Livelli

Silvia Cannarsa
gli scritti di real world 1
2 min readMar 19, 2015

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Da ascoltare mentre si legge.

Cornacchie volano basse, sopra le bancarelle del mercato, richiamandosi l’un l’altra. Si fermano sui lampioni e osservano cupe le persone attraversare l’aria ovattata di Porta Palazzo.

Piccioni sorvolano in alti cerchi concentrici, sfruttando le correnti d’aria, si posano raramente, le cornacchie non amano la loro presenza sui fili intrecciati del tram.

Li cacciano gracchiando, solitarie ma unite contro un nemico innocuo, una minaccia solo numerica. I piccioni sono grassi, sgraziati, hanno un piccolo becco spuntato, il cervello piccolo e nemmeno un briciolo dell’eleganza delle penne scure e delle ali ampie delle cornacchie, sono facili da allontanare, basta un urlo.

Non oseranno avvicinarsi ai resti delle bancarelle, non per primi, quando i pomodori più succulenti e maturi sporcheranno le ampie lastre di pietra della strada.

Il pasto più sostanzioso lo avranno loro, le cornacchie dal becco aguzzo e dalla stazza imponente. Le regine della piazza, che attendono rumorose fin dal primo mattino; a un metro dagli ambulanti li osservano, con la testa piegata verso il basso, pazienti e altezzose sorveglianti della loro proprietà.

Passerotti nervosi sfrecciano a pochi centimetri da terra, sfiorano le teste dei commercianti, si riparano sotto i tendoni colorati e cinguettano, parlandosi ad alta voce.

Sono piccole eccezioni, minuscole saette che rompono il vociare della piazza incrinandone il rumore basso, profondo, il rumore di un terremoto. Il rumore della terra che ogni mattina crepita dalle sue viscere e viene vomitato per intero nei grandi mercati del mondo, un giorno dopo l’altro.

Colori che esplodono violenti tra cassette di frutta, carciofi brutti buttati su un bancone, scarpe cinesi, spezie vendute in piccoli sacchetti trasparenti come cocaina, appesi su fili di spago affastellati, persone che vagano, comprano, alzano la voce oltre quella dei venditori; un frenetico vorticare che costringe a rallentare il passo, un rincorrersi lento, uno scontrarsi volontario di atomi inconsapevoli.

E le cornacchie là sopra nell’aria umida, vigili predatrici della loro colonia.

Osservo dal bordo il movimento della massa brulicante, il mio livello è la superficie della terra, il livello dell’uomo, quello che inciampa nelle prese della corrente tra una bancarella e l’altra, quello che brancola alla ricerca di ciò di cui necessita.

Alzo lo sguardo verso il livello degli dei, osservatori instancabili della fauna in terra. Prendono ciò che resta alla fine del giorno, senza fatica alcuna. Tutti avranno da mangiare, prima o poi, ma tra loro vige la stessa gerarchia dell’uomo.

Prima le cornacchie, le insaziabili. Più tardi i piccioni, i fragili, prenderanno i loro scarti mentre i passerotti ruberanno ciò che possono schizzando tra le cassette di legno rimaste sul porfido.

Al tramonto tra loro altri uomini, altre donne, a strisciare raso terra.

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