Maturandi al Sud, non abbiate paura di rispondere col “Jatevenne vuje”

Giovanni Di Lauro
Groucho’s Portal
Published in
8 min readJun 22, 2018

È tempo di maturità, è tempo per tanti di andarsene via dal Sud. Qui “le opportunità non ci sono”, dicono e, dopotutto, non hanno nemmeno torto.

Per quelli che vogliono partire, ansimanti, con la foga nel cuore, che finalmente, dopo diciannove anni, vedono palesarsi la possibilità di dire addio a quella mentalità che li ha oppressi e costretti a sognare guardando fuori dalla finestra, in silenzio. A quelli dico: Via dal Sud. Andate a formarvi altrove, “imparatevi il mestiere” nelle migliori botteghe, ma, come Ulisse, siate sempre ossessionati dal ritorno. Qua Itaca e Penelope vanno salvate, i Proci devono morire.

Tra i tanti ci sarà, però, anche chi la sua Terra l’ha già saputa apprezzare e la valigia proprio non la vuole fare. Questo è per loro. Per voi, che al minimo sogno che avrete vi scontrerete con vere e proprie fortezze, altro che ostacoli.

“Qua non si sogna, qua la Apple nun se fa”. E ci credo. Provate a fare un’attività del genere nel garage di casa. Fuori, la mattina seguente, ci stanno vigili urbani, Digos, Nas, Ispettorato del lavoro, Siae e il prete con l’acqua santa. “Sapete padre quello mio figlio è un bravo ragazzo, ma sta semp annanz a nu computer, secondo me qua ci sta lo zampino del diavolo”. Con questo garage volete farci qualche altra cosa? Vendere pesce? Due melenzane sott’olio? Un po’ di scarola paesana? Allora, al presentarsi delle autorità, come da insegnamenti di Giggig robot d’acciaio, è l’ora di tirare fuori l’arma segreta per eccellenza: il “ne marescià ma nun se po’apparà”. E piano piano, si “appara”, l’accordo si trova, perché, in fondo, siamo gente di cuore e le constatazioni “amichevoli” ci piacciono. Peccato che i poveretti che giocano a fare esperimenti da scienziato pazzo una lira non ce l’hanno. E anche questo si sa: no pecunia, no abbracci e arrivederci. Senza denari, la “baracca” deve chiudere. Lo spettacolo è finito. “Vulevan fa’ gli americani mo”.

Gli occhi delle persone che vi diranno “andatevene” saranno specchio di un animo rassegnato, sconfitto. Lo faranno per “il vostro bene”, perché qui “non c’è futuro”. Vi presenteranno un elenco di difficoltà lungo come il menù di un ristorante italo-qualcosa all’estero, fasullo come una moneta da 3 euro, con tante pizze quanti i nomi propri della lingua italiana. Vi faranno esempi tangibili di come qui se vuoi avere o fare qualcosa devi essere il figlio di, il nipote di, devi conoscere almeno Tizio che conosce Caio che conosce Sempronio e perché no, magari si riesce ad arrivare anche a Peppe, Alfonso e Gennaro. In pratica, qua vuoi avere qualcosa? Devi essere un esperto di teoria dei grafi. Te li vuoi “fottere” i ponti di Königsberg, Eulero, fosse nato al sud, avrebbe gioito dal divertimento. Un “pariamento a mostr” avrebbe detto.

Vi mostreranno sulla propria pelle le ferite da urto con una burocrazia lenta e oppressiva e che senza il giusto “lubrificante” è solo una “machinetta che non si muove”. E poi la disoccupazione, la criminalità, l’inettitudine. In pratica: “vattene che qui si muore”.

Eppure dopo il lungo sermone, dopo tutte le parabole la vostra risposta dovrebbe essere una sola: “Jatevenne vuje”.

Il Sud è una delle poche speranze che restano al genere umano. I nostri padri, nella rassegnazione, cautelativamente consigliano di andarcene. Sono, però,tutti quelli che oltraggiano i nostri natali a dover essere cacciati come la più cattiva dell’erba. La vista comune della “grandezza” è ormai confinata nell’uomo piccolo, insignificante. “Fai gli imbrogli”? E allora “sei uno buono, sei furbo”. Perché nella vita “è sempre stato così”. Se dovesse esserci qualcosa dopo la morte glielo spiegate voi a Parmenide e Zenone, perché, sinceramente, io una “sputazzata” in faccia non me la prendo.

Per chi ha il cuore di farlo, che resti! È pure ora che la fenice rinasca, che qui ogni tramonto tra i palazzi, senza mare, è un giorno perso.

“Così la disoccupazione aumenterà. Sei folle?” Ma state tranquilli, vorrà dire che conteremo gli occupati così facciamo prima (qui, De Crescenzo docet). L’ironia è bella, ma la disoccupazione è “na” cosa seria. Eppure sembra che qui abbiamo iniziato a dimenticare ciò che una volta ci rendeva famosi in tutto il mondo, la nostra cara bella “arte dell’arrangiarsi”.

“Ma come non credi che l’assenza di lavoro porterebbe ad un aumento della criminalità? ” Sì. Ma solo in un mondo bombardato a Gomorra e con i continui lavaggi del cervello a botte di “puttane e pistole”. Cosa ti aspetti da un sistema in cui l’ignoranza diventa vanto? Dove alcuni genitori non provano vergogna nel prendere alla leggera lo studio superficiale dei figli esordendo con il “non è portato, è meglio che lavori”. Plaudono poi agli stessi quando i meri affari economici vanno bene, “mio figlio fa X, Y e Z”. Qui si fa, che per essere “nun ce sta tiemp”. E vogliamo parlare di quelli del “ma smettila di studiare e chiudi sto libro che diventi scemo”? Già. Il problema della criminalità è la disoccupazione, come se poi essa non fosse solo un fatto, come se non dipenda tutto dai valori del nostro animo. È solo che: se “nun se fatica” si delinque. Che considerazione che abbiamo del genere umano. Cosa volevamo fare? Gli stati sociali? Le corporazioni? Chiamiamo il prete, “ja”, “sentiamoci la messa”.

Vogliono che tu sia importante, faccia carriera, corra. Ma chi? Chi lo vuole? Boh! È sempre quello che mi sono chiesto. Se non lo vuoi fare, che “c***o curr a fa”? L’unica cosa che ci resta qui è proprio quello: il bello della lentezza. Invece di valorizzarla la si denigra, cercando di debellarla come il peggiore dei cancri. Perché se non ci si affretta si perdono i tempi del mondo, si resta indietro, non ci si sviluppa. Ma quale tempo? Quale mondo? Quale sviluppo?

Ma è proprio bella questa velocità ansiogena? Io sinceramente la vedo “sul na strunzat”!

Anche se sono abbastanza sicuro che lo sia stato anche in passato, oggi, chi ha una personalità più debole rispetto ad altri, cosa insegue? Semplice. Soldi potere e, pronunciata con la giusta enfasi à la Servillo, “la fessa”. Mi raccomando, dalle tre alle quattro esse: la fesssa. Soldi, potere e figa. Il padre, il figlio e lo spirito santo. Che tutti e tre siano di vitale importanza, nelle giuste dosi, è fuori discussione. È palese, però, che nella loro sopravvalutazione, si è confuso il mezzo con l’obiettivo. Ci sono troppe cause psicologiche e culturali che si intersecano per poter riportare in poche righe una conclusione specifica. Ciò, però, non elimina, né riduce la necessità di difendersi dalla debolezza d’ animo di chi ne ha fatto i tre i dogmi della propria vita.

L’eccesso di ricchezza personale per cosa? Una villa da Hollywood? Quando poi, in realtà, mentre si dorme non si è neanche coscienti del posto in cui ci si trovi. Un panfilo per fare a gara a chi ce l’ha più grosso? L’esperienza del mare? Anche il gozzo fa la sua bella prestazione. E se a remi ancora meglio, così nemmeno la palestra si deve pagare.

Il potere? E “vabbuò” quello si sa: “a comandare è meglio che a fotte”. Ma non è che forse sia un pochino meglio tessere dei rapporti di cooperazione e amicizia epicurea con le persone? Ve la siete mai fatta una bella mangiata con un paio di compagni(veri)? Dopotutto l’uomo è sopravvissuto cooperando e non come vanno decantando i bei professoroni da business school che, col testosterone a manetta, citano Darwin un po’ “a ca**i loro”. Quando è molto probabile che l’unico Darwin di cui abbiano avuto esperienza è quello di Laurenti e Bonolis. I guerrieri moderni, i dominatori delle negoziazioni, i “gotta make the money”. A lezione, alcuni di loro avevano delle parvenze rasenti al ridicolo. “Ne strunzill” (come tradizione vuole anticipato da grande pernacchio) “ma non credi che aiutare qualcuno sia più da uomo che vincere una guerra che non esiste”? E poi, vorrei proprio vederlo il loro testosterone.

La terza della Trinità? E quella è “semp a stessa”. Nera o bianca a finale la sorpresa è sempre uguale. Vale lo stesso discorso per il genere femminile, anche se loro qualche differenza tra nero e bianco forse la possono vedere. Il problema è che la repressione psicologica, protratta da una morale religiosa innaturale e disumana, con la quale ci hanno cresciuto, ha creato in noi un desiderio distruttivo. Questo alle volte, sfuggendoci di mano, ci porta a delle scelte che vanno contro la nostra stessa natura. “Scelgo quella carriera perché fa figo”. Siete ancora convinti che quella falsa morale da chiesa non abbia creato in voi un desiderio del proibito che tende ad allontanarvi dal vostro vero Io?

Questo è per dire, semplicemente, che ci sono tre forze che vi condizioneranno nella scelta della vostra strada, tenete gli occhi aperti.

“Una società non può sopravvivere a pace e amore, l’abbracciamoci tutti e pensiamoci domani non funziona, non si va avanti. Qualcuno i cessi li deve pure pulire”. Eh vabbè, lo si può fare anche leggendo Pirandello o ascoltando Mozart.

Il problema qui è il tradimento. Nati con un ideale ma morti con le catene. “Amma juto buono” direbbe qualcuno. Sì. Bene, siamo andati proprio bene.

Ultimamente anche al Sud, caro Houston, “abbiamo un problema”. “Pe la maronna”, qua la gente vota Lega.

Chi dovrebbe essere Il difensore dei diritti umani sta diffondendo un sentimento xenofobo anche in chi è figlio dell’incontro tra migliaia di popoli. Politici che nascono nelle risaie ma crescono col puro sfizio di chiudere i porti. L’avranno mai visto, poi, un porto questi? Gli direi “guarda bene, compà, non lo chiudi”. Il porto si apre ad abbraccio, è la sua natura di riparo dalla tempesta. Se noi avessimo respinto tutte le imbarcazioni, la Sicilia, la Campania e tutte le altre regioni del Sud non sarebbero altro che terre monotematiche, tristi, morte. Oggi, ti affacci dalla finestra e trovi i colori e gli odori di mezzo mondo. Questo ce lo invidiano tutti, è la nostra storia, il nostro sangue.

Un discorso razzista al Sud di solito è fatto tanto per parlare, per apparire, non so per quale motivo, forte, imperiale. Qui ospitalità e condivisione sono state le fondamenta della nostra cultura, siamo i figli delle filosofie del Mediterraneo. Fammi vedere come la chiudi la porta con qualche affamato che ti chiede un pezzo di pane. Dovesse invece essere un razzismo vero, cattivo e allora indicate pure a questi “soggetti” la strada per la stazione. Mi spiace, ma non appartengono a questa terra. Diteglielo pure “Jatevenn”.

Guardate alla nostra gente. Il vecchietto in paese che inneggia al fascismo e “quando c’era lui era meglio”, alla fine è perché “adda parlà”. Tranquilli che tanto si porta un immigrato ad aiutarlo con la campagna e gli offre pure il pranzo. Panino “melenzane, puparuoli e tonno” pronto in condivisione. Non come chi li sfrutta per il solo ritorno economico. Siamo terra ospitale, nati su barche, il viaggio è parte integrante della nostra anima.

Magari l’anarchia è la nostra sola ancora di salvezza, dopotutto Bakunin non si è mai sentito così ispirato come a Napoli. Se solo guardassimo più a Zenone (non di Elea purtroppo) che a Platone al sentire della parola “Repubblica” avremmo la possibilità di costruire sistemi più consoni alla nostra natura. Ma è meglio non andare oltre (sarà fatto in altri post) perché già mi sento i “wa, quello è pazzo, l’Anarchia? E mo qua tutti fanno quello che vogliono”. La legge ci vuole, è bbbuona. Il capitalismo!?!? E quello ci ha permesso di vivere più a lungo e mangiare meglio. Ah e i lavaggi del cervello, eh vabbuò!

Mi auguro che chiunque abbia la voglia di restare e lottare per la sua Terra lo faccia senza remore e che risponda con un bel “Jatevenn vuje” a chiunque lo voglia altrove. Dovesse anche essere il risveglio con gli odori di casa l’unico guadagno dalle loro scelte.

Tutto ciò vale in realtà per chiunque e non solo per i diciannovenni. Qui tutti, ogni mattina, ci sediamo per il nostro esame di maturità.

--

--