fez (come il “The quick brown fox jumps over the lazy dog”), in nessun modo deducibili dall’atto stesso del giocare, vuol dire che non si stanno sfruttando le caratteristiche proprie dell’azione ludica. Fez diventa così, a tutti gli effetti, un gioco non dissimile da quelli che possono trovarsi su un settimanale di cruciverba, prescindendo totalmente dalla propria veste videoludica.

L’opera di Polytron, dunque, utilizza il linguaggio come fine precipuo della propria esperienza. Lo scopo ultimo del giocatore è precisamente quello di raggiungere il significato racchiuso in questa lingua inizialmente inconcepibile e, una volta chiarificata, utilizzarla per raccogliere tutti i cubi e ascendere a una definitiva conoscenza superiore (l’obiettivo dell’universo di gioco).

The Witness, o del videogioco come prassi gnoseologica

the-witness-cancello-alberi

L’opera del genio creativo Jonathan Blow e dei ragazzi di Thekla Inc. è un esempio portentoso delle potenzialità espressive del videogioco. Dietro una patina da arduo puzzle-game con una direzione artistica peculiare (ma magnifica), si nasconde quello che in realtà è uno dei prodotti filosoficamente più impegnati del panorama videoludico. Sarà impossibile parlare compiutamente della portata complessiva dell’opus magnum di Blow e soci, pertanto mi atterrò unicamente all’elemento su cui ci siamo concentrati nell’articolo: il linguaggio.

Torno a quanto detto all’inizio. Il linguaggio è quella comunicazione (non solo verbale) attraverso la quale, tramite la stipulazione di una regola condivisa, si attribuisce a un significante (un ente), un significato (un concetto). Il linguaggio è il modo attraverso cui “si può dire di qualcosa”, e pertanto inerisce profondamente agli archetipi che governano il nostro modo di conoscere il mondo: astrazioni di cui facciamo uso al fine di semplificare il reale e comprenderlo.

The Witness utilizza il concetto di puzzle (enigma da risolvere, ossia da comprendere) come metafora assolutamente pertinente delle modalità con cui l’essere umano percepisce e fa nozione del mondo che lo circonda.

enigma-albero-mela
Uno degli esempi più basilari dell’interrelazione unica fra il concetto di enigma e decriptazione della realtà circostante in The Witness. Un semplice albero, visto dalla giusta prospettiva, mediante i processi innati della mente umana (tra cui quello astrattivo) può divenire un “oggetto intellettuale”, grazie al quale pieghiamo la realtà e la comprendiamo.

Quando in The Witness decriptiamo la regola attraverso cui superare un puzzle, stiamo, a ben vedere, esperendo le esatte modalità attraverso cui l’essere umano inferisce della realtà oggettiva che vuole dominare (e dunque comunicare). Il processo di svelamento del reale ha origine sempre e comunque dall’ottenimento, e dal successivo uso, di una serie di strumenti “già dati” (una sorta di apriori kantiano), attraverso i quali, a tentoni, l’uomo costruisce una rete di valori aventi “per sé” significato.

Tutto ciò è reso in maniera mirabile dal fatto che nessun tipo di tutorial, aiuto, input o obiettivo è dato al giocatore una volta iniziata la partita. Il giocatore è gettato sull’isola e qui è lasciato nella più totale libertà: non c’è un esplicito exscursus sulla difficoltà degli enigmi da affrontare, non c’è un percorso chiaro, non c’è nemmeno una meta prestabilita.

gioco-prospettico-albero
Un mondo apparentemente privo di significato può rilucere se investito con gli strumenti cognitivi di cui dispone l’uomo. Che Blow voglia suggerirci l’esistenza di una “verità immanente” nel mondo, che l’uomo può disvelare?

Il giocatore si ritrova spaesato di fronte a un mondo muto, privo di appigli in un ambiente che si presenta assolutamente incomprensibile. Come può dunque “vincere” una realtà all’apparenza così aliena?

Attraverso le prerogative del videogioco e, da ultimo, il modo in cui l’uomo costruisce una rete di significati (ossia, il linguaggio). Diversamente da Fez, gli enigmi di The Witness non necessitano di alcuna conoscenza pregressa, poiché si basano integralmente sulla struttura archetipica (quella che viene definita pre-comprensione in ambito epistemologico) mediante la quale l’uomo fa conoscenza del mondo: nozioni atomistiche, intuizione, pensiero laterale, osservazione, associazione di idee.

In altri termini, laddove Fez svilisce in parte il suo essere videogioco in quanto, per permettere all’utente di imparare una particolare grammatica (la lingua di questo popolo antico), esige l’adoperarsi di modalità e regole non-videoludiche, The Witness, invece, utilizza esattamente il videogioco come catalizzatore di un’epifania attenente non una singola lingua sconosciuta, ma l’atto stesso del conoscere.

costa-gioco-prospettico
Spesso in The Witness un cambio di posizionamento o una diversa prospettiva danno un senso diverso a ciò che vediamo. Ancora una volta, una straordinaria parabola dello sguardo vivificante che l’uomo imprime alla natura: la scoperta di un linguaggio inscritto o una sua elaborazione antropocentrica?

Dominiamo l’isola di The Witness, pur nella totale assenza di indicazioni o tutorial di gioco, perché ravvediamo (o, forse, creiamo?) regole “inscritte nella natura”, attraverso le quali costruiamo un po’ alla volta un intero alfabeto di segni e significati. Basta l’associazione mentale di un lampeggio di un pulsante con un’azione appena eseguita o una diversa angolazione da cui miriamo uno scorcio (tutte azioni perfettamente ludiche), e i segni prima oscuri del mondo di The Witness cambiano totalmente di prospettiva, permettendoci di scorgere una sintassi laddove prima vigeva il caos insensato.

Il linguaggio, dunque, è il mezzo attraverso cui il videogioco di Blow ci fa attuare il percorso prometeico di superamento dell’insondabilità apparente del reale. Rinvenire segni del mondo a cui attribuire un relativo significato, comprendere come, attraverso questo processo dialettico fra il soggetto osservante e la realtà osservata, la realtà si colori di tracce prima invisibili — come sottolinea in maniera straordinaria il rendersi conto, improvvisamente, che anche nel mondo di gioco, oltre che sui pannelli, sia possibile rinvenire quelle linee: The Witness usa il genere per scandagliare gli elementi primi della conoscenza umana.

gioco-prospettico-statue

--

--

Lorenzo “GOV” Sabatino
Frequenza Critica

Ci sono poche cose che meritano di esser dette e spesso manca anche la voglia.