Paradise Killer: When Love Dies

Vale la pena salvare il paradiso?

Lorenzo “Dyni” Sarno
Frequenza Critica
8 min readSep 18, 2020

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Il Consiglio è morto.

È l’ultima notte del 24° ciclo di Paradise Island, una strana isola fuori dal mondo guidata dal Sindacato, degli zeloti che cercano da tempo immemore di resuscitare le loro divinità, combattendo al tempo stesso con demoni che assaltano il loro piccolo paradiso e costringono il gruppo a spostarsi su una nuova isola, lasciando indietro tutti i cittadini minori e ripartendo da zero.
Questo ciclo sta finalmente per raggiungere la fine quando l’Architetto annuncia la nascita di Perfect 25 — la prossima, e ultima, isola, che risolverà il problema per sempre e permetterà al Sindacato di concentrarsi sulla loro missione. Ma non è mai così semplice.

La notte finale del ciclo, i membri del Consiglio del Sindacato si riuniscono dietro le porte chiuse del loro palazzo, protetti dai quattro Sigilli di cui solo loro conoscono i segreti, e iniziano i preparativi per il viaggio verso Perfect 25. È qui, in questa camera sigillata da poteri arcani, che vengono tutti brutalmente assassinati, apparentemente al di fuori della portata di chiunque, demoni inclusi. Un omicidio a porte chiuse che ha sconvolto per sempre l’ordine del Sindacato, lasciando il resto degli abitanti di Paradise Island incapaci di decidere cosa fare. C’è bisogno di qualcuno che risolva il caso, e l’unica persona capace di farlo è stata esiliata millenni fa — la folle investigatrice, Lady Love Dies.

È ora di riportare vita nel Paradiso.

Se la breve descrizione della trama sopra lascia un sapore vagamente eccentrico in bocca, il gameplay non è da meno. Paradise Killer è un’avventura in prima persona che ci mette nei panni di Lady Love Dies, con l’unico obiettivo di trovare il colpevole dietro l’omicidio del Consiglio.
Messa così potrebbe non sembrare niente di particolare, ma ciò che salta subito all’occhio sono due cose.

La prima è il gusto estetico e musicale molto “vaporwave” che il gioco sfoggia senza alcuna vergogna; la musica sprizza anni ’80 a ogni nota, mentre i personaggi spaziano da Love Dies stessa, con la sua carismatica combinazione di nero, rosso e oro e il modo altezzoso in cui tiene in mano il suo Starlight (computer essenziale all’investigazione), al Giudice che ha preso in mano la situazione, creando una fusione di più persone unite insieme puramente dal loro senso di giustizia. L’isola in generale alterna elementi tradizionali e altri più eccentrici, passando da quartieri residenziali banalotti a un santuario sporco di sangue e una piramide che osserva silenziosamente l’isola da lontano, ospitando l’unico dio recuperato finora dal Sindacato. La seconda, e più importante, è il gameplay stesso.

Appena usciti dalla camera del Giudice, forniti solo del vago ordine di risolvere il caso e un paio di direzioni, il gioco ci lascia immediatamente liberi di esplorare tutta l’isola. Qui Paradise Killer spalanca le porte sul suo approccio unico all’investigativo: Love Dies è libera di muoversi come vuole e concludere il caso quando vuole. In qualsiasi momento il giocatore può tornare all’inizio del gioco e iniziare il processo che determinerà, a patto di aver ottenuto sufficienti prove, chi ha commesso il crimine, concludendo l’avventura. Similarmente le porte chiuse sono poche, permettendo all’investigatrice di accedere a tutti i sospetti fin da subito e raccogliere prove in ogni angolo dell’isola, a volte nascoste dietro leggeri elementi puzzle o di platforming. In poche parole, l’approccio all’investigazione è interamente in mano al giocatore, che deciderà quanto scavare in profondità per risolvere il mistero.

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Alcune prove richiederanno del platforming, per fortuna molto semplice.

L’esplorazione dell’isola in generale è più lontana di quanto ci si aspetterebbe da titoli simili, risultando più vicina a un Outer Wilds che a un Ace Attorney; mentre è possibile presentare prove ai sospetti, infatti, nessuno di loro sarà disposto a confessare sul posto, riducendo interrogare i vari membri del Sindacato a una semplice raccolta di prove ed informazioni da utilizzare nel processo. Questo non è un difetto, anzi — l’intera premessa è che la verità verrà stabilita alla fine, sotto gli occhi del giudice, e fino a quel momento l’unico lavoro di Lady Love Dies è ottenere indizi per ricostruire i fatti. Questa raccolta di informazioni si sviluppa in più modi, dal classico interrogare gente al cercare ogni angolo dell’isola. Per fare un esempio relativamente spoiler-free, esaminando la spiaggia sotto al ponte dove è stato arrestato il sospetto principale, è possibile trovare una bottiglia che potrebbe dimostrare che l’arresto è stato prematuro.

Quello che rende questo concetto unico è che non ci sono guide o limitazioni a indirizzare il giocatore, ma non stiamo neanche parlando di prove posizionate a caso: c’è una precisa logica per il piazzamento di ogni importante informazione in Paradise Killer, e sta al giocatore trovare sufficienti prove per costruire un caso convincente da presentare in tribunale, seguendo il proprio istinto da detective e ricostruendo i passi suggeriti dalle testimonianze raccolte attraverso gli interrogatori. La sensazione che si prova esplorando un posto scovato grazie a pura perizia investigativa e ricostruzione dei fatti trovando una nuova, importantissima prova che permette di incastrare uno dei sospetti è diversa dalle simili emozioni che si provano nei giochi di questo genere, perchè in questo caso non c’è niente a guidare i passi del giocatore se non l’intenzione di risolvere il mistero.

Il che non vuol dire, necessariamente, che l’aspetto open world di Paradise Killer sia un completo successo. In giro per il mondo sono sparsi vari Cristalli di Sangue, che fungono da valuta per comprare informazioni (bello!) o pagare per il viaggio rapido (meno bello), scelta che risulta eccessiva dato che i punti per il fast travel vanno prima sbloccati raggiungendoli a piedi oltre a richiedere i Cristalli. Va detto, di contro, che l’isola non è particolarmente grande e permette l’attraversamento a piedi in tempi relativamente rapidi, e che i soldi abbondano, riducendo di fatto il problema, ma allo stesso tempo rendendolo una limitazione inutile. Ancora, il platforming non è particolarmente preciso e risulta scomodo quando si cerca di raggiungere qualche area rapidamente, ma anche questo è tutto sommato un altro problema minore. Quello che invece dà occasionalmente fastidio è l’occasionale puzzle “oscuro”; sono la minoranza (vengono in mente giusto uno o due puzzle simili su due piedi), ma esistono, e dover navigare dall’altra parte della città per causare una fuga di gas e sgomberare un edificio da investigare silenziosamente non è né intuitivo né divertente. Insomma, l’open world porta con sé un paio di difetti, ma per fortuna nessuno di loro è così presente o invadente da controbilanciare negativamente la gioia data dalla libertà investigativa che offre questa indubbiamente unica scelta di design.

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L’enigma più ottuso del gioco, e per fortuna uno dei pochi di questo calibro.

L’altra conseguenza negativa dell’open world è più soggettiva, prendendo la forma della destabilizzazione del ritmo investigativo tradizionale. Lasciando l’esplorazione completamente in mano al giocatore è possibile finire per creare situazioni controintuitive, dove per esempio il giocatore si ritrova in mano solidi motivi per cui certi personaggi potrebbero aver commesso un crimine ma nessuna prova tangibile per decidere chi ha fatto cosa, invertendo il classico ordine opportunità -> motivazione che vediamo generalmente nei gialli.

La cosa può a tratti risultare leggermente fastidiosa, ma la soluzione di Paradise Killer è tanto semplice quanto efficace: anziché forzare il giocatore in una strada singola decide di nascondere molte sorprese a ogni angolo, permettendo di rivalutare intere teorie dopo una singola scoperta o, di contro, mettere insieme tanti tasselli con quella prova finale che fa da collante al tutto. Ed è la trama del gioco che, come in ogni buon giallo, promuove il tutto a un livello superiore, creando una storia complessa con personaggi carismatici e un omicidio a porte chiuse degno della reputazione del genere, che lascierà il giocatore a rimuginare a lungo sulle tempistiche e il ruolo di ogni personaggio nel complesso mistero di Paradise Killer. Scendere a fondo nei segreti di Paradise Island si divide tra lore unico, motivazioni diverse, bizzarri poteri e conoscenze, vecchie amicizie e cospirazioni che vanno avanti da secoli, e risolvere il caso richiederà approfondire tutto. Solo i veri folli investigatori riusciranno a trovare l’assassino del paradiso.

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Aggiornare Starlight sarà necessario per accedere ad alcune parti avanzate, garantendo un certo ritmo di base.

Il tassello finale di Paradise Killer non è da meno del resto del gioco, prendendo la forma di un processo in cui bisognerà stabilire la verità. In linea con il resto dell’avventura, lascia completa libertà al giocatore anche qui: fatti e verità non sono la stessa cosa, e starà a noi decidere chi ha fatto cosa. Questo sembra scontato, ma diventa molto più interessante prendendo in considerazione il fatto che non è necessario che qualcuno abbia commesso un crimine per costruire un caso convincente contro di loro. Il ruolo di Lady Love Dies sarà costruire una linea logica convincente, accusando una o più persone dei vari crimini commessi nell’isola, e finire con una ricostruzione sensata dei fatti.

Sensata non vuol dire corretta, naturalmente, e la cosa assume molteplici punti di vista. Ricordiamo, prima di tutto, che è possibile iniziare il processo senza avere a disposizione tutti i fatti — il che non vuol dire fallimento automatico, anzi: è perfettamente possibile costruire un caso coerente pur essendo a conoscenza solo di una porzione degli eventi. Questo potrebbe portare ad accusare le persone sbagliate, cosa che naturalmente non impedisce il completamento del gioco ma può lasciare l’amaro in bocca una volta realizzato l’errore. L’altro fattore è più emozionale e/o manipolativo: è possibile accusare volontariamente la persona sbagliata per coprire qualcuno, o non accusare qualcuno per incastrare qualcun’altro. Il gioco, infatti, lascia indizi verso più persone per lo stesso crimine, e sta a Love Dies decidere chi ha commesso cosa. Su cosa basarsi per la decisione finale? Quantità di prove? Motivazione? Puro valore sentimentale? È tutto interamente in mano al giocatore.

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Il cane non è parte dei sospetti. In retrospettiva, un’occasione mancata da parte degli sviluppatori.

È qui che Paradise Killer brilla davvero. Da anni il videogioco investigativo è in stallo, cercando un compromesso tra direzione dello sviluppatore e libertà del giocatore. L.A. Noire lascia Cole Phelps libero di investigare a piacimento, ma porta sempre e inevitabilmente alla stessa conclusione. Sherlock Holmes: Crimes and Punishment, invece, è un’investigazione lineare con la decisione finale lasciata ad Holmes. Altri giochi, come Ace Attorney, si limitano a essere puramente lineari.

E, per evitare equivoci, nessuno di questi approcci è propriamente sbagliato. È perfettamente possibile creare un investigativo convincente con limitazioni di vario tipo, e non c’è niente di male in questo. Ma Paradise Killer spicca nella sua capacità di offrire, per la prima volta, un’investigazione davvero libera in ogni sua forma, creando un’esperienza coerente e che non si dimentica di essere appagante nella sua ricerca di innovazione. Pur essendo ben lontano dall’essere senza difetti, questo primo “vero” tentativo di investigazione open-world è un successo eccezionale, grazie alla combinazione di un nuovo formato e una storia intrigante, racchiusi in un pacchetto dallo stile eccentrico ed elettrizzante.

Che siate fan dell’investigativo, dell’esplorativo, del vaporwave o semplicemente dell’unico e del nuovo, Paradise Island ha qualcosa da offrire a tutti voi, ed è quel tipo di “qualcosa” che rimane anche a lungo dopo aver lasciato l’isola. Venite a visitare il paradiso in quest’ultima notte, e portate con voi il vostro spirito investigativo —chissà, dopo questa lunga, incredibile nottata, potreste voler chiudere la porta e rimanere per sempre.

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Lorenzo “Dyni” Sarno
Frequenza Critica

Non so scrivere e passo tre quarti del mio (illimitato) tempo libero giocando ai picchiaduro. Non sono capace neanche a quelli.