Lucathegreat
Frequenza Critica
Published in
4 min readJun 23, 2017

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The Witness

In The Witness siamo su di un’isola.

Ma a parte delle curiose statue, non sembra esserci alcun segno di vita a parte noi.

Però ci sono delle strutture, degli evidenti segni della presenza di qualcuno. Uno strano simbolo ricorrente su sedie, tavoli e schermi, che ricorda quello della Dharma di Lost.

E soprattutto, ci sono enigmi.

Tanti, tantissimi enigmi che attivano cavi, schermi, altri marchingegni. Ma perché sono lì? Chi ce li ha messi? E noi, cosa ci facciamo qui?

Dire che lo scopo di The Witness è semplicemente quello di risolvere enigmi sarebbe riduttivo, anche se è quello che si fa la maggior parte del tempo.

Ma mancando un qualsivoglia tipo di tutorial, la risoluzione di questi enigmi (più di 500, ma non tutti obbligatori) dipende esclusivamente da noi. Essendo un mondo aperto, possiamo infatti fin da subito andare dove ci pare, a esplorare e prendere confidenza con l’isola.

Se però la base degli enigmi è comprensibile fin da subito (partire da un punto e arrivare a un altro, all’interno di una griglia) e costante per tutto il gioco, ci accorgiamo ben presto che quanto appreso non è minimamente sufficiente ad aprire alcune porte che ci si parano davanti appena messo piede fuori dall’area iniziale. Strani simboli, colori, fiori, tetramini, ce n’è per tutti i gusti, e nessuna idea di cosa farne.

Allora che si fa?
Si esplora. Si va in giro. Si cerca una zona che contenga un esempio facilmente interpretabile di quello specifico enigma, e un po’ a tentativi e un po’ a intuito si riesce ben presto a capire le regole che ogni simbolo porta con sé, e che è necessario apprendere. Non tutti sono ugualmente riusciti, va detto, e alcune meccaniche sono un più frustranti di altre da assimilare e da applicare, ma i puzzle veramente ostici (e risolvibili quasi solo tramite guida) si contano forse sulle dita di una mano.

Comunque, pian piano, il nostro bagaglio di conoscenze si espande, riusciamo a risolvere puzzle più complessi e a completare le diverse aree in cui l’isola è suddivisa, attivando i rispettivi laser che puntano verso la cima della montagna. Ma cosa c’è lassù? E qual è il vero segreto dietro all’isola?

Il gioco è abbastanza parco di informazioni, e non vi è una vera e propria “trama” come può essere quella di The Talos Principle, però sono presenti svariati log audio contenenti citazioni sulla religione, sulla scienza e su altre questioni filosofiche, nonché alcuni filmati sullo stesso tema, estratti da conferenze, interviste o altro. Alcuni più interessanti di altri (e alcuni più lunghi di altri!) sono però utili per capire l’idea che c’è dietro allo sviluppo del titolo.

Allo stesso modo, altro elemento fondamentale per capire la filosofia di The Witness sono anche i numerosi enigmi ambientali che si trovano qua e là. Apparentemente invisibili, sono in realtà diabolicamente nascosti per tutta l’isola in azzardati giochi prospettici, tramite accurati posizionamenti, sui sentieri, i riflessi nell’acqua, in cielo, in terra, tanto che ben presto si inizia a vedere quel dannato pattern (un tondo con la linea) praticamente ovunque. Lo scenario stesso, e la sua interazione con lo schermo tramite luci, ombre o quant’altro, è inoltre spesso fondamentale per la risoluzione di alcuni enigmi apparentemente impossibili.

Graficamente invece, come si vede già dagli screen, sfoggia colori intensi e luminosi, ma pur con una certa semplicità nelle texture è davvero bello da vedere, con tanti giochi di luce ed effetti particolari.

Qualche dubbio invece sul comparto audio, che è inesistente per il 90% del gioco, con solo il rumore dei nostri passi ad accompagnare le nostre scorribande e qualche sporadico effetto sonoro. Non mi sarebbe dispiaciuta una seppur minima colonna sonora ambientale, magari a caratterizzare le diverse zone, mentre nell’affrontare gli enigmi sonori (ci sono anche quelli) sarebbe bastato semplicemente farla scemare. Buono invece il doppiaggio dei vari log, con le diverse voci ben caratterizzate.

Sulla longevità, direi che si assesta su qualche decina di ore (sulle 20–30) se si esplora l’isola con il proprio ritmo e si cerca di risolvere tutti gli enigmi per conto proprio senza consultare una guida — per non parlare di quelli ambientali, alcuni dei quali sono scovabili solo tramite assunzione di acidi, gli stessi degli sviluppatori.

Il generale senso di progressione poteva però essere reso un po’ meglio, con almeno un segno più chiaro che quanto stiamo facendo ha delle evidenti ripercussioni, invece rimane sempre un po’ anticlimatico e vago fino alla fine.

Oltre a un finale “normale”, infatti, ce n’è anche uno molto più complesso da raggiungere, nonché diversi segreti e “dietro le quinte” più o meno nascosti che riescono a dare una visione d’insieme un po’ più chiara e, se non proprio a svelarci il Segreto di Monkey Isl… ehm, dell’isola di The Witness, perlomeno a farci intuire diverse cose riguardo la sua esistenza, le strutture e gli audio log in cui ci siamo imbattuti.

Perché, in ultima istanza, lo scopo di The Witness non è solo quello di risolvere una mezza infinità di puzzle, di farci spremere le meningi per intuirne le regole, di attivare dei laser, di guardare il cielo alla ricerca di enigmi ambientali o di farci riflettere su questioni filosofiche sulla natura di Dio, sul ruolo della scienza e sulle nostre percezioni — lo scopo (coraggioso e forse ambizioso) di The Witness è quello di provare a farci guardare il mondo con occhi diversi.

E se dopo averci giocato, averne assimilato la filosofia, averne scoperto tutti i segreti, guarderemo ciò che ci circonda in maniera minimamente diversa da prima — anche solo alla ricerca di quel famigerato pattern! — allora potrà dire di aver raggiunto il suo scopo.

@ blu

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