Obsidian, tra splendore e incrinature

Una chiacchierata sulla software house che ha fatto del “bellissimo, ma…” una tradizione.

Mattia “Harlequin” Mangano
Frequenza Critica
6 min readOct 23, 2019

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L’ossidiana è un vetro di formazione naturale: duro, tagliente, ammaliante, ma anche fragile e pronto a spezzarsi. E ricorrente nella fabbricazione di armi e armature (eh?) fantasy (ah!).
In effetti è un nome assolutamente azzeccato quello di Obsidian Entertainment, casa di sviluppo specializzata in giochi di ruolo a dir poco controversa. È stata capace di creare dei cult e ritagliarsi una schiera di fan accaniti, ma proporre anche strafalcioni ricevendo aspre critiche — tutto ciò pure nel contesto dello stesso gioco. Ed essendo stata fino a poco tempo fa uno studio indipendente, rischiando anche di finire sul lastrico.

Il fascino dei loro lavori nasce prima di tutto dall’ottima e distinguibile scrittura. Forse talvolta un po’ prolissa e incline a sommergere di informazioni, ma sempre di alta qualità e in grado di affrontare temi articolati e profondi, creando personaggi ricchi e umani.
Figura di spicco in questo reparto è stata Chris Avellone (freelancer da qualche anno a questa parte), che ha diretto il primo gioco di Obsidian, ovvero Star Wars Knights of the Old Republic II: The Sith Lords. Un’ambientazione come Star Wars è già di per sé un biglietto vincente, ma in questo caso ha voluto fare di più che seguire un canovaccio collaudato. Al contrario, ha rielaborato, espanso e messo in discussione vari capisaldi di questo universo, come una distinzione tra bene e male alquanto netta. Il tutto attraverso la sua capacità di donare grande profondità agli attori virtuali, assieme a idee affascinanti e originali. Si percepisce sì un grande studio e amore per il classico, ma anche la voglia di raccontarlo in modo nuovo, inaspettato, stravagante.

Non bisogna però associare a Obsidian il solo Avellone, per quanto la sua influenza all’interno del team si faccia sentire. Ad esempio, è George Ziets il lead writer di Mask of the Betrayer, espansione cult di Neverwinter Nights 2. Un viaggio surreale attraverso un fantasy cupo e crudele, una vicenda tormentata e onirica accompagnata da personaggi di spessore e costellata di ambigui dilemmi morali.
Il fiore all’occhiello dell’espansione è però la Fame, perno narrativo e al tempo stesso meccanica di gameplay che detta lo svolgersi dell’intero gioco, dalle abilità di combattimento, al limite di tempo per l’esplorazione, all’abilitazione di opzioni per risolvere uno snodo chiave. Un design magnifico.

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Un estratto dall’inizio di Mask of the Betrayer

Ma Obsidian non è solo scrittura, ha saputo proporre anche sistemi di gioco molto interessanti.
Ad esempio, adoro i dialoghi di Alpha Protocol. Quando è il momento di dare voce al nostro avatar vengono offerte poche opzioni, identificate da un’atteggiamento o un’azione, su cui il personaggio creerà poi il dialogo. La potenza di questo sistema non sta solo nell’immediatezza, ma nell’aver strutturato ogni discussione come una sfida, un puzzle da decifrare. Alpha Protocol non ci chiede semplicemente di seguire la nostra indole o quella che ci siamo inventati per il protagonista, cosa spesso implementata in modo abbastanza passivo, ma invece di vestire i panni di un agente capace di adattare i suoi modi alla situazione, di manipolare l’interlocutore per ottenere ciò che vuole. Raggirare non è questione di cliccare sulla riga targata [Persuasione], bisogna capire chi si ha di fronte raccogliendo informazioni su di lui, interpretarne la personalità e far leva sui giusti aspetti.
Un titolo che ha conquistato anche il mio collega Bix, che ne attende un degno successore.

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Nonostante le opzioni di Alpha Protocol si limitino a una parola, difficilmente porteranno a scenari indesiderati, a differenza di quel che accade in Mass Effect

Altro gioco che presenta sistemi sofisticati è Fallout: New Vegas, diretto dal rappresentante della parte più “analitica” di Obsidian, Josh Sawyer. Un elemento cardine di un open world è la sua reattività agli stimoli del giocatore, oltre a un’interconnessione che propaghi queste conseguenze al suo interno. In questo campo New Vegas è maestro, prevedendo una miriade di piccoli e grandi riconoscimenti alle nostre scelte, con chiari impatti locali ma influenze anche su eventi distanti nello spazio e nel tempo. La spina dorsale di questo sistema sono le sue fazioni e la nostra reputazione ai loro occhi. Valutano il nostro operato, cambiano atteggiamento verso di noi, ne condizioniamo la potenza e la presenza sul territorio. E questo sia agendo direttamente su loro richiesta, sia attraverso ciò che facciamo per altri o di nostra iniziativa.

Dicevo però inizialmente che Obsidian ha sì creato delle gemme, ma fragili, incrinate, o addirittura in frantumi.
Knights of the Old Republic II è stato pubblicato quand’era ancora in stato di alpha build, cosa evidente sia dai problemi tecnici che dalla povertà qualitativa e quantitativa dei contenuti di varie sezioni, contrapposta alla grezza sovrabbondanza degli stessi in altri comparti che fa pensare più a bozze di concept che a un lavoro fatto e finito.

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In Knights of the Old Republic II vi conviene potenziare la sbilanciatissima tempesta di fulmini, così da eliminare in scioltezza ogni nemico e non spendere troppo tempo nei pessimi combattimenti

Anche in un GDR, l’azione conta. Spesso in questo genere si tende a perdonare una parte più evidente di gameplay, come possono esserlo i combattimenti o lo stealth, un po’ approssimativa. Ragionamento corretto, considerato che è accompagnata da una vasta gamma di altri contenuti, dove risiede il piatto forte. Tuttavia, frequentemente servirebbe più coerenza da parte degli sviluppatori, limitando queste sezioni se la loro qualità non è di buon livello. Se occupano una porzione consistente della partita, non possono essere liquidate come aspetti secondari.
Alpha Protocol esaspera questo problema all’inverosimile, proponendo una componente shooter e stealth tragicomica, che non può non pesare in fase di giudizio.
New Vegas è nell’anima figlio di Fallout e Fallout 2, ma l’averlo sviluppato sulla base di Fallout 3 ha avuto il suo peso. Lato tecnico traballante, meccaniche di gameplay banali e insoddisfacenti — a partire dal noioso e lentissimo VATS — e un diario che sta stretto alle tante missioni articolate e interconnesse.

Questi scenari erano diventati quasi un marchio di fabbrica, scaturiti dall’unione di scadenze pressanti, inadeguatezza nelle risorse, disorganizzazione aziendale e conflitti interni. Ma Obsidian è però riuscita nel tempo a limare tali problemi, almeno esteriormente, come nei suoi recenti giochi isometrici. Pillars of Eternity è stabile, l’implementazione dei combattimenti in tempo reale con pausa tattica è la migliore che possiate trovare, la filosofia vecchia scuola è sapientemente ammodernata da tante piccole comodità come un inventario più agibile o la velocità d’azione regolabile. Tuttavia, come se non potesse sfuggire a un equilibrio predestinato, è al tempo stesso uno dei titoli meno d’impatto della software house. Molto piacevole e divertente, ma senza quel pregio di spicco, quell’eccellenza che farebbe anche ingoiare tonnellate di bug. E il trend è proseguito con Pillars of Eternity II: Deadfire, dove la formula è stata ulteriormente migliorata e rifinita (e un po’ semplificata per ampliare il target, c’è da dire) ma temi e contenuti si sono appiattiti di pari passo.

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I Pillars of Eternity sono un vero piacere da vedere e da giocare

E arriviamo alla prossima uscita, The Outer Worlds. Il coinvolgimento di Tim Cain e Leonard Boyarsky, col loro ottimo curriculum, è un incoraggiante biglietto da visita. Mi aspetto un gioco che riprenda la filosofia del Fallout originale e altri loro lavori, con marcate differenze nella partita in base allo sviluppo del personaggio scelto, enfasi su libertà d’approccio alle missioni, importanza e riconoscimento delle nostre azioni e scelte non solo tramite dialoghi. Formula che Obsidian ha già applicato a modo suo e con successo in New Vegas. Un po’ di preoccupazione invece sul fronte narrativo e dei personaggi, dato il calo subito nel tempo. Se non altro, lo stile leggero e scanzonato mostrato finora potrebbe mitigare una minore profondità. Vista la situazione attuale del team, non temo grossi problemi tecnici o un lato shooting indecente… anche se, riguardando la sua storia, baratterei volentieri qualche magagna in questi aspetti per rivedere quel guizzo creativo in grado di incantare.

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Mattia “Harlequin” Mangano
Frequenza Critica

Appassionato di sistemi, trova ristoro in esplorazione, funghi e polenta.