La risorsa del civismo per ‘democratizzare la democrazia’

Aria, idee e leadership nuove. Con il civismo, per la rinascita della Democrazia Italiana. (parte 12di40)

Dino Bertocco
GeeCCo
10 min readApr 28, 2019

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Decisivo un nuovo protagonismo dei cittadini perchè “le progrès ne tombe pas du ciel”.

A questo punto del discorso è necessario fare un passo indietro, ovvero non perdere di vista la data per certi versi più importante del 4 marzo scorso, ovvero quella del 4 dicembre 2016 perché nel Referendum costituzionale la disinformazione e la vera e propria ignoranza esibita relativamente alle ragioni ed agli obiettivi della Riforma hanno costituito non solo la conferma di un analfabetismo funzionale diffuso, ma anche l’emergere di un vuoto nella rappresentanza sociale determinato dalla crisi di legittimazione e qualità delle leadership dei Corpi intermedi della società, sia che si trattasse di Associazionismo ed Organizzazioni sindacali che del mondo vitale degli Enti locali.

Per comprendere il deterioramento della funzione autonoma delle forze sociali, è fondamentale soffermarsi sulle analisi consolidate e sulle considerazioni critiche di Stefano Zan

Tali valutazioni sono state rinvigorite e per certi versi confermate riflettendo sulle ragioni della sconfitta elettorale del PD del 4 marzo 2018

Per quanto attiene Comuni, Province e Regioni, molto è stato scritto soffermandosi sulle cause finanziarie, cioè del ridimensionamento drastico delle risorse pubbliche a disposizione delle politiche sociali e redistributive locali, che soprattutto al Sud hanno avuto un impatto pesante sul peggioramento delle condizioni per la popolazione più fragile ed il conseguente discredito delle istituzioni tradottosi nel voto di protesta antigovernativa e nella richiesta di cambiamento che hanno trovato nel M5s e nella promessa palingenetica del Reddito di cittadinanza la risposta più gratificante.

Qui non si propone di ri-aprire la discussione sul fallimento del ‘Referendum-scorciatoia’ e sulla correlata esplosione dello scontro tra velleitari innovatori e sordidi difensori della palude istituzionale esistente, bensì di riprendere con maggiore vigore e lucidità il confronto sugli ammonimenti ripetuti nel tempo da Giuseppe De Rita, ovvero che

Siamo di fatto ad una sfida durissima: o i soggetti della mediazione si ricostruiscono un proprio spazio nella dialettica sociopolitica oppure restano in un limbo istituzionale. Occorre quindi una seria riflessione collettiva senza ambigue rivincite, una riflessione che peraltro non può restringersi a pure formule di aggiustamento istituzionale ed organizzativo; ma deve sapersi confrontare con l’evoluzione di una società che diventa ogni giorno di più molecolare, liquida, aperta, orizzontale, circolare, indistinta, di moltitudine; e che ha un gran bisogno di una potente ispirazione sociopolitica ed anche un intelligente suo riscontro. Per portare avanti tale riflessione collettiva si impone un grande lavoro di ricerca e di dibattito in tutte le sedi sociali e istituzionali, che più hanno a cuore che lo Stato non viva con un grande vuoto intermedio”.

Su tale nodo irrisolto il sempiterno Presidente del CENSIS è ritornato anche recentemente per stigmatizzare i Rappresentanti del Governo gialloverde che stanno dimostrando di non comprendere che l’Arte di governare una società complessa non si risolve con il semplice cambiamento di chi comanda

L’indagine auspicata da De Rita in effetti aveva già fatto un primo passo importante con una ricerca esemplare focalizzata sulla ‘sfida del civismo potenziale’ (Davide Girardi, Una quotidianità responsabile?. Cosa significa civismo? Etica civile? Come rivitalizzare la qualità civile delle nostre relazioni e delle nostre città?).

In essa era stato rilevato, attraverso un lavoro ampio, tenace e dettagliato, che non è proprio così vuoto il mondo di mezzo, dove sta germogliando un civismo potenziale che “ci dice che c’è qualcosa di buono nella nostra comunità civile, ma che esso va ulteriormente dispiegato, coltivato, valorizzato. Anzi che c’è un tesoro nascosto che fa capolino in una miriade di piccole azioni e pratiche quotidiane. Ordinarie e compiute da cittadini comuni…” (dalla Presentazione di Lorenzo Biagi).

D’altronde già alcuni anni orsono Mauro Magatti e Chiara Giaccardi avevano lanciato il ‘Manifesto per la società dei liberi’ (Generativi di tutto il mondo unitevi!) nel quale avevano invitato a scoprire la forza propulsiva della libertà generativa in grado di creare un nuovo immaginario che ci liberi di noi stessi dandoci la forza di riformare il nostro modello di sviluppo e rinnovare la democrazia “Superando l’individualismo della società dei consumi ed entrando nella società che genera”.

Con un altro approccio (filosofico), ma con lo stesso interesse a monitorare lo stato di salute della cittadinanza Etienne Balibar aveva da tempo messo a fuoco la realtà sociale in cui “alcune persone sono nella società senza essere della società

http://www.consecutio.org/2013/04/gli-orizzonti-della-cittadinanza/

E con ciò evidenziando le dinamiche che rendono la contemporaneità un momento di particolare fragilità dello spazio pubblico e di trasformazione della sovranità nazionale e teorizzando la possibilità di ideare nuovi modi di espressione dell’autonomia dei soggetti collettivi, cioè di riavviare il processo di democratizzazione della democrazia.

Queste annotazioni vogliono indicare la necessità e l’opportunità di un processo di rigenerazione della leadership politica del fronte democratico-riformista, che per affermarsi e legittimarsi deve ‘dialettizzarsi’ ovvero contribuire a sostenere e mettersi in relazione con una rinnovata mobilitazione di tutti i soggetti — sociali, professionali e delle autonomie locali — che esercitano una funzione con un rapporto diretto con i cittadini ed hanno la responsabilità di coinvolgerli nella elaborazione e progettazione delle risposte sui molti fronti della crisi.

E tutto ciò significa orientare e sollecitare la rivitalizzazione della partecipazione, della cittadinanza attiva, della consapevolezza critica per cercare le soluzioni e non solo evocare i problemi e promuovere la protesta, soprattutto perché, come recita il titolo di un libretto francese che vuole costituire una sorta di manifesto della politica macroniana Le progrès ne tombe pas du ciel

Insomma, c’è la necessità di aprire una stagione in cui diventi centrale il protagonismo dei cittadini, di avviare una riscossa civile urgente e ‘Concentrare le competenze e le idee per unire il paese su solidarietà e lavoro’, come sostiene l’appello di Leonardo Becchetti, Marco Bentivogli, Mauro Magatti e Alessandro Rosina.

E per dare un significato comprensibile, un ‘approdo’ concreto a tali ‘visioni’ e progettualità ancorate, per usare un’espressione deritiana, ‘rasoterra’, ricorriamo due personalità con background che non potrebbero essere più diversi, ma nello stesso tempo, sulla scorta di lunghissimi percorsi (di concretissime esperienze imprenditoriali e politico-istituzionali l’uno e di raffinata ricerca e saggistica filosofiche l’altro) convergono nel prefigurare il rinnovamento democratico del Paese attraverso il civismo.

In una lunga ed effervescente intervista al Foglio Piero Bassetti, a conclusione di un ragionamento focalizzato sul ‘secondo Risorgimento’ necessario, ribadisce:

Serve partire dalla selezione di una classe dirigente che pensi così in modo territoriale. E oltre i territori — dice Bassetti — io sto battendomi per proporre il civismo come modello diverso sia dal localismo sia dalla opposizione tra elite e populismo. Un modo di pensare la politica che riparta da dove si è e che elabori soluzioni adeguate. Almeno come idee, ipotesi. Le liste civiche a qualsiasi livello possono essere luoghi di selezione di una classe dirigente capace di affrontare il problemi del Paese…”.

Dall’altro versante, Umberto Curi, nel rispondere alla domanda postagli da un esponente di ‘Coalizione Civica’, la lista che ha partecipato alle ultime elezioni amministrative del Comune di Padova, vincendole, dopo aver analizzato in profondità la crisi del sistema democratico italiano, soprattutto sul piano dell’efficienza istituzionale e degli equilibri tra i poteri costituzionali, chiarisce e definisce con limpidezza il contributo ed i confini politico-culturali del civismo.

Alla luce di queste considerazioni, ritiene che si possa giungere ad una definizione coerente di ‘Soggetto politico civico’ e quali ritiene siano gli elementi costitutivi?’

Considerando la frequenza con cui l’etichetta civica è stata strumentalmente utilizzata per coprire iniziative di puro e semplice trasformismo, o per tentare di mascherare la vera identità politica dei soggetti che ne sono promotori, può rivelarsi utile cercare di chiarire che cosa si debba intendere per ‘civico’. Molti pensatori concordano, pur in modi diversi, di definire la società civile come quel livello di organizzazione sociale dei bisogni e degli interessi che precede il livello dello Stato e delle istituzioni. La società civile come ‘grado’ che dalla ‘immediatezza naturale’ dell’aggregazione familiare conduce alla ‘consapevolezza’ dello Stato.

La società civile non è un luogo di neutralizzazione dei conflitti, non è uno spazio ‘pacifico’, privo di contraddizioni, non identifica affatto un livello in cui non si debbano operare delle scelte. In altre parole, essa non coincide con la negazione della politica come confronto e scontro fra posizioni contrastanti, ma all’opposto riconduce la conflittualità alle sue basi originarie, di carattere economico e sociale. Non può quindi accadere che l’essere civici conduca ad una specie di agnosticismo che esoneri dal prendere una posizione in merito alle principali questioni al centro del conflitto politico. Civico non è l’opposto di politico ma è diverso rispetto a quella formalizzazione della politica che è data dallo Stato e dalle sue istituzioni, ivi compresi i partiti politici. Rispetto ai temi che le amministrazioni comunali devono affrontare — dall’emigrazione alla sicurezza, dal degrado delle periferie ai servizi sociali, dal trasporto pubblico all’utilizzo del suolo — una lista potrà dirsi autenticamente civica non proclamando la propria ‘neutralità’ o mancanza di ‘colore’ politico, ma esattamente al contrario dichiarando esplicitamente e analiticamente le proprie opzioni, e su esse chiedendo il consenso dell’elettorato. Ove ciò non accada, dovrebbe risultare palese l’inganno: le sedicenti liste civiche altro non sono che l’ennesimo ingannevole travestimento di una politica tradizionale ormai giunta al capolinea

Nel tirare le somme di questa rapida e schematica immersione nel pensiero e nei propositi di quanti auspicano la rigenerazione democratica indicando la via dell’impegno civile e la cittadinanza attiva, ovvero i valori e le strategie operative ispirate dalla cultura della sussidiarietà, diventa giocoforza inevitabile porsi l’interrogativo sul ruolo e sulla presenza che la Chiesa manifesta in questo tornante particolarmente tortuoso della storia del Paese.

Ne ha parlato esaustivamente, con lo spirito del ricercatore di verità e la tensione operosa del pastore, il Presidente della CEI, cardinale Gualtiero Bassetti, in un’intervista che potrebbe essere riassunta nel programma di “costruire una grande rete per l’Italia e per un futuro solidale ed europeo”; ne focalizziamo i due passaggi che riteniamo essenziali e che possiamo anche considerare ‘conclusioni’ coerenti (e condivisibili) per il discorso che abbiamo affrontato in questo capitolo.

Ha citato La Pira. È possibile rilanciare la presenza dei cattolici sulla scena politica?

È auspicabile un impegno concreto e responsabile dei cattolici in politica. Ma è un impegno che spetta senza dubbio ai laici. Laici che, però, non solo devono essere adeguatamente formati nella fede, ma sono chiamati ad assumere come bussola dei loro comportamenti quella ‘visione martiriale’ della politica evocata da papa Francesco. La politica per i cristiani non è il luogo per fare soldi o per avere il potere. È all’opposto il luogo del servizio, di chi non si lascia corrompere e del ‘martirio quotidiano’. Come pastore ho il dovere di ricordare e suggerire ai laici di servirsi di quel tesoro prezioso che è la Dottrina sociale della Chiesa. Un tesoro a disposizione dell’umanità intera, ma che non è ancora stato compreso appieno. Se fosse stato veramente recepito, avremmo superato quella sterile divisione del passato tra i cosiddetti ‘cattolici del sociale’ e i ‘cattolici della morale’. Dobbiamo tornare all’unità del messaggio evangelico e capire fino in fondo che la difesa della vita e della famiglia è collegata inscindibilmente con la cura dei poveri, degli ultimi e degli scarti della società”.

Allora come comportarsi?

Ci sono già tantissime esperienze sul territorio a livello associativo o anche singole esperienze. Ricevo continuamente lettere di incontri, anche piccoli, di uomini e donne di buona volontà che hanno a cuore il bene comune della propria città, provincia o regione. Esperienze che forse andrebbero messe in rete in una sorta di Forum civico. Occorrono giovani laici cattolici, trentenni e quarantenni, che sappiano cucire reti di solidarietà e di cura. E che soprattutto sappiano essere il sale della terra. Sappiano cioè parlare e dialogare con tutti coloro — senza distinzione di fede e cultura — che hanno veramente a cuore il futuro dell’Italia e dell’Europa. Senza creare nuovi ghetti e nuovi muri”.

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