[REPOST] Review — Alien: Isolation

Lorenzo “Dyni” Sarno
Frequenza Critica
Published in
8 min readJun 23, 2017

Non sono il più grande fan di Alien. Mi piace il primo film, sicuramente, ma neanche così tanto da definirlo “uno dei miei film preferiti”. In generale non sono mai stato un grande fan del concetto di “Nemico superforte che non puoi sconfiggere salvo deus ex machina”, quindi non sono mai stato un grande ammiratore dell’alieno stesso. Anche dei giochi, alla fine, mi piace molto giusto AVP2. Tutto questo per dire che non in questo commento non c’è praticamente nessun tipo di fanboyismo o simili. Per me era un gioco come tanti altri.
Chiaro? Ok.
Alien: Isolation è il miglior survival horror che abbia mai giocato.

Breve descrizione per chi non lo conoscesse: Isolation è un survival horror in prima persona che ci vede nei panni della figlia della protagonista di Alien, Amanda Ripley, che si unisce a un gruppo di recupero intento a recuperare la scatola nera del Nostromo, la nave su cui è ambientato il primo film (che si svolge circa 15 anni prima del gioco) di cui si erano perse completamente le tracce. Intenta a scoprire cos’è successo a sua madre, Amanda segue la sua nuova squadra verso la stazione che sta conservando la scatola nera, la Sevastopol. Le cose vanno male ancora prima di entrare nella stazione, visto che una raffica di detriti separa Ripley dal resto della squadra. Una volta dentro alla stazione è chiaro che le cose non sono destinate a migliorare — la stazione è palesemente deserta. Qualcosa non va…
Lo scopo del gioco è, a grandi linee, trovare la scatola nera e filarsela. Per farlo Ripley dovrà unirsi ai pochi sopravvissuti non ostili e sfuttare le sue conoscenze da ingegnere, risolvendo man mano i vari problemi sorti sula nave che la separano dal suo obiettivo. Uhm, mi ricorda un altro ingegnere in condizioni simili
A differenza di Isaac, Amanda non è una gran combattente. Il focus del gioco sarà quindi sullo stealth. Le meccaniche di sneaking sono la solita roba basilare basata sulla visibilità; non ci sono sistemi di ombre, ma sono presenti dei nascondigli come armadietti o condotti (che però non sono immuni, come spiegerò a breve). In caso di emergenza anche nascondersi sotto a un letto può funzionare. Il rumore è invece molto importante — tutti i nemici possono sentire bene i rumori, quindi camminare o strisciare è importante per passare inosservati. Amanda ha delle armi di efficacia mista e dei gadget che onestamente non ho mai usato, anche se del poco che ho provato sembrano discretamente utili. Non li ho mai usati perchè vanno craftati, e usavo tutti gli strumenti da crafting per fare medikit a nastro (niente vita che si rigenera qui), visto che Amanda non è particolarmente resistente: due proiettili sono più che sufficienti a stenderla, motivo in più per non farsi vedere.

Il level design è eccellente, con tante aree complesse e diverse da loro, ognuna con la sua “sfida” differente; quasi tutte le zone presentano più strade possibili, ma nessuna di queste è sicura. Anche le aree più lineari sono fatte ottimamente, perchè spesso la visibilità è limitata da continui angoli e svolte che impediscono la visuale, se non attraverso le finestre (che possono farti vedere anche dai nemici, ovviamente).
“Ma questo non è buon level design, se non vedo diventa trial and error!” Beh, no, perchè non ho ancora menzionato lo strumento più importante di Amanda, cioè lo scanner. Tenendo premuto un tasto Ripley tirerà fuori il classico scanner della serie, che mostra eventuali presenze nella direzione in cui viene puntato. La fregatura? Fa rumore. Il nemico è vicino? Mi conviene controllare o dovrei sporgermi (sì, ci si può sporgere)? E se è troppo vicino? Se non faccio in tempo a nascondermi?
Sotto questo punto di vista il sound design è assolutamente incredibile. I rumori sono fortissimi e “rimbombanti”, fondamentali per capire cosa sta succedendo, ma sempre sufficientemente “confusi” da lasciare il dubbio. Per dire, mettiamo che l’Alien sta strisciando in un condotto sul soffitto (quelli a cui il giocatore non ha accesso): dov’è? Da dove uscirà? Cosa sta facendo adesso? Si sente, si sentono i suoi movimenti, ma non si riesce a stabilire dov’è precisamente senza lo scanner — che, di nuovo, ci mette a rischio. È rischio e ricompensa vs. rischio e conseguenza; il giocatore si trova sempre sulle spine, incerto sul da farsi e su quale sia la mossa più sicura da fare.
A questa sensazione di incertezza contribuisce l’IA, che ha l’innovazione più semplice, intrigante e allo stesso tempo non frustrante che ho visto nell’IA degli stealth da molto tempo: i pattern non sono statici. O meglio, il path di ogni nemico è uno solo, ma non viene seguito con costanza. Mettiamo che nemico X ha un pattern punto A >>> punto B >>> punto C >>> punto D >>> punto A. Insomma, la tipica guarda di perimetro degli stealth. I punti sono prefissati e non cambieranno mai (a meno che, ovviamente, non si viene scoperti), ma l’IA può seguire quei punti come gli pare e piace. Per esempio, la guardia fa il percorso regolare da A a C, ma poi decide di fare dietrofront e tornare indietro. Cosa cambia questo in termini pratici? Che il gioco non è più una questione di “abusa del pattern dei nemici per evitarli”, come succede in genere negli stealth. Diventa incredibilmente più teso: ogni nascondiglio è un’ancora di salvezza (ma anche qui la genialità finale, che spiegherò tra un altro po’, li rende non sicuri), e scegliere il momento giusto diventa importante tanto quanto studiare attentamente il percorso. A proposito di percorso, una piccola nota sulla mappa: questa viene scoperta automaticamente man mano che si esplora l’area, ma è anche possibile ottenerla immediatamente da alcuni database. Studiare la mappa e il percorso diventa, ovviamente, fondamentale vista la natura unpredictable dell’IA, ma i database sono in genere messi lontani dai nascondigli. Ancora, rischio vs. conseguenza o ricompensa.
Altro eccezionale tocco a livello di tensione è il sistema di salvataggio. Il gioco si basa su un sistema di punti di salvataggio, quindi niente quicksave o checkpoint. La disposizione dei savepoints è piuttosto generosa, visto che in genere ogni cinque minuti di camminata se ne trova uno. Inutile dire che, quando stai strisciando cercando di salvarti la pelle, quei cinque minuti possono sembrare eterni, specialmente considerando che la prima volta non conosci il livello. Eppure anche qui si vede la genialità del level design, nonchè l’intelligenza del gioco in generale. Piccolo esempio: in una parte stavo strisciando tra umani e l’Alien. Esploro, dopo circa quindici minuti arrivo alla porta dell’obiettivo sano e salvo. Bene. Altri quindici minuti di sneaking e raggiungo il nuovo obiettivo. Ed eccolo lì, che mi guarda magicamente: IL SAVE POINT. Perdo immediatamente la calma e corro verso il punto di salvataggio. Noto la bava dell’Alien che scende dal condotto sopra di me. Troppo tardi. Morto. Trenta minuti nel cesso? Assolutamente no, perchè ora conosco la strada più breve E il gioco mi permette tranquillamente di andare dritto al secondo obiettivo. Cinque minuti e ho recuperato il progresso perso, senza rinunciare alla tensione della paura del game over. Game design E level design da manuale in un pacchetto unico.

Ultimo tassello di questo delicato bilancio è la varietà di nemici, che è forse il punto più importante di tutto il sistema di gioco. I nemici “comuni” sono gli umani e gli androidi. Gli umani, scavengers senza scrupoli, sono i nemici più semplici e classici: hanno un pattern tradizionale, coprono tutta l’area finchè possibile e crepano in uno-due colpi di revolver. Il loro più grande problema è che sono anche loro armati, quindi sono gli unici ad essere una minaccia dalla distanza e, sopratutto, fanno rumore. Gli androidi, invece, sono estremamente coriacei e lenti. Sono forse i più facili da eludere, ma spesso si trovano a ogni angolo, rendendo evitarli difficile. Alcune armi avanzate rendono più facile eliminarli, ma si tratta comunque di spendere le poche risorse per ucciderne uno. E si tratta di gran lunga dei nemici più creepy del gioco.
E infine c’è lui. L’Alien. Il “segreto” della miscela di questo gioco. È diverso dagli altri due gruppi: è un nemico unico che non può essere ucciso. In nessun modo. Il lanciafiamme può farlo scappare, ma dopo qualche secondo ritorna molto più arrabbiato, quindi è un’altra risorsa da usare con cautela. L’altra particolarità dell’Alien è che è presente quasi sempre durante il gioco. Non è come gli altri nemici, che sono relegati ad aree singole: l’Alien seguirà il giocatore per quasi tutta l’avventura, bilanciando drasticamente il gameplay. Contro gli umani, per esempio, conviene decisamente ucciderli in situazioni normali vista la loro fragilità. L’Alien, tuttavia, costringe a rivalutare la cosa, perchè ingaggiare una sparatoria vuol dire attirarlo. E, mi sembra inutile dirlo, l’Alien uccide in un colpo a differenza degli altri nemici. Non aiuta che l’Alien distrugge ogni concetto di sicurezza, visto che neanche gli armadietti sono al sicuro da lui. Funzionano tre volte, ma se si continua ad abusare dello stesso armadietto si renderà conto del trucco. Instant death. I condotti? Li può usare anche lui. Da notare che l’Alien si comporta in maniera sensata, visto che attacca anche gli altri umani. È quindi possibile rigirare la situazione a proprio favore sparando di proposito per attirare l’Alien e lasciare che sia lui a occuparsi dei nemici nell’area. Insomma, è lui il segreto che trasforma questo gioco da un ottimo stealth a un survival horror incredibile: è onnipresente, potentissimo e completamente unico all’interno del contesto del gioco. Ogni situazione va valutata non solo in base a ciò che si vede, ma anche in base a ciò che si nasconde sopra il giocatore, nei condotti, pronto a colpire. È incredibilmente teso e nerve-wrecking, ed è anche una gioia da giocare. E, nonostante tutto, non è neanche mai frustrante per l’ottimo level design, come segnalato sopra.
Un’ultima nota: il gioco non si limita a fare paura via le sue meccaniche. Cerca anche continuamente di sorprendere il giocatore in maniera originale. Early game spoiler: a un certo punto si trova un androide distrutto dietro una scrivania. Avendo avuto la mia esperienza a livello di jumpscares ero pronto: sapevo che, appena entrato nel suo raggio d’azione, si sarebbe risvegliato e mi avrebbe attaccato. Preparo l’arma, mi avvicino e… non fa niente. Mah.
In quel momento la porta dietro di me si apre. Qualcuno sta entrando. Mi abbasso dietro la scrivania e aspetto. Un androide entra, si guarda in giro ed esce. Tutto tranquillo. Mi alzo e IL DANNATISSIMO ANDROIDE “MORTO” MI AFFERRA LA GAMBA AFUFWHIDUFGHUCREPACREPACREPA insomma, riesce a sorprendere anche dove ti aspetteresti i peggiori clichè.
Ah, dimenticavo: molti si sono lamentati del fatto che il gioco è troppo lungo. Non sono d’accordo. Secondo me c’è molta varietà fino alla fine, che non è poco visto che il gioco può durare tranquillamente 20 ore.

Insomma, non mi sembra ci sia altro da dire. È un giocone. Magnifico come stealth e terrificante come survival. Non riesco virtualmente a trovare difetti, e se non è blu immediato è solo per la mia abitudine di non metterli se non dopo qualche anno. Compratelo e non fate come me che l’ho abbandonato per un anno perchè sono un fifone: merita di essere giocato dall’inizio alla fine. Vi chiederete perchè non l’avete fatto prima.

9/10

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Lorenzo “Dyni” Sarno
Frequenza Critica

Non so scrivere e passo tre quarti del mio (illimitato) tempo libero giocando ai picchiaduro. Non sono capace neanche a quelli.