Andate via dal Sud…

Giovanni Di Lauro
Groucho’s Portal
Published in
5 min readAug 7, 2017

Partite! Lasciate queste terre! Andatevene! Ora!

Ma fatelo solo per tornare! Solo per dare la giusta importanza a tutto quello che avete sempre avuto davanti.

A 18 anni, noia e sogni erano così grandi che partire era l’unica mossa possibile. E quindi sono scappato, alla ricerca dell’America, quella della felicità, quella della tivù. Avrei preso per pazzo chiunque avesse cercato di bloccarmi e convincermi che, in realtà, essa fosse già sotto il balcone di casa. Perciò se ancora non avete lasciato la vostra terra, non vi fidate di nessuno. Provatelo sulla vostra pelle. Andatevene! E tornate!

Da adolescente Milano mi ha accolto, mi ha istruito, mi ha regalato momenti e amicizie indimenticabili. Mi ha spaventato, fortificato, impartito lezioni di vita. Ho sfidato il Nord, nonostante il monito dei miei conoscenti suonasse come un “ma che vai a fare, che là so tutti tristi”. Ma io ho riso, sono stato felice, mi sono innamorato. Mille volte sono rimasto ad osservare per ore la luna da piazza Duomo. Tristezza!?!? Ma dove? Ecco ancora una volta non credete a nessuno. Partite! E tornate!

“Finestrino o corridoio?” mi chiedevano in biglietteria ai miei primi viaggi, “indifferente” rispondevo. Dovevo studiare. Avevo libri da macinare, finestrino o corridoio nessuna differenza. E poi, cosa avrei mai dovuto vedere dal finestrino? La terra che odiavo e che per 18 anni mi aveva annoiato a morte? No! Io volevo solo focalizzarmi sulle pagine da studiare. Volevo diventare “qualcuno”, non avevo neanche un minuto per guardare fuori. E allora eccomi al Nord. Smog e stress. Questi sì che ci sono davvero e quando il tuo paese di origine è un borgo marinaro di 600 anime, la sensazione di soffocamento per l’aria pesante è inevitabile.

Poi è arrivato Los Angeles. Sei mesi in una delle migliori università americane. California da Hollywood e vita da film. Mare, spiagge e libertà. Ma tutto finto. Tutto senza valori e tanta ignoranza. Grandi progressi tecnologici e giganti della rivoluzione digitale, ma zero cultura. È lì che ho iniziato a sentire la nostalgia di casa. Io, nato tra Elea e Paestum, lì tra discorsi solo su tette rifatte e party in piscina? No grazie. Iniziavo a capire di come fossi stato fortunato ad avere un’educazione accademica italiana. Nonostante le aule cadessero a pezzi, ero fiero di ogni mia singola lezione di filosofia. Partite! Andate a vedere! E tornate!

Quando il sindaco del mio comune mi chiese di dargli una mano ad Expo per pubblicizzare la nostra terra ero titubante. Come potevo essere, io che l’ho sempre odiata, il suo rappresentante ad un evento così importante? Cosa potevo mai dire al mondo? Quello che conoscevo erano solo 18 anni fatti di noia. Eppure, estate 2015, ero lì, al caldo disumano milanese. Mi diedero uno stand, un paio di documentari da mostrare e dei volantini pubblicitari. Io non sapevo che dire. Arrivò la prima visita, una famiglia della bergamasca. Non volevo parlare di nulla e poi avevo solo da raccontare quello che avevo visto nella mia adolescenza. Mi feci coraggio. Iniziai. Aiutandomi con le immagini di un documentario gli parlavo di tutto quello che avessi vissuto. Dalle montagne al mare. Dalle feste patronali ai pranzi domenicali. Gli raccontavo di come da piccolo passassi ore a guardare mia nonna preparare i fusilli e di come rubassi i fichi messi al sole ad essiccare dalle signore del paese. Peccato non potessi offrirgli un piatto di pasta e melenzane e fargli assaggiare un po’ della mia terra.

Erano incuriositi dal profumo del vicolo sotto casa mia, ma era impossibile spiegarglielo. Andava vissuto. Così come le onde del mare che erano sempre lì a darmi la buonanotte. Li introducevo alla nostra storia e cultura, alle nostre origini. Alla terra del mito e del sapere. Alla terra dei sapori. E mentre quelle immagini scorrevano sullo schermo i miei occhi erano lucidi, felici. Rivedevo le strade dell’infanzia, i pescatori, i contadini, le facce sorridenti. Anziani e bambini. Mi sembrava di riconoscere tutti. Pensai: “Ma che ca**o sto facenn? Sul serio sono andato via?”. Intanto continuavo a raccontare, e tutti sembravano incantati dalle mie storie. Ricordo il “devi essere proprio legato alle tue origini si vede dalla passione che hai negli occhi”. Chi? Io? Sul serio signò? Ma che state “dicenn”? Eppure era vero. Il cuore batteva forte, ero emozionato, ero fiero. Mi mancava tutto. Partite! E Tornate!

Da quell’estate l’opzione “finestrino” diventò d’obbligo sul treno. Il libro poteva aspettare, volevo vedere gli alberi e le colline che mi dessero il bentornato. Nell’approcciare la stazione di Napoli mi si apriva il cuore. Iniziavo a sentirmi a casa. È vero che se dal finestrino ti focalizzi sui dettagli lo spettacolo non è dei migliori e fai conti con l’incuria. Ma alza subito lo sguardo e davanti a te il Vesuvio apparirà imponente. Quella montagna simbolo di una forza napoletana in attesa. Non fatta di lava, ma di voglia di riscatto. Pausa sfogliatella, sorso di napoletanità e ripartenza per casa, direzione Cilento. Partite! E Tornate!

Sogni. Solo tanti sogni tradotti in lacrime e asciugati da letali incubi reali. È inevitabile scontrarsi con il potenziale inespresso, anzi represso, di una terra intera. La nostra. Criminalità, politica corrotta e burocrazia. Cancri indelebili che soffocano millenni di storia. La nostra storia. Eppure uno spiraglio deve esserci. Partite! E tornate con valigie piene di esperienza!

Ebbene io l’ho fatto! Sono partito. Ora sono,però, tornato con la voglia di cercare quello spiraglio, di vedere tutto con un’ottica diversa. Ma, alla fine, in tutto questo viaggiare, l’America l’ho trovata? Sì. “ A tenev sott a casa!”

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