Capitolo 2: Il nero del lupo

Federico Ruysch
Greta, the great
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5 min readNov 12, 2015

Greta se ne stava lì, nella neve, con le gambe bloccate.

Era confitta nella fredda coltre di fiocchi come una carota nella terra, per via della lunga caduta che, dalle pagine del libro della zia Cri, l’aveva fatta piombare nel gelo di quella distesa.

Con gli occhi grandi ed acquosi, guardava il grosso lupo nero che aveva di fronte a sé, e non sapeva più se fosse quello a farla tremare, o se fossero i colpi taglienti che il vento sferzava, gravido di cristalli di ghiaccio.

Il lupo, con i bianchi denti affilati, si mosse lentamente verso Greta che, ormai, poteva a malapena scorgerlo, al di là degli occhi socchiusi e pieni di lacrime.

Quando il giallo sguardo della bestia le fu troppo vicino per poterne reggere il peso, Greta si coprì il viso con le mani, e rimase ferma, in attesa, temendo il peggio.

Sentì i denti che la afferravano per il pigiamino:

“Vuole mangiarmi!”, pensò.

Ma il lupo nero tirò delicatamente e la aiutò ad uscire dalla neve. Poi, scorgendo un piccolo boschetto poco lontano da lì, lo raggiunse a passi lenti, sempre tenendo la bimba per quel sottile lembo di stoffa.

“Mi porta nella tana per mangiarmi!”, pensò allora Greta, ma quando sentì che il lupo la posava a terra e le si sdraiava accanto, capì che non aveva cattive intenzioni.

«Allora non mi vuoi mangiare!», ridacchiò, togliendo le mani dal viso e scoprendosi in una tana riparata e calda del tepore dell’animale.

Quello guardava la bimba con espressione mesta e triste. Non c’erano rabbia o malvagità in quegli occhi, bensì malinconia e solitudine, soltanto.

Greta allungò la manina verso il muso lungo e minaccioso dell’animale. Quello scostò la testa una volta, due volte, tre volte, ma alla fine si lasciò accarezzare. Chiuse gli occhi, e si lasciò cullare dalle coccole di Greta, le cui manine, ad ogni carezza, diventavano sempre più nere. Nere come il pelo del nerissimo lupo.

Sia Greta sia il lupo, poi, socchiusero gli occhi e, lentamente, si addormentarono.

«Guardate! Ha rapito una bambina!». La voce cavernosa di un uomo fece svegliare Greta ed il lupo nero, che subito si mise dritto sulle zampe, ed iniziò a ringhiare forte, con tutti i denti bene in mostra.

Fuori dalla tana — nulla più che una buca ricavata tra le grosse radici di un abete — nel bosco dall’aria scura e solcata dagli alberi alti e silenziosi, tre cacciatori stavano indicando il lupo.

Il primo cacciatore, alto e magrissimo, aveva il naso affilato come il becco di un rapace, le grosse orecchie a sventola e l’aria da tonto.

Il secondo cacciatore, invece, era basso e tozzo, e sembrava un castoro.

Il terzo cacciatore, infine, era grande e grosso, con la testa completamente rasata, lo sguardo gelido, e due grossi e folti baffi ad incorniciare la malvagia espressione della sua bocca.

Tutti e tre indossavano pellicce folte, colbacchi di pelli di animali, e nelle loro mani brillavano le lame affilate di minacciosi pugnali.

«Vuole sicuramente mangiare la bambina!», fece quello magro.

«Dobbiamo uccidere quel lupo!», disse il cacciatore che sembrava un castoro.

«No! Lui è mio amico!», provò a gridare Greta, ma il lupo balzò in avanti e la fece cadere a terra. Fuori dalla grotta, nella notte innevata, erano grida, e rumore di lame e di denti, e macchie di sangue rosso e caldo sulla coltre ghiacciata dell’inverno.

Poi vi fu silenzio. La voce di uno dei cacciatori disse:

«È finita, piccola. Lo abbiamo catturato. Vieni con noi, ti riporteremo al villaggio, dalla tua mamma…». Il cacciatore grande e grosso la portò fuori dalla grotta, dove il lupo nero, ferito e legato con corde e lacci di cuoio, era sdraiato a terra, con il respiro affannoso e gli occhi pieni di terrore.

«Che cosa gli farete? Povero lupo!», disse Greta.

«Povero? — Le fece eco il cacciatore alto e magro — Ha mangiato tutte le pecore del nostro villaggio e, ora, noi ci mangeremo lui!».

Detto questo, i tre cacciatori si incamminarono nel fitto del bosco. Uno con Greta in braccio, e gli altri due con il lupo al traino, strattonandolo e trascinandolo senza riguardo.

Giunti in una radura che si trovava al limitare del bosco — oltre al quale si apriva una grande distesa di neve — i tre accesero un fuoco, per cucinare il lupo.

Greta, guardando il lupo negli occhi disperati, con il muso costretto da cinghie e legacci, sentì di voler piangere. Fece per nascondere il viso tra le mani, e notò che le aveva ancora tutte sporche di nero. Il nero del lupo.

In quel momento, a Greta venne un’idea:

«Non potete mangiarlo così! — Disse — È sudicio! E forse ha anche le pulci! Prima di cucinarlo dovreste lavarlo!».

I tre cacciatori — che mai avrebbero pensato ad una cosa del genere, perché loro stessi puzzavano come capre ed erano intelligenti come piccioni — si guardarono a lungo tra loro. Quello che sembrava un castoro, alla fine, disse:

«La bambina ha ragione! È lercio! Sciogliamo un po’ di neve nelle pentole e laviamolo con l’acqua calda!».

«Vi aiuterò anche io, se me ne lascerete assaggiare un pezzo!», disse Greta, che però stava mentendo! Perché lei non aveva affatto intenzione di mangiare il lupo.

Quando l’acqua fu pronta e, con degli stracci umidi, lei e i tre si misero a pulire il lupo, lei slegò tutti i nodi delle corde che lo tenevano legato, e gli sussurrò alle orecchie:

«Preparati a scappare via!».

Quando, alfine, il lupo fu completamente pulito, tutti rimasero a bocca aperta. Perché era bianco e lucente, e pareva fatto della stessa stoffa di cui è fatta la toppa della Luna, cucita alla coperta della notte per renderla più bella e poetica.

«Adesso, mangiamolo!», disse il cacciatore con il naso che sembrava un becco, sguainando il suo pugnale.

«Fuggi via, lupo!», gridò allora Greta e, nel terrore dei tre cacciatori, la belva si liberò dalle corde e fece un balzo di sette metri e mezzo, finendo nella neve della radura, al di là del bosco.

Ora che il lupo era pulito e bianchissimo, però, nessuno poteva più distinguerlo dalla coltre di neve; era diventato invisibile!

«Dov’è finito?», domandava il cacciatore grassottello.

«Non si vede più…», constatava lo spilungone.

«Lo hai aiutato a scappare, malandrina!», gridò il terzo cacciatore, a Greta, che beffarda rispose:

«E chi vi dice che sia fuggito? Il lupo è bianco come la neve. Nessuno può vederlo. Magari è già lontano, magari è ancora qui, accanto a me, in agguato, e aspetta che voi facciate un solo passo per mangiarvi! Ecco perché, da oggi in poi, voi avrete per sempre paura del lupo: perché non potrete mai essere certi che lui se ne sia davvero andato via!».

A quelle parole, i tre cacciatori girarono i tacchi e fuggirono a gambe levate, nel fitto del bosco.

Greta, invece, sentì che il lupo bianco la sollevava, dal pigiamino, invitandola a salirgli in groppa. E, così, la bambina lasciò che fosse il suo nuovo amico a guidarla verso la prossima avventura.

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