Io giornalista della carta, oggi sul web

Barbara Rachetti
Garage DonnaModerna
5 min readApr 20, 2016

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Da due anni ho messo il turbo. Sono diventata digitale. Sono redattore a Donna Moderna e sto vivendo sulla mia pelle la scommessa del momento: l’integrazione tra la carta e il web. Mi sento un po’ come una cavia di laboratorio, tutti lì a vedere se (e come) sopravviverò al passaggio dall’Era Glaciale alla Rivoluzione Digitale. Fortuna vuole che la metamorfosi sia stata graduale. E anche i mammuth come me, insomma, hanno avuto il tempo di adattarsi, rimandando (forse scongiurando?) l’estinzione.

Come facciamo oggi il giornale?

Tutto è partito due anni orsono (un’èra fa, in effetti…), con la trasformazione della macchina del giornale: le riunioni settimanali sono state schedulate (contenendo le derive personalistiche, che in una redazione femminile sono un rischio altissimo); il sistema editoriale è cambiato, con file condivisi in modo veloce (eh sì, i mammuth cambiano pelle volentieri, ma il sistema deve pure consentirlo); i singoli giornalisti sono diventati responsabili dell’iter dei pezzi, dall’ideazione alla chiusura in pagina; la gestione dei carichi di lavoro (fonte di malumori e mugugni) è diventata visibile a tutti, grazie al kamishibai di redazione.

Va detto che non è stato facile voltare pagina: le resistenze psicologiche a un flusso che da piramidale si è fatto orizzontale sono state forti, ancora oggi fonte di tensione. Per fortuna il cambiamento genera energie nuove ed è capace di sgretolare i muri di diffidenza e privilegio. Ma ciò che ha fatto davvero la differenza è stata la voglia di tutti di “esserci”, che ha pian piano scardinato i meccanismi obsoleti di una redazione ingessata negli schemi di un passato glorioso, ma sepolto.

“Esserci” dove?

Nel frattempo, infatti, abbiamo iniziato a lavorare tutti (anche i colleghi grafici) sul blog Giorni Moderni, stabilendo turni settimanali. Un bell’esperimento che ci ha permesso di iniziare il dialogo vero con i nostri lettori: quello sui social network. Sappiamo bene che ormai avviene lì l’interazione col pubblico. E noi ci siamo dentro con la nostra faccia, seguendo i post del nostro blog in prima persona. In questo modo stiamo ottenendo due scopi: 1) presidiare, noi giornalisti della carta, il digitale, cominciando a sviluppare il nostro personal brand e creando le nostre piccole community 2) cominciare a pensare su più binari, seguendo quel circolo virtuoso che, dal commento del lettore, porti allo sviluppo di nuovi contenuti, da riproporre sul blog e, soprattutto, sul giornale. La carta, così, ha cominciato a prendere una nuova identità. E, in alcuni casi, a diventare il luogo in cui approfondire gli spunti emersi dal dialogo sul blog (“La carta è morta, viva la carta!”).

Il momento del salto

E dal 2015, la vera svolta, soprattutto per me. Oggi lavoro esclusivamente sul sito. Il nostro portale, il femminile leader in Italia, con decine di migliaia di pagine viste al giorno, ha aperto la porta a contenuti di attualità. Un sogno per noi giornalisti della carta: finalmente diventa concreta l’opportunità di compiere il salto. Perché è vero, molti vorrebbero farlo. Ma quanti sono davvero disposti a restare connessi 18 ore al giorno? A svegliarsi al mattino e accendere la radio per sapere se nel frattempo è successo qualcosa di “giusto per noi”? E poi, a buttare giù quel che resta delle ultime barriere sindacali? Insomma, una sfida totalizzante. Anche perché il progetto è ambizioso: diventare il riferimento sul web per l’attualità al femminile. Ecco allora che tutta la redazione è chiamata a cambiare marcia, un’altra volta.

  • Le micro riunioni quotidiane: ogni giorno ci riuniamo 2 volte, a orari precisi, per valutare gli argomenti caldi e programmare l’indomani. In questo modo i temi sono condivisi, come il piano editoriale del sito (anche grazie a file a cui ognuno ha accesso e possibilità di modifica). Ciò ha significato anche un cambiamento nel nostro modo di relazionarci: è cresciuto il rispetto reciproco (al di là del ruolo formale) e soprattutto chiunque, prima di intervenire, si interroga sulla “necessità” dell’eventuale modifica.
    Abbiamo mantenuto la riunione settimanale per il giornale, e in quella sede programmiamo anche il web, che si muove a più velocità: temi quotidiani da affrontare subito, argomenti più freddi legati a date precise, temi da lanciare (con engagment anche sui social) e da approfondire poi sul giornale.
  • Nuova dignità alle notizie: la gerarchia della carta è stata sovvertita. Ho imparato che sul web le notizie hanno tutte la stessa forza, non c’è più chi merita la doppia pagina e chi il colonnino. E non c’è neppure home page. Nella lettura via smartphone (condivisa ormai dal 60% dei nostri lettori) l’ordine è dato dalla cronologia della pubblicazione. Sono gli analytics, dopo, a fare la differenza e a permetterci di capire cosa “ha funzionato” di più.
  • La scelta delle notizie (stop alla bulimia): sul web il rischio bulimia è dietro l’angolo, ma gli analytics non perdonano: meglio pochi contenuti ma sicuri. E anche questo, si impara subito. Senza contare che ogni possibile competizione con le grandi testate, da più tempo sul web, per noi sarebbe impossibile. Per questo manteniamo anche sul web la linea editoriale del brand. E quando centriamo l’argomento (un’informazione di servizio, utile, che incida in modo concreto sulla quotidianità delle persone) i dati ci premiano.
  • La ripetizione dei temi: se un tema suscita interesse, si riprende più volte, con un taglio diverso, sul web e, se merita, in ultimo step sulla carta. Stiamo così creando dei “filoni” che ci permettono di fare ordine nelle notizie: che penso sia il ruolo, oggi, di noi giornalisti. Nel mare magnum dell’informazione, dove chiunque dà vita a una notizia e la diffonde, forse il nostro compito è proprio quello di mappare i contenuti, aiutando i lettori a orientarsi e ad approfondire gli argomenti.
  • La bussola dei social network: ho imparato (e altri con me) a postare su Facebook e Twitter i contenuti del sito e a seguire le reazioni, commentando a nome del giornale. Questo ci sta aiutando a creare un dialogo costruttivo con il lettore ma anche a dare un segnale di presenza: “parla con noi, ti ascoltiamo”. Naturalmente abbiamo impostato una sorta di galateo condiviso: quando si risponde, che tono si usa, chi è meglio ignorare. Ma soprattutto: mai bloccare (salvo trolls e pubblicità). Il lettore deve trovare dall’altra parte autorevolezza e professionalità.

E il nostro editore, cosa fa?

Lo sforzo della redazione oggi, con l’azienda in stato di crisi, è molto faticoso. Spesso si rischia di sacrificare la qualità nella velocità del nostro modo attuale di lavorare. E non dev’essere questa la posta in gioco. Mantenerla è una sfida impossibile? Noi facciamo e faremo la nostra parte. Ma occorre che le aziende editoriali aprano gli occhi. E se vogliono “esserci” anche loro nel digitale, operino meno tagli e facciano più investimenti.

I mammuth sono pronti.

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Barbara Rachetti
Garage DonnaModerna

Specializzanda in metamorfosi: da giornalista della carta a DonnaModerna sto tentando la trasformazione in editor di donnamoderna.com