la sera in cui ho presentato il moroso alla mamma e al papà ero stata incaricata di pensare al primo

babbo si occuperà del secondo, io che porto? i cannelloni? una pasta al forno? potrei fare i pansoti!

la wonderzdora

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ci ho pensato su per un paio di giorni poi ho steso il piano di battaglia per la giornata.

innanzitutto bisogna pensare a “gli erbi”… il sabato mattina inizia dunque con me che mi alzo innaturalmente presto e vago per il mercato; i miei obiettivi sono la borragine e la maggiorana fresca (quella secca sa di poco) ma ovviamente quel giorno —dopo mesi e mesi di “ma si, dai… le borragini le compro la prossima volta”— i vecchietti del banco delle erbe di campo non si vedono da nessuna parte.
al loro posto, un rivenditore di fiori finti.

fail.

torno a casa con tre mazzi di erbette a due euro, la maggiorana, un chilo di satsuma miyagawa, sei cachi (il moroso mi ha convinto che non potevamo esimerci dal trarne una crema calda da servire col dolce al cioccolato), un avocado regalato e un paio di manciate di castagne bellissime che poi si sarebbero rivelate in gran parte ammuffite.

a posteriori avrei potuto prendere anche delle scarole (che del resto nei piatti poveri ci vanno le erbe che si trovano), ma —ahimé— la mia lucidità mentale scende di sette punti percentuali ogni minuto che passo fra le signore che ti passano sui piedi col carrellino e gli ambulanti che strillano “due chiiiiiili uuuun euroooo!”.

per arricchire il gusto piattino delle biete —una volta recuperato il raziocinio— aggiungo un po’ di spinaci e qualche nido di barba di frate gentilmente concesso da sua maestà il freezer.

due mazzetti di erbette,
quattro manciate di spinaci,
un fondo di barba di frate,
delle scarole immaginarie,
la borragine che non c’era al mercato.

secondo la ricetta le verdure,una volta lavate, vanno lessate.
io, che ho un’atavica idiosincrasia per la verdura bollita e odio dissolvere i sali nell’acqua, ammoscio le erbe a vapore o sotto un peso (in quel caso le salo leggermente, ci metto sopra un coperchio che le schiacci per bene e sul coperchio appoggio un sasso di fiume da 5kg; poi accendo il fuoco e attendo un paio di minuti. è un ottimo modo per far compattare i sacchettoni di spinaci ed erbette in padella :-P)
una volta cotte, le erbe vanno strizzate bene e tagliate finemente.
il liquido ottenuto può essere tenuto da parte per il sugo di noci o bevuto come integratore :-)

i “formaggi”: e che mettiamo al loro posto? confesso che sono stata pigra, nel sostituire la ricotta, e invece di preparare la cagliata fresca fatta in casa ho usato:

il tofu di cartone del supermercato nel mortaio della bisnonna

un blocco di tofu di cartone del supermercato
(quello sottovuoto) tagliato a pezzetti,
lasciato a marinare in acqua e sale per un’oretta,
e poi schiacciato nel mortaio.

per sostituire la prescinsêua (una cagliata di latte acidulo tipica della liguria) ho invece seguito una rapida e indolore ricetta di stracchino vegano che ho trovato online, una specie di “besciamella” a base di latte di soia e farina di riso acidulata con limone e yogurt.

8 cucchiai di latte di soia
2 cucchiai rasi di farina di riso glutinoso
1 cucchiaino colmo di amido di mais
1 cucchiaio di panna di soia
2 cucchiaini di succo di limone filtrato
un pizzico di sale
2 cucchiai colmi di yogurt di soia al naturale

ho mescolato la farina di riso, l’amido di mais, il latte, il sale e il succo di limone in un pentolino e ho fatto addensare a bagnomaria. non amando la panna di soia, l’ho sostituita con una punta di burro vegetale.una volta ottenuta una crema piuttosto ferma, ho lasciato raffreddare e poi aggiunto lo yogurt mescolando bene con una forchetta.

appena preparato il gusto è ancora fra il meh e lo sgnè e si sentono troppo sia il limone che la farina di riso ma, con un poco di riposo, i gusti si amalgamano e dopo un paio d’ore lo stracchino risultante non è niente male. ammetto che dopo un’iniziale perplessità mi sono convinta (il moroso, che viene da est, sostiene assomiglia allo squacquerone)

il ripeno è praticamente pronto:

le erbe cotte e tagliate fini
la “ricotta” e metà dello “stracchino”
uno spicchio d’aglio tritato
un paio di rametti di maggiorana
un cicinin di prezzemolo e menta
noce moscata
sale e pepe qb

mescolare, regolare di gusti e mettere da parte.

la pasta è la cosa più spannometrica. non so mai dire quanta acqua ci vada, per esempio. dimentico sempre di misurarla.
e comunque trovo che sia pressoché inutile: so che i professionisti lo fanno, ma nella mia nicchia di spaziotempo fare la pasta in casa è un’operazione non scientifica. dipende troppo dalla tipologia e dalla qualità della farina, dalla temperatura, dall’umidità dell’aria e dagli sghiribizzi degli dei della cucina. la pasta è jazz e animismo.

250gr di farina di semola di grano duro
250gr di farina 00
mezzo bicchiere di vino bianco secco
acqua calda qb

impastare finché la massa non è liscia e coerente (non è opera da frettolosi perché ci si possono mettere anche 30 minuti, ma certamente aiuta a sfogare le braccia e svuotare la mente ;-P).
lasciar riposare una mezz’oretta prima di stendere.

l’assemblaggio finale. stendere la pasta, tagliare in quadrati di ca 6 cm per lato, riempire con una cucchiaiata di ripieno, ripiegare lungo la diagonale e unire i lembi pizzicottando con le dita.
si possono lasciare triangolari o richiudere a tortello.

i pansoti che al momento abitano in freezer

per congelare i pansoti, disporli su una teglia, congelarli, e poi radunarli in un sacchetto.
e con la pasta che avanza ci si fanno i maltagliati per la pasta e fagioli ;-)

l’unico pansoto condito sopravvissuto abbastanza a lungo per essere fotografato

lessare finché vengono a galla, impiattare, condire con il pesto di noci e divorare quasi completamente prima di ricordarsi di fare una foto scrausa col cellulare ;-)

(di quanto ho preparato posso presentare una minima evidenza fotografica solo perché avevo congelato e messo da parte quelli in eccesso… non sono fatta per fare la fùdblogger ;-P)

(eppoi diciamolo, probabilmente avevo altre cose per la testa, quella sera ;-)

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