Nioh: il peso del feedback

L’importanza dell’equilibrio tra ascolto e libertà creativa.

Luca “Master Hayabusa” Sapora
Frequenza Critica
7 min readMar 13, 2020

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Premessa: sarà un articolo piuttosto personale e, se vogliamo, un po’ a ruota libera.

Nioh, lo chiarisco immediatamente, tutto sommato mi è piaciuto molto. Come si può intuire facilmente dal mio nickname e dal mio avatar, sono un grande fan dei primi due Ninja Gaiden made in Team Ninja, con il primo capitolo in particolare che piazzo in scioltezza tra i miei giochi preferiti di sempre. Chi conosce la storia della serie sa che il terzo capitolo, uscito nel 2012, ha rappresentato un tradimento totale di tutto ciò che la serie aveva rappresentato, una bastardizzazione che ha sacrificato l’essenza della serie sull’altare della spettacolarità facile e dell’occidentalizzazione (ottenendo per fortuna pessimi risultati, perché ci mancava solo che si convincessero fosse la strada giusta).

Non sono qui a parlare di Ninja Gaiden 3, ma basti sapere che per me e molti altri quel gioco fu una vera e propria pugnalata al petto. Ora, sebbene molto di ciò che ha rappresentato Ninja Gaiden risieda nella figura del buon (non tanto, non le manda certo a dire) vecchio Itagaki, che intanto se Devil’s Third vuol dire qualcosa ha un po’ perso il tocco, vedere il Team Ninja tornare alla ribalta mi ha fatto molto piacere. Ma non è tutto rose e fiori, quindi sento il bisogno di scrivere questa “cautionary tale”, perché noto una tendenza pericolosa.

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Yosuke Hayashi, leader del Team Ninja dall’addio di Tomonobu Itagaki nel lontano 2008.

Nioh l’ho spolpato, a lungo. Ci ho giocato più di 150 ore, fatto ogni possibile secondaria e rigiocato anche il gioco intero in NG+, all’epoca unica “difficoltà aggiuntiva” disponibile. Ho adorato il suo sistema di combattimento, un interessantissimo mix tra il sistema di un soulslike, tutto incentrato sull’equilibrio tra difesa/attacco e la gestione della stamina, e le sostanziose contaminazioni più puramente action e originali. Il sistema di “stance” che consente di impugnare (in qualsiasi momento, anche in mezzo a una combo) ogni arma in tre differenti modi, ognuno con il suo moveset caratteristico e differenti impatti sulla stamina consumata e persino sulle modalità di schivata, già di per sé donerebbe una profondità non da poco ai combattimenti.

A tutto questo si aggiunge il ritmo Ki, una meccanica che dà la possibilità di ripristinare una parte — o tutto — il Ki che il giocatore ha appena consumato attraverso la pressione di un tasto al momento giusto…già solo la descrizione non può che far venire l’acquolina in bocca a un amante dei tecnicismi action. Sostanzialmente il sistema così composto, considerando che determinate abilità consentono anche di attivare il ritmo Ki mediante schivata e cambio stance, permette ai giocatori più abili di rallentare drasticamente il consumo della stamina e attaccare (quasi) all’infinito.

Quello che ho apprezzato decisamente meno è il bilanciamento, ma qui dobbiamo fare un passo indietro. Il mio primo contatto con Nioh avviene con l’alpha aperta al pubblico, ad aprile 2016, che decido di scaricare incuriosito da dei filmati di gameplay che mi avevano messo la pulce nell’orecchio: che Team Ninja avesse ritrovato il senno? L’alpha mi stregò, e del resto una fusione tra action e souls-like non poteva che farlo. Aveva peraltro una difficoltà brutale, che non aveva assolutamente alcuna pietà dei giocatori che ancora stavano cercando di prendere dimestichezza con sistemi non proprio immediati. Per un momento ho pensato persino potesse essere un erede di Ninja Gaiden. Sporco, diverso, meno elegante, ma frutto della stessa filosofia.

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E del resto Nioh questo sembrava dover essere per Team Ninja: un riscatto e un ritorno alla propria forma. In buona parte è effettivamente così, ma c’è stato un parziale intoppo: il feedback. Team Ninja ha infatti pubblicato quella versione alpha, e le successive uscite nel corso del 2016, principalmente per raccogliere feedback dai giocatori e capire come procedere. Team Ninja a firma Hayashi è del resto la casa che ha sviluppato Ninja Gaiden 3 in un certo modo proprio per andare incontro ai gusti del mercato, almeno quelli percepiti come tali, una scelta “mossa dalla paura”, citando lo stesso Hayashi. La stessa persona che durante lo sviluppo di Dead or Alive 5 avrebbe affermato di voler ridurre la sessualizzazione delle protagoniste, marchio di fabbrica della serie, per poi rimangiarsi tutto spaventato dal feedback di chi aveva provato l’alpha.

Già, il feedback. Il feedback dell’alpha di Nioh fu, chiaramente, indirizzato principalmente verso una cosa: la riduzione della difficoltà. E il gioco arrivato nei negozi, pur restando un titolo relativamente impegnativo, la difficoltà l’ha ridotta, non di poco. Si consideri poi la fortissima enfasi su tutta la componente di loot presa quasi di peso da un Diablo, che consente di accumulare roba, grindare e costruire queste build potenzialmente folli con cui maciullare tutto quello che ci si trova di fronte. Per non parlare di veri e propri cheat legalizzati come il famigerato “talismano del bradipo”. Il risultato finale, a mio parere, è un titolo fortemente sbilanciato, in cui il giocatore un minimo spigliato se vuole arriva facilmente a “rompere” il gioco e ad annullare qualsiasi forma di difficoltà. Che in un gioco come questo, in cui buona parte del piacere deriva dal combattimento, non è il massimo. Tutto questo escludendo quei casi in cui, dato che Nioh in quanto soulslike doveva comunque mantenere la fama di “titolo hardcore”, gli sviluppatori hanno deciso di creare situazioni volutamente ingiuste, teoricamente per “bilanciare” il tutto. Ma si sa, due torti non fanno mica una ragione.

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Io lo capisco anche, il fascino del grind, dell’accumulo di risorse e della costruzione di build. Così come capisco il fascino della “power fantasy”, quella sensazione di potenza e supremazia totale. Certo, recentemente ho visto un video di NoClip Podcast in cui Danny O’Dwyer intervistava Hugo Martin, il director di DOOM (2016) e DOOM Eternal, che afferma una cosa per me lapalissiana: “vogliamo dare al giocatore qualcosa (dei sistemi) che possa padroneggiare, perché la power fantasy guadagnata sarà molto più soddisfacente di quella che gli è stata concessa”. Che poi è un po’ parte del motivo per cui ho sempre mal digerito i God of War, volendo.

Ma il punto non è neanche tanto questo, il punto è che Team Ninja per Nioh aveva una determinata idea, stava sviluppando il gioco in un certo modo, e ancora una volta ha cambiato cose in base agli umori del pubblico. E alla fine stavolta gli è andata pure benissimo, perché il gioco è stato un successo commerciale e di critica strepitoso, ma è il modus operandi che secondo me non è vincente.

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Itagaki del resto era uno che affermò di aver alzato ulteriormente la difficoltà dopo che i tester di Ninja Gaiden si erano lamentati fosse troppo difficile. Non (solo) perché è un po’ schizzato, ma perché aveva una visione del gioco che voleva portare a termine, un gioco che fosse difficile (ma giusto, intendiamoci, perché il primo Ninja Gaiden era tanto più difficile di Nioh quanto più corretto nei confronti del giocatore) e mettesse i giocatori sotto pressione. Itagaki che tra parentesi è pure quello che, dovendo includere una difficoltà facile in Ninja Gaiden Black, decise di chiamarla “Ninja Dog” e di inserire palesi prese per il culo ai giocatori che la selezionassero, per far capire il tipo.

Ma anche andando su tutt’altro tipo di opere: Hideo Kojima. Immaginatevi Kojima nel 2000 che fa provare a dei tester Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty e questi gli dicano “mah, sai, io vorrei giocare con Snake”. Cosa pensate che gli avrebbe risposto Kojima? Perché il feedback può essere importante, il contatto col pubblico anche, ma è altrettanto importante avere polso e una direzione chiara in mente, se si vuole creare qualcosa di significativo. Perché essere troppo legati al — e spaventati da — parere del pubblico, anche durante la fase di creazione, è potenzialmente molto pericoloso, oltre che la morte della creatività.

Perché una volta ti esce Nioh e vendi 3 milioni di copie, ma le vendite non sono o almeno non dovrebbero essere tutto, e in ogni caso…la volta dopo mica è detto che vada allo stesso modo. Perché sì, Team Ninja sembra guarito e tornato capace di sfornare giochi di livello, cosa di cui non posso che rallegrarmi, ma per tornare ai fasti di un tempo ci vuole anche altro, ci vuole più coraggio di osare e proporre una visione forte e decisa, senza farsi dire dal pubblico ciò che vuole neanche fosse un fast food.

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