Capitolo 1: Un libro senza immagini

Federico Ruysch
Greta, the great
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5 min readNov 12, 2015

Questa è una storia speciale, perché è fatta di tante storie, tutte diverse tra loro, con qualcosa di unico che le accomuna: la piccola bimba che visse queste straordinarie avventure.

Tutto ebbe inizio nel giorno del sesto compleanno di Greta.

Era un pomeriggio di Sole e, nella casa inondata di luce gialla, una torta colorata svettava, trionfale, al centro del tavolo del salotto, con ghirlande di zucchero rosa, fiorellini di burro, ciuffetti di morbida panna. Sei candeline si innalzavano, bianche e rosa, come colonne di un palazzo regale e gustoso, con pareti di pan di Spagna, affreschi di zucchero, e lunghi corridoi pavimentati con crema giallissima.

Attorno al tavolo c’erano gli invitati. Il nonno, con il volto tondo e baffuto, e la nonna che lo sgridava perché non si era tagliato la barba. La mamma — con gli occhi luminosi ed il sorriso soffice e soddisfatto, sul volto — ed il papà, che la abbracciava teneramente. I loro occhi erano tutti puntati sulla bella Greta che, in piedi sulla sedia, sorrideva fieramente, in attesa di poter soffiare sulle candeline.

Il papà, con fare solenne, tirò fuori dalla tasca dei pantaloni l’accendino, quindi avvicinò la fiammella ad ognuno dei sei stoppini delle candele che, non appena erano toccate dal fuoco, subito gliene rubavano un pezzettino, e lo tenevano lì con loro, a giocare.

Quando in cima ad ogni candelina ci fu una fiammella danzante, Greta gonfiò le guance e soffiò con tutte il fiato che aveva, e con qualche gocciolina di saliva, anche! Per fortuna, però, di questo non si accorse nessuno.

Le fiammelle, spaventate, fuggirono via in un filo di fumo grigio.

«Auguri!», dissero tutti a gran voce.

La piccola Greta, con gli occhi vispi ed il sorriso da malandrina, batté le mani, pregustando il sapore del dolce che, di lì a poco, la mamma avrebbe servito a tutti gli invitati, porgendo a ciascuno di loro un bel piatto colorato e decorato con il disegno di un buffo animaletto.

Al nonno baffuto toccò il piatto con l’orso. Alla nonna quello con la capretta. Alla mamma quello con la rondine e al papà quello con la volpe. Solo un piattino rimase lì, sul tavolo: era quello della zia Cristina, che era sempre in ritardo, ed era una gran pasticciona combina guai. Sul suo piatto, sotto alla fetta di torta, c’era il disegno di un gatto dallo sguardo pigro e simpatico, e dall’espressione un po’ vanitosa.

Quando tutti ebbero finito di mangiare la torta, venne il momento che Greta preferiva di più in assoluto: quello in cui si scartavano i regali.

Impaziente, si gettò sul grosso pacchetto rosso, con il fiocco giallo, che le avevano portato i nonni. Greta strappò la carta e, poi, rimase a bocca aperta, con gli occhi pieni di stupore. Nella scatola c’erano un cavalletto e tanti tubetti di tempere colorate, come quelli che usavano le vere pittrici che, poi, esponevano i dipinti nei musei.

Greta diede un bacio al nonno e alla nonna, e corse verso il pacchetto della mamma e del papà: un sacchetto dorato, con una coccarda verde, che conteneva uno zainetto tutto colorato, per andare a scuola. Perché Greta non era più una bambina piccola, oramai, e a breve avrebbe iniziato a frequentare la scuola dei grandi. Quel dono la mandò in fibrillazione, e subito iniziò ad immaginare quanto sarebbe stato emozionante andare alle scuole elementari, e fare tanti disegni, e correre nel prato all’inseguimento degli amici dispettosi, durante l’intervallo.

In quell’istante, qualcuno suonò alla porta. Il papà andò ad aprire. Era arrivata zia Cristina. A Greta stava molto simpatica, perché la faceva divertire. Aveva il viso dolce e gli occhi delicati, color della sabbia dorata. Era quasi sempre spettinata, ed i capelli le stavano arruffati, sul capo e attorno alle guance soffici, come fili d’autunno e di rame e di Sole.

La cosa più importante per Greta, in quel momento, però, era che zia Cristina reggeva, sotto al braccio, un pacchetto — un po’ stropicciato, a dire il vero — con la carta un po’ sgualcita e il fiocco parzialmente disfatto. Non era un bel pacchetto, a ben guardare, ma era pur sempre un regalo. E Greta adorava i regali. Così, la bimba corse ad abbracciare la zia, la baciò sulla guancia, e piena d’emozione strappò la carta del dono, e… e scoprì che si trattava di un libro. Uno di quei libri noiosi, senza figure, di quelli che ai grandi piacevano tanto, ma che a Greta non erano mai andati a genio. Fu sul punto di mettere il broncio, ma poi Greta preferì non offendere la zia e, così, la ringraziò e corse verso la scatola dalla quale i nonni avevano iniziato ad estrarre le tempere con le quali Greta si sarebbe divertita per l’intera giornata.

Giunta l’ora della nanna, quando i nonni e zia Cristina erano già tornati a casa da un po’, la mamma accompagnò la piccola Greta nel lettino, le diede il bacio della buona notte e, prima di uscire dalla cameretta, appoggiò sul comodino il regalo di zia Cristina.

Greta, che era ancora emozionata per la giornata appena conclusa, non ne voleva proprio sapere di addormentarsi e, così, dopo che si fu girata e rigirata un po’ sotto le coperte, si mise a sedere nel lettino, accese l’abat-jour e prese il libro di zia Cristina dal comodino. Lo appoggiò sulle coperte colorate. Lo aprì.

Le pagine erano piene di lettere: quei simboli strani che, da qualche tempo, aveva imparato a riconoscere e a trasformare in suoni, ma che ancora non le riusciva tanto bene di mettere in fila perché formassero le parole, e le frasi, e le storie.

Un po’ per reale difficoltà, un po’ per pigrizia, Greta decise di controllare nuovamente se quel libro non contenesse anche soltanto un disegno.

Sfogliò una pagina, ne sfogliò un’altra, e poi trovò un foglio bianco.

“Che strano! — pensò — Lo scrittore deve aver saltato una pagina!”.

Poi, però, guardò meglio, e vide che la pagina non era completamente bianca. Vi era, nel centro esatto, una macchiolina nera. Come un puntino. E la pagina, più che bianca, pareva brulicare di batuffoli bianchi, algidi e leggeri, di neve freddissima. Greta guardò meglio, e le parve che quel puntino nero si stesse muovendo sulla pagina, come in cerca di qualcosa. Aguzzò lo sguardo… si avvicinò alla pagina… si sporse sul libro e, all’improvviso, sentì che la carta stava scendendo, e che la sua mano stava affondando. Stava affondando nella storia.

«Aiuto!», riuscì a dire, prima di sparire tra le pagine del libro di zia Cristina, ora abbandonato sotto alla luce da notte, sulle coperte del lettino, vuoto.

Quando aprì gli occhi, Greta vide tanta neve attorno a sé, e una luce pallida che proveniva dal cielo, invaso da fiocchi che turbinavano, rapiti dal vento.

Di fronte a lei c’era quello che, visto dall’alto, sembrava soltanto un puntino su una pagina e che, invece, era un gigantesco lupo nero, con le zanne affilate e gli occhi gialli, perso nella tormenta di neve.

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