The Lone Ranger

Valentina Mazzoni
gli scritti di real world 1
3 min readMar 19, 2015

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“Ce le ho solo io le chiavi, quando chiudo non può più entrare nessuno. Sono l’unico guardiano.”

La ghiacciaia smetterà di esistere a breve, molto breve, anche se non si sa di preciso quando. Forse un mese, forse due e poi questa grande balena morirà. La senti quasi respirare stanca e imponente nei suoi cinque piani interrati, dall’aria decadente e con un’illuminazione che mostra sfacciata tutti i segni della sua vecchiaia. La sua pancia verrà svuotata, dirà addio ai settanta venditori ambulanti che da tempo custodiscono nelle sue celle sotterranee i carretti dei banchi d’abbigliamento del mercato di Porta Palazzo.

“La ghiacciaia si sta preparando da tempo a morire, una volta teneva le merci di centocinquanta venditori, tutti italiani, oggi non sono nemmeno la metà. Ora si guardi in giro, sono tutti stranieri, sono tutti nuovi, tutti affittuari dei box. I padroni, certo, loro sono Italiani ma la faccia non ce la mettono mai. Rimango solo io.”

Daniele gira per i corridoi, anche se saltasse la corrente non avrebbe problemi a ritrovare l’uscita, a inerpicarsi su per le strette scalette di mattoni e per i corridoi con il soffitto a volta troppo basso. Lavora nella ghiacciaia da quarant’anni, ha cominciato a sedici facendo il portatore e poi la storia ha fatto il suo corso. Ogni giorno, mattina dopo mattina, anno dopo anno, ha visto i carretti risalire alla luce tramite gli unici due montacarichi della ghiacciaia, trainati da uomini sempre diversi.

“Ho iniziato da piccolo a lavorare ma gli ambulanti tenevano già qui le loro merci, i carri erano più piccoli e avevano i freni ma nessun motore. Fino a pochi anni fa c’erano molti più banchi e quindi molti più carretti: oggi lo possono vedere tutti con i propri occhi che la piazza è più vuota. Quello che non è cambiato è che tutte le notti, sei giorni su sette, noi siamo qui.”

Usa il plurale ma non sembra riferirsi ad altre persone, assomiglia più a un nostalgico che parla di una vecchia compagna. Mi mostra orgoglioso il quinto piano, il più profondo, con i suoi cunicoli ormai sbarrati e me lo giura, si sarebbe potuta raggiungere ogni parte della città tramite questi passaggi per il ghiaccio. Un ghiaccio che ormai non c’è più dagli anni Quaranta.

“Era anche un rifugio sai, forse il più grande di Torino durante la seconda guerra mondiale, così mi hanno detto.”

Cammina, si appoggia alle pareti, a volte sembra quasi carezzarle. Arriva in fondo all’ultimo corridoio e mi chiede se lo sento il fiume che sta solo due metri sotto di noi, me ne parla quasi con reverenza, come se si riferisse ad un vecchio e ricco signore a cui portare rispetto. Poi si gira senza dire niente per tornare in superficie, scalando esperto la miriade di scale che ci si presentano davanti. Arrivati all’androne del piano terra si ferma e fissa il portone principale. Dice che potrebbe raccontarmi altro ma che andrebbe troppo per le lunghe.

“I vigili del fuoco ci fanno chiudere, non ci sono le norme di sicurezza. Una sola uscita in cinque piani, non ci possiamo fare niente. Certo però, abbiamo campato duecento anni, secondo me potevamo andare avanti ancora.”

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Valentina Mazzoni
gli scritti di real world 1

23 anni, quasi-adulta in un mondo troppo grande . Parlo troppo, dubito molto e dormo poco.