Guilty Pleasure — Warhammer 40,000: Fire Warrior

Quando sbagliare tutto è giusto.

Daniele “Alteridan” Dolce
Frequenza Critica
3 min readSep 18, 2019

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Correva l’anno 2003 quando un giovanissimo Alteridan, nel fiore dell’adolescenza, aveva appena comprato la sua prima scatola di Warhammer 40,000 e il suo primo Codex. Ogni volta che entrava in fumetteria rimaneva abbacinato dalla copertina di quel libricino, lì, sullo scaffale dei wargame. Un robottone in una posa dinamica in primo piano, circondato da un gruppo di umanoidi intenti a sparare con armi futuristiche. Sullo sfondo alcune creature fuori dal tempo, dall’aspetto brutale, con fucili improvvisati. Dall’alto altre battlesuit si stavano lanciando sul campo di battaglia, pronte a scatenare l’inferno sui nemici del Bene Superiore, supportate da droni controllati da avanzatissime intelligenze artificiali. A fianco del libro c’era poi la scatola delle miniature, contenente tutto ciò che era presente sulla cover. Da montare e dipingere, per poi schierare tutto sul tavolo da gioco.

Immaginate come deve essersi sentito quel ragazzino quando — nell’autunno dello stesso anno — vide spuntare nel negozietto di videogiochi Warhammer 40,000: Fire Warrior. Primo, e fin’ora unico, videogioco dedicato proprio all’esercito che scelse di collezionare alla soglia dei suoi quindici anni. Impersonare un guerriero del fuoco T’au. Un sogno.

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Peccato che quel sogno si sarebbe ben presto trasformato in un incubo, perché lo sparatutto in soggettiva targato Kuju sbagliava tutto, e lo faceva in modo a dir poco clamoroso.

Sbagliava nel gameplay, offrendo livelli estremamente lineari e arene terribilmente piccole. Dotato di un gunplay basilare e un feedback delle armi sostanzialmente non pervenuto, Fire Warrior poneva il giocatore di fronte a nemici di ogni sorta. Tra fanti della Guardia Imperiale, Space Marine, Orki e creature corrotte dagli déi del Caos la varietà non mancava di certo, peccato che l’intelligenza artificiale nemica fosse atroce e la sfida del tutto inesistente.

Sbagliava nella trasposizione delle armi a disposizione del protagonista, che con un banalissimo fucile a impulsi poteva penetrare senza problemi le corazze degli Space Marine (per non parlare dei danni che fa al boss finale del gioco).

Sbagliava nelle fondamenta su cui si poggiava la banalissima narrazione. Incaricato di salvare un Etereo — una delle guide spirituali dei T’au — catturato dalle forze nemiche, il nostro protagonista si lancia da solo nella mischia, alla ricerca del leader della sua gente, pronto a superare ogni avversità. Una vera e propria assurdità per chi conosce il background narrativo dei T’au, che invece vanno in guerra circondati dai loro simili, diventando col tempo veri e propri fratelli legati da rituali di sangue.

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Eppure, nonostante tutto, me lo sono fatto piacere. Certo, all’epoca avevo basse pretese e riuscivo a divertirmi con qualsiasi cosa, ma le sensazioni che mi ha dato giocare a Warhammer 40,000: Fire Warrior non le ho dimenticate. Poter entrare in prima persona nell’azione, per quanto potesse essere concettualmente e materialmente sbagliata, è stata un’esperienza fondamentale. Per questo ne conservo ancora un bellissimo ricordo. Un ricordo che mi ha consentito di cementare la mia passione per Warhammer 40,000 e per i T’au, con i quali ancora oggi continuo a divertirmi sui tavoli da gioco.

Una cosa è certa, però, ho paura di rigiocare a Fire Warrior per non rischiare di rovinare la memoria di quegli anni. Eppure l’ho comprato non appena è stato inserito nel catalogo di GOG. È lì che mi aspetta, nella mia libreria virtuale, acquistato principalmente per una questione affettiva. Non so se avrò mai il coraggio di scaricarlo e avviarlo ancora una volta, dopo tutto questo tempo. Probabilmente non lo farò mai, e alla fine va benissimo così.

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Daniele “Alteridan” Dolce
Frequenza Critica

Mi piace scrivere di ciò che mi passa per la testa. Prevalentemente di videogiochi, film e serie TV.